Gianni Riotta: «Il web ci renderà liberi se saremo capaci d’esserlo»
Si fa un gran parlare di internet e new-media ma i nuovi linguaggi e le infinite possibilità concesse dalla rete globale, non significano automaticamente la conquista della libertà automatica e per tutti. Anzi, a ben vedere, sono proprio i regimi e i governi più autoritari a vantare le maggiori capacità di utilizzo dei nuovi linguaggi, depistando e controllando le fonti considerate scomode. Dal suo studio newyorkese, il noto giornalista Gianni Riotta, editorialista per Il Corriere della Sera e visiting professor presso la Princeton University – ha discusso con noi di giornalismo, new media e del suo nuovo libro “Il web ci rende liberi? – Politica e vita quotidiana nel mondo digitale” , edito da Einaudi (pp.160; Euro 18). A Marsala, dove è stato recentemente ospite del 3° festival del giornalismo di inchiesta, Riotta ha avuto modo anche di ripercorrere anche i luoghi della sua infanzia siciliana e svela: «mio nonno era un architetto che serviva nell’esercito e partecipò al coordinamento dei soccorsi dopo il catastrofico terremoto del 1908. Ci raccontò che le truppe sabaude e i terremotati non si capivano e per questo troppi civili vennero fucilati, considerati sciacalli. E invece erano soltanto in cerca dei loro pochi averi…».
Il presidente della Camera, Laura Boldrini, ha chiesto più attenzione al linguaggio di internet e sui social media. Sul web esiste un giusto confine fra la necessaria tutela della privacy e la libertà d’espressione?
«Il presidente della Camera, Laura Boldrini, pone un problema giusto. L’anonimato online, i ricatti e le violenze verbali sono temi che vanno affrontati ma non si possono risolvere con una legge che regoli il web. Semplicemente perché internet è un sistema globale e aperto, per cui una legge italiana potrebbe essere facilmente aggirabile spostando i server, ad esempio, a San Marino. Ovviamente bisogna perseguire a termini di legge chi compie reati online ma bisogna anche capire come funziona le rete».
L’anchorman Enrico Mentana, stanco del flusso di insulti giornalieri derivante da parte dei suoi followers, ha deciso di chiudere il suo account Twitter. Crede sia una scelta giusta?
«Sul Corriere della Sera aprii uno dei primi blog italiani, Pensieri e Parole, ma decisi di chiuderlo perché il web mi appariva pieno di populismo e intolleranza. Tuttavia compresi d’aver sbagliato. Da trent’anni Mentana è l’anchorman italiano più noto e con maggiore visibilità mediatica ma ciò si traduce anche, purtroppo, in una esposizione al linguaggio violento e incontrollato sul web».
Come possiamo venirne fuori?
«Purtroppo non c’è una soluzione semplice. Noi abbiamo un detto: Never feed the troll (nel gergo del web si definisce così una persona che interagisce con gli altri utenti tramite messaggi provocatori o irritanti nascondendosi nell’anonimato, ndr). Quando un troll ti insulta, o taci o replichi ma devi essere consapevole che il troll nasconde una frustrazione perché altrimenti quell’utente avrebbe un nome e un cognome e non si nasconderebbe dietro una falsa identità».
La blogger cubana, Yoani Sànchez, ha ribadito dalle nostre pagine l’importanza di un’educazione digitale per saper usare al meglio i social media. Che ne pensa?
«Senza i new media Yoani Sànchez sarebbe in galera e questo esile filo cui appendersi la differenzia dai grandi dissidenti d’un tempo, come Solženicyn, che non avevano simili mezzi per far sentire la propria voce. Naturalmente ciò non significa che il web ci renda liberi apriori, perché, ad esempio, i ribelli siriani e libici restano in galera e l’artista cinese Ai Weiwei, pur essendo noto a livello globale, rimane sempre sotto il controllo del governo».
Dunque riprendendo il tuo titolo, il web ci rende liberi?
«Dipende tutto da noi, da come lo usiamo. Il web ci renderà liberi se saremo capaci d’esserlo, altrimenti no».
Nel libro analizza il MoVimento 5 Stelle e la novità del linguaggio politico. Il concetto di democrazia orizzontale è possibile?
«Se penso alla democrazia orizzontale mi viene in mente il Permaflex. La democrazia dovrebbe essere tridimensionale ma credo che non ci sia movimento più verticale di quello dei 5 Stelle dove basta non fare ciò che dice Grillo per essere sbattuti fuori. Sono abbastanza grande per ricordare l’espulsione del gruppo de Il Manifesto dal PCI. Fu un errore fatale. Non perché il Manifesto avesse ragione ma se vi fosse stato un vero dibattito, il PCI si sarebbe aperto alla democrazia già nel 1969 piuttosto che nel 1989, quando finalmente cambiò anche nome. Mi piacerebbe che sorgesse un dibattito in seno al MoVimento 5Stelle e che qualcuno potesse contestare ciò che dice Grillo senza il timore di venire aggredito verbalmente ed espulso, per diretta volontà del capo. Però non mi stupisco perché il populismo funziona così: uno urla e tutti gli altri son pronti a dire “Jawohl”».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud
Pubblicato il 2013/06/08, in Interviste con tag 5 stelle, boldrini, corea, giornalismo, grillo, inchiesta, libertà, marsala, mentana, privacy, riotta, sanchez, siria, twitter, web. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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