Archivi Blog

Annarita Briganti torna in libreria: «La solitudine è una droga, come un jeans vecchio, troppo comodo».

Annarita-Briganti

Annarita Briganti

Dopo l’esordio con “Non chiedermi come sei nata”, la giornalista Annarita Briganti torna in libreria con il suo secondo libro, “L’amore è una favola” (edito anch’esso da Cairo editore, pp.192 €13) riportando in pagina la sua protagonista e alter ego, Gioia Lieve. Tornano i temi del libro d’esordio – il precariato culturale, la fecondazione (fu la prima a sollevare la necessità di riformare la legislatura della legge 40) e l’ostinata ricerca dell’amore in un mondo cinico e dominato dall’ego – ma non solo, visto che la Briganti tocca anche il tema, più che mai attuale, degli stalker e della violenza femminile – declinata non solo in senso fisico – ribadendo la necessità e il valore dell’amicizia fra donne, meglio se complementari (come accade nel quartetto del “cerchietto magico”) continuando, con ostinazione a ricercare l’Amore puro in una storia controversa – e con un eros torrido – al fianco dell’Artista, Guido Giacometti. Leggi il resto di questa voce

Frederick Forsyth non ha alcun dubbio: «Non ci dicono tutta la verità»

Dai suoi libri sono nati film che hanno fatto la storia delle spy stories, “Il giorno dello sciacallo” su tutti, e ancora oggi è considerato un autore cult tanto che le uscite dei suoi romanzi sono sempre degli eventi internazionali. Per documentarsi si sposta in tutto il mondo, da Bogotà a Mogadiscio sino a Buccinasco, dove si recò per documentarsi sulla ‘ndrangheta per scrivere “Cobra”. Autore da 45 milioni di copie vendute nel mondo, Frederick Forsyth è uno di quei pochi autori che interseca realtà e fiction con maestria. Ha mosso i primi passi da giornalista per poi divenire uno scrittore di enorme successo ma non ha mai dismesso i panni del reporter: “sono molto curioso e sempre scettico sulle versioni ufficiali dei fatti che ci raccontano”. Da poco è tornato in libreria con “La Lista Nera” (Mondadori, pp.282 €19) in cui racconta di una “kill list” custodita alla Casa Bianca, un elenco dei più pericolosi terroristi e della pericolosa caccia ad uno di questi, Il Predicatore, muovendosi fra il web e il Corano. L’occasione è perfetta anche per raccontare un Islam moderato e possibile che si contrappone alla folle violenza della Jihad, “qualcosa che si va radicando nel mondo e con cui dovremo ancora fare i conti”. Frederick Forsyth era uno degli ospiti di punta della kermesse letteraria BookCity.

Mr. Forsyth, com’è nato The Kill List?

«Un bel giorno lessi un trafiletto in un giornale. Si raccontava l’uccisione di un terrorista con l’uso di un drone in una sperduta regione asiatica, punto e basta. Ma come avevano fatto a scovarlo? Ho cominciato le mie ricerche e ho scoperto la kill list, la lista nera dei terroristi più pericolosi che è custodita alla Casa Bianca. Pochissimi sapevano della sua esistenza al punto che il mio editore, dopo aver letto il libro, mi ha chiamato per chiedermi se fosse tutto vero. Volevo intitolare il libro The Hound, il Segugio, ma il mio editore mi disse “no no, chiamiamolo The Kill List”».

Il 26 febbraio 1993 Ramzi Yousef fu uno degli attentatori contro il World Trade Center che causò 6 morti e 1042 feriti. Nel libro lei sottolinea come gli Usa sapevano ma non fecero nulla nemmeno per proteggersi da tentativi futuri. Perché?

«Questa domanda continuiamo a porcela da allora. La risposta è una sola: il presidente Bill Clinton. Oggi sappiamo che c’erano esperti senior del controterrorismo che imploravano che si facesse qualcosa finché si arrivò all’11 settembre 2001, durante la presidenza di George Bush. Era come se gli Stati Uniti fossero un gigante assopito che non si accorgeva di ciò che gli accadeva intorno, di tutti i segnali di pericolo che dovevano metterlo sull’attenti. Bill Clinton era troppo interessato a Monica Lewinsky perché si curasse d’altro, compresa la sicurezza del proprio paese». Leggi il resto di questa voce

Gianni Riotta: «Il web ci renderà liberi se saremo capaci d’esserlo»

riotta1 (1)Si fa un gran parlare di internet e new-media ma i nuovi linguaggi e le infinite possibilità concesse dalla rete globale, non significano automaticamente la conquista della libertà automatica e per tutti. Anzi, a ben vedere, sono proprio i regimi e i governi più autoritari a vantare le maggiori capacità di utilizzo dei nuovi linguaggi, depistando e controllando le fonti considerate scomode. Dal suo studio newyorkese, il noto giornalista Gianni Riotta, editorialista per Il Corriere della Sera e visiting professor presso la Princeton University – ha discusso con noi di giornalismo, new media e del suo nuovo libro “Il web ci rende liberi? – Politica e vita quotidiana nel mondo digitale” , edito da Einaudi (pp.160; Euro 18). A Marsala, dove è stato recentemente ospite del 3° festival del giornalismo di inchiesta, Riotta ha avuto modo anche di ripercorrere anche i luoghi della sua infanzia siciliana e svela: «mio nonno era un architetto che serviva nell’esercito e partecipò al coordinamento dei soccorsi dopo il catastrofico terremoto del 1908. Ci raccontò che le truppe sabaude e i terremotati non si capivano e per questo troppi civili vennero fucilati, considerati sciacalli. E invece erano soltanto in cerca dei loro pochi averi…».

Il presidente della Camera, Laura Boldrini, ha chiesto più attenzione al linguaggio di internet e sui social media. Sul web esiste un giusto confine fra la necessaria tutela della privacy e la libertà d’espressione?

«Il presidente della Camera, Laura Boldrini, pone un problema giusto. L’anonimato online, i ricatti e le violenze verbali sono temi che vanno affrontati ma non si possono risolvere con una legge che regoli il web. Semplicemente perché internet è un sistema globale e aperto, per cui una legge italiana potrebbe essere facilmente aggirabile spostando i server, ad esempio, a San Marino. Ovviamente bisogna perseguire a termini di legge chi compie reati online ma bisogna anche capire come funziona le rete».

L’anchorman Enrico Mentana, stanco del flusso di insulti giornalieri derivante da parte dei suoi followers, ha deciso di chiudere il suo account Twitter. Crede sia una scelta giusta?

«Sul Corriere della Sera aprii uno dei primi blog italiani, Pensieri e Parole, ma decisi di chiuderlo perché il web mi appariva pieno di populismo e intolleranza. Tuttavia compresi d’aver sbagliato. Da trent’anni Mentana è l’anchorman italiano più noto e con maggiore visibilità mediatica ma ciò si traduce anche, purtroppo, in una esposizione al linguaggio violento e incontrollato sul web».

Come possiamo venirne fuori?

«Purtroppo non c’è una soluzione semplice. Noi abbiamo un detto: Never feed the troll (nel gergo del web si definisce così una persona che interagisce con gli altri utenti tramite messaggi provocatori o irritanti nascondendosi nell’anonimato, ndr). Quando un troll ti insulta, o taci o replichi ma devi essere consapevole che il troll nasconde una frustrazione perché altrimenti quell’utente avrebbe un nome e un cognome e non si nasconderebbe dietro una falsa identità».

La blogger cubana, Yoani Sànchez, ha ribadito dalle nostre pagine l’importanza di un’educazione digitale per saper usare al meglio i social media. Che ne pensa?

«Senza i new media Yoani Sànchez sarebbe in galera e questo esile filo cui appendersi la differenzia dai grandi dissidenti d’un tempo, come Solženicyn, che non avevano simili mezzi per far sentire la propria voce. Naturalmente ciò non significa che il web ci renda liberi apriori, perché, ad esempio, i ribelli siriani e libici restano in galera e l’artista cinese Ai Weiwei, pur essendo noto a livello globale, rimane sempre sotto il controllo del governo».

Dunque riprendendo il tuo titolo, il web ci rende liberi?

«Dipende tutto da noi, da come lo usiamo. Il web ci renderà liberi se saremo capaci d’esserlo, altrimenti no».

Nel libro analizza il MoVimento 5 Stelle e la novità del linguaggio politico. Il concetto di democrazia orizzontale è possibile?

«Se penso alla democrazia orizzontale mi viene in mente il Permaflex. La democrazia dovrebbe essere tridimensionale ma credo che non ci sia movimento più verticale di quello dei 5 Stelle dove basta non fare ciò che dice Grillo per essere sbattuti fuori. Sono abbastanza grande per ricordare l’espulsione del gruppo de Il Manifesto dal PCI. Fu un errore fatale. Non perché il Manifesto avesse ragione ma se vi fosse stato un vero dibattito, il PCI si sarebbe aperto alla democrazia già nel 1969 piuttosto che nel 1989, quando finalmente cambiò anche nome. Mi piacerebbe che sorgesse un dibattito in seno al MoVimento 5Stelle e che qualcuno potesse contestare ciò che dice Grillo senza il timore di venire aggredito verbalmente ed espulso, per diretta volontà del capo. Però non mi stupisco perché il populismo funziona così: uno urla e tutti gli altri son pronti a dire “Jawohl”».

Francesco Musolino®

Fonte: La Gazzetta del Sud

Una chiacchierata con… Francesco Musolino (di Massimo Maugeri) – Settembre 2011

10636027_10204170285433916_8749674041356626951_nTra i nomi dei giovani giornalisti culturali siciliani, spicca quello del trentenne Francesco Musolino (nella foto), il quale può vantare al suo attivo svariate e fruttuose collaborazioni con giornali e magazine, tra cui StilosLeggere:Tutti, Satisfiction e il Corriere Nazionale. Inoltre collabora con Vogue.it. Per il quotidiano di Messina, Tempostretto.it e il settimanale siciliano Centonove cura le pagine di cultura e spettacolo e cura le rubriche dedicate ai libri.

Francesco Musolino, vive a Messina dove ha conseguito la laurea in Scienze Politiche con tesi sul pensiero di Ernst Jünger circa il progressivo dominio della tecnica sull’uomo dalla grecità ad oggi.

Il suo sito web èfrancescomusolino.com

Francesco, quando hai cominciato a interessarti di libri e letteratura?

«Il primo vero ricordo legato ai libri risale alla primavera del ’92 quando mia madre mi regalò “La Compagnia dei Celestini” di Stefano Benni, acquistato in una libreria romana. Nonostante i miei familiari fossero lettori voraci, sino a quel momento non avevo un buon rapporto con i libri ma quel romanzo, così fantasioso e originale, fece scattare la scintilla e da quel momento in poi i libri non solo fanno parte della mia vita, ma la rendono più ricca e profonda. Ben presto cominciai ad appuntare ai margini delle pagine, curiosità e domande rivolte allo scrittore che leggevo, fin quando passai una notte intera a chiedermi quale sarebbe stata la mia strada. Il mattino dopo mi misi in cerca di una testata online che reclutasse giovani collaboratori e solo qualche giorno dopo cominciai a scrivere per il giornale romano Gufetto.it. Era il 2006 e fu così che tutto cominciò».

Quali sono le maggiori difficoltà con cui, oggi, deve confrontarsi un giovane giornalista culturale siciliano per svolgere il suo lavoro?

«Partiamo in ordine alfabetico? Scherzo ma purtroppo gli ostacoli sono numerosi. In primo luogo bisogna fare i conti con gli stessi colleghi che troppo spesso giudicano con superficialità chi si occupa di quella che un tempo veniva chiamata “Terza Pagina” ovvero la pagina cultura per eccellenza. Nutro sincera stima per gli analisti economici o per gli editorialisti di politica ma sono convinto che saper porre le giuste domande ad un attore o cogliere l’essenza di un romanzo non sia affatto banale, anzi. Soprattutto bisogna fare i conti con buona parte degli editori che troppo spesso, pur avendone i mezzi, credono si possa non pagare – o sottopagare – chi si occupa di libri, cinema e spettacolo».

Hai mai pensato di emigrare per cercare “fortuna” lontano dalla Sicilia?

«Certamente. Da una parte è necessario sapere che bisogna sapersi spostare con facilità verso Roma, Milano e Torino, i maggiori centri culturali italiani, per respirarne le atmosfere e conoscerne gli attori principali. Ma vista una certa ritrosia del territorio, spesso penso quanto potrebbe essere diversa la mia vita e la mia professione se vivessi lì, a stretto contatto con l’ambiente di cui scrivo. Tuttavia mi piace pensare che sia possibile parlare e scrivere di cultura a Messina – e in generale nel Sud – facendo una vita serena e non precaria. Per questo continuo a seminare e ad impegnarmi al massimo nel mio lavoro, fra libri, mail, recensioni ed interviste. E se un giorno dovessi stancarmi…la valigia è sempre pronta».

Che consigli ti sentiresti di dare a un ragazzo che sogna di fare il giornalista culturale?

«Credo che l’importante sia impegnarsi giorno per giorno, lavorare sul proprio stile ispirandosi alle firme famose senza mai copiarle. Bisogna leggere moltissimo e non aver paura di muovere critiche anche a chi viene ritenuto, a torto o a ragione, intoccabile. E infine consiglierei di essere modesti ma al tempo stesso ambiziosi. In fin dei conti chi vorrà davvero fare il giornalista si renderà conto ben presto delle difficoltà del mestiere ma non potrà fare altrimenti che seguire la sua vocazione. Nella vita poche cose sono davvero importanti quanto un sogno che si realizza, soprattutto se si lotta per averlo».

Qual è stata la tua più grande soddisfazione nell’ambito dell’attività giornalistica che hai svolto finora?

«Ogni volta che mi viene inviato un libro, ogni volta che vengo contattato per propormi un’intervista o una recensione, ogni volta che vengo invitato ad un festival…mi sento sinceramente onorato. Sono attestati di stima che che raccolgo con grande piacere. Ho una vera passione per le interviste e mi ispiro tanto a quelle di Sabelli Fioretti che a quelle storiche della Paris Review. Grazie al mio mestiere ho avuto il piacere di realizzarne parecchie e fra queste spiccano certamente quelle ad Emir Kusturica, Carlo Lucarelli, Alessandro Bergonzoni, Oliver Stone, Dan Fante, David Foenkinos e Nanni Moretti. Ma ad essere sinceri credo che potenzialmente qualunque intervista possa serbare grandi sorprese».

Progetti per il futuro?

«Per fortuna sono tanti. In primo luogo ho ripreso il lavoro per le diverse testate con le quali collaboro e spero di seguire diversi festival letterari e cinematografici quest’anno. Inoltre per la “libreria Circolo Pickwick” di Messina, sto curando un palinsesto di presentazioni letterarie che partirà a fine settembre e si concluderà a dicembre per poi riprendere a gennaio. Parleremo di Mediterraneo e di libri legati al nostro mare e avremo il piacere di ospitare sia nomi celebri dell’editoria italiana che giovani talenti emergenti. Ma non saranno le classiche presentazioni letterarie poiché punteremo sul connubio che la letteratura sa tessere con la musica, le arti visive e persino il gusto.

Chissà forse il 2011 sarà l’anno giusto per rimettersi a scrivere. Ho composto due silloge di poesia ma non ho davvero cercato un editore perché il mercato italiano è troppo timoroso nei confronti della poesia e trovo che l’editoria a pagamento sia un detestabile ossimoro. Accanto alla mia passione per la poesia, ho in mente tre racconti e due romanzi che non aspettano altro che d’essere scritti. Vedremo».

Fonte: Letteratitudine del 4 settembre 2011 (e Terza Pagina)

Consigli d’autore da Marsala

Oltre sessanta “big” dell’informazione – da Marco Travaglio a Peter Gomez, da Luca Telese a Carlo Lucarelli, da Massimo Carlotto ad Antonio Pascale – e noti personaggi del mondo dello spettacolo e della musica – come Lella Costa, Serena Dandini e Paolo Fresu – sono stati protagonisti della tre giorni del 2° festival del giornalismo d’inchiesta “A Chiarelettere”, svoltosi a Marsala (organizzato dall’agenzia Communico, Mismaonda e la casa editrice Chiarelettere con il patrocinio del Comune di Marsala e la fondamentale partecipazione a titolo gratuito di tanti ragazzi marsalesi). Il tema centrale della kermesse era Viva Italia, biografia di un paese da inventare, spunto per una riflessione sul nostro paese, ormai prossimo al suo 150° anniversario, e su alcuni temi sempre caldi come immigrazione, lavoro, precariato, corruzione, speculazioni edilizie e “la cricca”. Ma al contrario di ciò che si potrebbe pensare non si è dato adito ai facili pessimisti, anzi, è stato proprio Marco Travaglio ad affermare: «questo non è certo un momento allegro eppure è sicuramente interessante perché prossimo a grandi cambiamenti che non potranno non riguardare tutta la collettività».

 

Ecco i consigli di lettura d’autore Satisfiction.

Luca Telese: Per chi è appassionato dei misteri italiani consiglio “Piazza Fontana, noi sapevamo” diAndrea Sceresini, Nicola Palma e Maria Elena Scandaliato. E’ l’appassionato lavoro di tre ragazzi che hanno dato una lezione di giornalismo a tutti andando sino in Sudafrica senza alcuna certezza né rimborso spese, per intervistare il generale – dichiarato latitante – Gian Adelio Maletti. Un’inchiesta bellissima che racconta molti misteri italiani, godibile anche per chi non sa nulla per gli anni di piombo.  Una vera lezione di giornalismo fatta da tre ragazzi giovanissimi di cui dovremmo far tesoro.

 

Carlo Lucarelli: Non è mai facile consigliare un libro ma io suggerisco l’ultimo che ho letto, “A long, long way” di Sebastian Bailey. E’ la storia di un ragazzo irlandese che diventa grande durante la prima guerra mondiale facendo il soldato. Sento parlare spesso di rabbia, delusione e questo libro di guerra in trincea mi è sembra un perfetto specchio di questi tempi.

 

Serena Dandini: Senz’altro “Hanno tutti ragione” di Paolo Sorrentino. Un romanzo assolutamente fuori dagli schemi con uno stile contenuto che coinvolge il lettore sino a fargli sentire davvero vicino il protagonista, Tony Pagoda. Sorrentino ha una capacità narrativa straordinaria che gli permette di parlare con ironia ma anche con profondità, dell’Italia degli anni ’60 guardando ai giorni nostri.

 

Lella Costa: “Boy A” di Jonathan Trigell (premiato con l’”Edoardo Kilhgren Opera Prima”), un libro davvero sorprendente che porta sulla pagina una vicenda che ha sconvolto l’Inghilterra molti anni fa ovvero l’uccisione di un adolescente per mano di suoi coetanei. Trigell immagina la vita di uno dei protagonisti ed io sono rimasta affascinata dalla forza della sua scrittura.

 

Paolo Fresu: Suggerisco “Conversazioni con Glenn Gould” di Jonathan Cott. Un libro illuminante perché lo possono leggere gli appassionati di musica ma anche coloro che non la conoscono affatto. Gould riesce a raccontare il mondo della musica con metafore suggestive e con un linguaggio sorprendente che riesce a trasportare altrove il lettore.

 

Antonio Pascale: Consiglio “Pane e Bugie” di Dario Bressanini non solo perché sfata i luoghi comuni legati all’alimentazione ma per la metodologia critica che utilizza. Bressanini svela con chiarezza il processo mentale che sta dietro la formazione delle stesse opinioni nel “sentire comune” e ciò differenzia nettamente questo libro dagli altri che affrontano lo stesso tema.

 

Francesco Piccolo: Ho amato moltissimo il libro di Edoardo Nesi, “Storia della mia gente”. E’ prezioso perché nella nostra narrativa i racconti dell’alta borghesia, del mondo industriale, sono molto pochi e Nesi racconta il decadimento dell’industria tessile di Prato con lucidità ma, visto che lo fa in prima persona, anche con grande dolore ed empatia. Inoltre mi piace sottolineare il contributo che un romanziere può dare al mondo dell’inchiesta proprio perché può usare una scrittura fatta di esperienza vissuta che può risultare davvero molto potente.

 

Giorgio Vasta: Ho trovato caldo ed incandescente nelle sue percezioni l’ultimo libro di Carlo De Amicis, “La battuta perfetta”. Vi si descrive il percorso di uomo, Canio Spinato, dominato dal desiderio di piacere che prenderà nettamente le distanze dal proprio padre, funzionario RAI legato ad un’idea pedagogica della tv. La scalata del protagonista alle reti commerciali, la sua completa adesione “ai consigli per gli acquisti”, lo porterà a divenire consulente personale  di Silvio Berlusconi per tutto ciò che riguarda le sue battute e la volontà di piacere agli altri. Credo De Amicis riesca ad individuare cos’è accaduto da un punto di vista antropologico alla nostra società e come sia cambiato il concetto stesso di vergogna.

 

Ferruccio Sansa (giornalista de Il Fatto Quotidiano): Consiglierei “Due” di Irène Némirovski, un libro che indaga i rapporti fra uomo e donna. L’autrice, che morì nei lager nazisti, descrive  una lucida analisi della passione che lega i due protagonisti ma analizza anche i singoli componenti che fanno parte di un legame amoroso, influenzando inevitabilmente l’andamento del rapporto stesso.

 

Lorenzo Fazio (direttore editoriale Chiarelettere): Vorrei consigliare “Questo è il paese che non amo” di Antonio Pascale perché è un libro che ci aiuta molto a ragionare sulla mancanza di stile, cultura e bellezza degli ultimi anni di questa nostra Italia martoriata. In Pascale troviamo una denuncia sacrosanta che però ci aiuta anche a riflettere sui nostri giorni, dandoci lo stimolo per ricominciare ad impegnarci in prima persona. Pascale, inoltre, ci fornisce i mezzi per ripensare alla nostra società, portando avanti una cultura di tipo più scientifico che non tenga conto solo dell’emotività ma anche della ragione.

 

Massimo Carlotto: Consiglio “Tre secondi” di Roslund Anders e Hellström Börge perché sconvolge completamente la nostra immagine del romanzo nordico, raccontando per la prima volta l’infiltrazione della mafia polacca in Svezia e di come questo paese, così democratico e civile, reagisca. Un libro dal taglio mediteranno che va assolutamente letto.

 

Fonte: Satisfiction del 3 giugno 2010