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“Un gesto d’amore per Roma contro il degrado che l’affligge”. Intervista a Marcello Sorgi per “Colosseo vendesi (Bompiani).

Marcello Sorgi

Marcello Sorgi

Un libro nato come un gesto d’amore verso Roma in cui uno dei decani del giornalismo italiano, viaggia sul filo dell’assurdo e della fanta-storia, per raccontare parafrasando la nascita del populismo, la situazione in cui versano i giornali e la classe politica italiana. In “Colosseo vendesi” (Bompiani, pp. 198 euro 12) il giornalista d’origini palermitane, Marcello Sorgi – già firma de L’Ora di Palermo, direttore del Tg1 e del quotidiano La Stampa del quale è oggi editorialista – per la prima volta si cimenta con la fiction portando in scena una parodia della scena politica italiana. Lo spunto guarda alla primavera del 2017: il “Governo dei Ragazzi” è caduto. “Il Capo” ha perso le elezioni anticipate e al suo posto è arrivato un “Successore” privo di scrupoli, pronto a tutto pur di salvare l’Italia dal default. Tanto che per risanare il bilancio salta fuori l’idea di vendere uno dei gioielli del patrimonio mondiale, il Colosseo, ad un facoltoso emiro arabo. Un libro ironico, persino cinico nell’evidenziare i difetti della classe politica italiana senza però perdere la speranza sul futuro che ci attende – rappresentata da tre giovani aspiranti giornalisti – «nonostante l’enorme debito pubblico e il populismo dilagante in rete che influenza anche la percezione delle notizie». Leggi il resto di questa voce

“Perché abbiamo fallito così tanto?”. Chigozie Obioma racconta la sua Nigeria ne “I Pescatori”.

Chigozie Obioma

Chigozie Obioma

Lo scrittore nigeriano Chigozie Obioma è stato uno dei protagonisti della settima edizione della kermesse letteraria romana Libri come, già finalista del Man Booker Prize 2015. Classe ’86, grazie alla calda accoglienza di critica e pubblico per il suo libro d’esordio, “I Pescatori” (Bompiani, tradotto con cura da Beatrice Masini), è considerato dal New York Times l’erede di Chinua Achebe. Obioma racconta la vicenda di quattro fratelli, dai nove ai quindici anni – Ikenna, Boja, Obe e Ben – che nella Nigeria di fine anni Novanta, scoprono la libertà quando il Padre viene trasferito in una città distante. Ma conosceranno anche il male, incarnato nel mendicante Abulu, nella sua fosca profezia. Possiamo opporci al dolore, come possiamo restare legati alle persone scomparse senza farci sommergere dalla sofferenza? Al di là di ogni possibile paragone, oggi Obioma incarna una delle voci più interessanti e mature della letteratura africana, capace di raccontare la dura realtà senza bandire dalla pagina elementi fantastici, metaforici ed animisti. Una delle voci su cui scommettere in futuro. Leggi il resto di questa voce

Il giornalista Piero Melati: “oggi il movimento dell’antimafia è all’anno zero”.

Piero Melati

Piero Melati

Cade oggi, in un clima infuocato, il ventitreesimo anniversario della strage di via d’Amelio a Palermo. Il 19 luglio 1992 vennero uccisi da un’autobomba imbottita di tritolo, il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Dopo le dimissioni da assessore alla sanità di Lucia Borsellino – primogenita di Paolo e Agnese – sono giunte le intercettazioni telefoniche – vere o presunte – fra il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta e il chirurgo Matteo Tutino, ad esacerbare il clima di sospetto di possibili collusioni ancora in atto fra stato e mafia. La Gazzetta del Sud ha intervistato il giornalista palermitano Piero Melati – oggi vice caporedattore del “Venerdì” di Repubblica – che seguì per “L’Ora” di Palermo le guerre di mafia e il primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Melati, in “Vivi da morire” (Bompiani, pp.320 €16) racconta – con il giornalista palermitano Francesco Vitale – vicende di mafia e sangue, donando coraggiosamente “voce” ad eroi civili come il giornalista Matteo Rostagno, lo scrittore Leonardo Sciascia, il poliziotto Ninni Cassarà e i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un libro – presentato alla kermesse letteraria palermitana “Una Marina di Libri” – in cui gli autori sussurrano suggestioni che colpiscono in pieno il lettore poiché fanno riferimento a fonti e documenti reali spesso poco noti o dimenticati. Un libro ricco di porte socchiuse, di domande senza risposta che oscilla fra il romanzo e il saggio; dalle tre guerre di mafia alle numerosissime coincidenze nella storia insanguinata della Sicilia sino al Castello Utveggio e lo stadio cittadino, teatro della morte dimenticata di cinque operai da cui si apre la narrazione di questo libro ambientato a Palermo, città metafora della condizione umana. Leggi il resto di questa voce

Daša Drndić: «in che modo la vittima si trasforma in carnefice?». Grandi nomi al Festival Internazionale degli Scrittori a Firenze

Dasa Drndić

Dasa Drndić

Con “Il vestito dei libri” – la lectio magistralis del Premio Pulitzer Jhumpa Lahiri – e la premiazione del “Premio Gregor von Rezzori Giovani Lettori”, mercoledì 10 giugno a Firenze partirà la terza edizione del Festival degli Scrittori, la kermesse internazionale – realizzata da The Santa Maddalena Foundation, presieduta da Beatrice Monti della Corte, e curata da Alba Donati – che promuove l’incontro tra gli scrittori e il pubblico italiano, mediante incontri, reading e tavole rotonde sulla traduzione. Il Festival – che si concluderà venerdì 12 – vedrà la presenza di numerosi scrittori internazionali e italiani – fra cui segnaliamo Michael Cunningham, Andrew Sean Greer, Edmund White, Alberto Manguel, Antonio Scurati e Carmen Pellegrino (finalisti al Premio Campiello 2015), Aldo Nove, Alessandro Mari, Vanni Santoni e le giornaliste Rosa Polacco e Livia Manera Sambuy. Uno dei momenti più importanti sarà il recital “Casanova e dintorni: un viaggio nell’eros” con Alba Rohrwacher e Filippo Timi a dare voce all’eros libertino di Casanova (giovedì 11, ore 19) ma la kermesse è impreziosita anche dal Premio Gregor von Rezzori – Città di Firenze, giunto alla nona edizione. Leggi il resto di questa voce

«Oggi la questione non è religiosa, è metafisica». Pietrangelo Buttafuoco racconta “Il Feroce Saracino”.

Pietrangelo Buttafuoco

Pietrangelo Buttafuoco

«Il mio nome è Giafar Al-Siqilli». Seguito dall’antiterrorismo quando si reca, abitualmente, all’ambasciata iraniana, nel pamphlet “Il Feroce Saracino – La guerra all’Islam. Il califfo alle porte di Roma” (Bompiani, pp.208 €12), lo scrittore e giornalista siciliano Pietrangelo Buttafuoco, ha deciso di svelare il suo intimo rapporto con la religione islamica. Nato – ed è importante dirlo – ben prima che conoscesse i musulmani. La scintilla di questo libro è chiaramente la sanguinosa attualità ma lo scopo ultimo è fra i più nobili: la volontà di combattere l’ignoranza e il pregiudizio spesso aizzati dagli stessi media che, mandando in onda i video e i proclami, finiscono per fare il terribile gioco del califfato di Abu Bakr al-Baghdadi che terrorizza il mondo intero. Dopo il successo ottenuto con “Buttanissima Sicilia” (Bompiani, 2014), il catanese Buttafuoco – già firma de “Il Foglio” e “Il Fatto Quotidiano” – torna in libreria, giudicando la situazione in atto non come una guerra di religione che contrappone l’occidente all’oriente ma una guerra civile globale, una faida interna allo stesso islam caduto in preda alla furia sanguinaria del takfirismo, violento movimento settario sorto nel Settecento. Si tratta, secondo Buttafuoco di «una questione metafisica», dello scontro fra chi difende la civiltà e chi mette in atto la furia devastatrice del terrorismo con echi nichilistici. Ma le pagine più belle sono quelle in cui Buttafuoco rintraccia le forti radici saracene della Sicilia per poi lasciarsi andare al proprio personale racconto con la fede islamica, a partire dal nome scelto, quel Giafar al-Siqilli che durante gli anni gli è costato ironie, infausti auguri e persino la perdita di un amico di lunga data.

Perché ha scritto “Il feroce saracino”?

«Da giornalista vivo immerso nel flusso delle notizie, di ciò che l’attualità chiede, richiede e impone. L’idea di questo libro mi è venuta attraversando l’ennesimo controllo di sicurezza all’aeroporto: mi sono accorto che di volta in volta l’iter è sempre più farraginoso e lento e volevo spiegare le ragioni che stanno esasperando le nostre manie di sicurezza». Leggi il resto di questa voce

#HoLettoCose – Il Feroce Saracino (Pietrangelo Buttafuoco, Bompiani, 2015).

#HoLettoCose – Il Feroce Saracino (Pietrangelo Buttafuoco, Bompiani, 2015).

buttafuoco_saracino-PIATTO-256x420  Gli unici libri che m’interessano sono quelli che dilatano il tempo, lo sottomettono, lo cannibalizzano, imponendosi alla mia attenzione, più urgenti di tutto. Al punto che leggerli non è solo un piacere ma molto di più. Così sono i libri che sono al centro di #HoLettoCose, questa mia rubrica libri emotiva, scanzonata e non richiesta. Ne parlo esclusivamente perché mi hanno folgorato.

  Così è avvenuto con “Il feroce saracino – La guerra all’Islam. Il califfo alle porte di Roma”, il pamphlet del giornalista e scrittore siciliano, Pietrangelo Buttafuoco, edito da Bompiani. Dopo aver letto “Buttanissima Sicilia” e il lirico “I cinque funerali della signora Göring”, aspettavo questa nuova uscita con grande curiosità e visto il tema, il rapporto fra l’Islam e l’Occidente, presagivo scintille, ragionamenti fuori dalle linee, agli antipodi dal perbenismo imperante sulla stampa. Leggi il resto di questa voce

«La letteratura non può avere una funzione civile». Tony Laudadio si racconta

Tony Laudadio

Tony Laudadio

Un attore che scrive romanzi o uno scrittore che recita da anni? Leggendo il noir “Come un chiodo nel muro” (Bompiani, pp.361 €18) può legittimamente sorgere il dubbio che Tony Laudadio avesse potuto scegliere la carriera dello scrittore, riscontrando il medesimo successo ottenuto sul palco. Casertano, classe ’70, Laudadio si è formato alla Bottega di Vittorio Gassman, per poi avviare nel 1993 un lungo periodo di collaborazione con Toni Servillo e successivamente fondare, con Enrico Ianniello, la compagnia “Onorevole Teatro Casertano”. Dopo il successo ottenuto con “Esco” (Bompiani, 2013) Laudadio porta in pagina l’avvocato penalista Giustino Salvato, grande sportivo e lettore appassionato, con una rigida scala di valori morali. Ma in un ambiente in cui il Male ha la personificazione della camorra, nessuno può dirsi veramente innocente e Giustino nasconde un terribile segreto che emergerà indagando su un omicidio che scava nel suo passato amoroso. Presto sarà al cinema diretto da Nanni Moretti in “Mia Madre” e in questi giorni è in scena al teatro Vittorio Emanuele di Messina con “I Giocatori” (ultime repliche sabato 28 alle 21 e domenica 29 alle 17.30).

Ci racconta di cosa parla “I giocatori”?

«“I giocatori” è uno spettacolo di Pau Mirò, diretto da Enrico Iannello. Sul palco siamo quattro disperati (Renato Carpetieri, Enrico Iannello, Tony Laudadio e Luciano Saltarelli) che si ritrovano a casa di uno di loro, un professore di matematica che sta affrontando un processo per lesioni. Si autodefiniscono falliti ma a ben vedere, posseggono una forza e un’energia vitale quasi insospettabile. E in scena, oltre a strappare risate, emergono riflessioni assolutamente contemporanee sul disagio esistenziale di questi tempi». Leggi il resto di questa voce

«Un libro testimonianza dedicato alle donne che soffrono e si vergognano». Katherine Pancol racconta le sue “Muchachas”

Katherine Pancol

Katherine Pancol

«Io non potevo intervenire, l’unica cosa che potevo fare era scriverne. Sono una scrittrice, è questa la mia forza». Così la scrittrice Katherine Pancol racconta la sua reazione, umana e comprensibilmente terrorizzata, davanti alla scena di violenza contro una madre incinta che per anni le ronzò nella mente prima di dar vita al suo nuovo libro, “Muchachas” (Bompiani, pp.340 €10). In realtà si tratta di una trilogia, (dal 1° ottobre è in libreria il secondo volume, pp.320 €17) con protagoniste principali tre giovani donne assai diverse – Hortense, Josephine e Stella – rimbalzando fra Parigi, Londra, New York e Miami, fra il mondo dell’alta moda e quello delle acciaierie della Borgogna, tessendo una rete di intrecci che finirà per legare i loro destini così, apparentemente distanti. Al centro del primo volume – che, con un abile gioco di prestigio, comincia con la leggerezza della voce di Hortense Cortés – c’è la storia crudele di Léonie e del suo marito/carnefice Ray che la tiene in scacco e ne fa la preda delle sue vessazioni violente e mortificanti. Stella, giovane madre e figlia di Léonie, lotterà per tutto il primo volume per salvarla dalle continue percosse ma le sorprese sono dietro l’angolo. E se oggi il femminicidio è protagonista di numerosi libri, il merito della Pancol – già autrice best-seller con “Gli occhi gialli dei coccodrilli” – è quello d’aver saputo ricreare con una prosa sempre fluida, il clima di tensione della vita di provincia parigina, in cui tutto sanno cosa avviene in camera da letto con il perenne timore di farsi avanti. Del resto, il primo ad essersi accorto del talento di questa autrice nata a Casablanca nel 1954, fu un certo Romain Gary

Madame Pancol alla fine del libro lei racconta cosa la spinse a scrivere Muchachas.

«Ero in un caffè a Nizza, l’estate di un paio d’anni fa, quando vidi un uomo sedersi con una donna incinta e due bambini al seguito. Lui la rimproverava duramente finché la schiaffeggiò con forza, più volte. La raggiunsi in bagno, volevo offrirle aiuto ma lui ci raggiunse, mi disse di andarmene altrimenti l’avrebbe picchiata ancora proprio lì. Ma ciò che mi colpì fu lo sguardo di quella donna. Mi supplicava di andare via, come se pensasse di meritare quella punizione, la crudeltà del proprio uomo. Io non potevo intervenire, l’unica cosa che potevo fare era scriverne. Sono una scrittrice, è proprio questa la mia forza». Leggi il resto di questa voce

«Tutti noi abbiamo un cuore primitivo». Andrea De Carlo si racconta

Andrea De Carlo

Andrea De Carlo

A due anni di distanza da “Villa Metaphora”, lo scrittore milanese classe ’52, Andrea De Carlo, torna in libreria con il suo diciottesimo romanzo, Cuore Primitivo (Bompiani, pp. 254, €17.50), portando in pagina la storia di una coppia giunta alla celebre crisi del settimo anno: Craig Nolan, di professione antropologo e Mara Abbiati, scultrice di gatti nel tufo. Come se non bastasse lo sfiorire della passione – De Carlo racconta i loro primi focosi tempi insieme con l’uso di flashback – dovranno anche fare i conti con il terzo incomodo, Ivo Zanonelli: costruttore edile dai modi spicci, chiamato a sistemare il tetto della loro dissestata seconda casa a Canciale, in liguria. Lentamente Ivo si insinua nella vita domestica della coppia – bloccata in quella casa a causa di un infortunio domestico con cui si apre il libro – e a ciascun personaggio, l’autore fornisce la possibilità di raccontarsi in prima persona, ricorrendo sovente ad una pungente ironia.

(http://www.youtube.com/watch?v=cVI2k29KDwQ qui il lancio di “Cuore Primitivo“) Leggi il resto di questa voce

«Gli Stati Uniti non sono il paese dei sogni». NoViolet Bulawayo si racconta

NoViolet Bulawayo

NoViolet Bulawayo

NoViolet Bulawayo è la prima donna di colore e africana ad essere stata finalista al prestigioso Man Booker Prize 2013, traguardo raggiunto con il suo romanzo d’esordio “C’è bisogno di nuovi nomi” (edito da Bompiani, pp. 265 €18). Un libro duro, doloroso ma anche ironico, narrato dal punto di vista di una bambina africana di dieci anni, Darling, e del suo colorito gruppo di amici (accanto a Darling ci sono Chipo, Bastard, Stina, Diolosa e Sbho) ogni giorno in strada a piedi scalzi e malandati, andando a caccia di guava per sopravvivere ai morsi della fame mentre il loro paese cade a pezzi. NoViolet Bulawayo racconta la durissima realtà dello Zimbabwe con il punto di vista candido, ironico e disincantato tipico dei bambini ma anche quando Darling finalmente andrà in America – nella seconda parte del libro – troverà una realtà difficile, molto lontana dal paese delle meraviglie e delle opportunità che le avevano imparato a far sognare. Ospite in questi giorni al Festivaletteratura di Mantova, NoViolet Bulawayo – nata in Zimbabwe e cresciuta negli Stati Uniti, ha cambiato il suo nome di battesimo per tributo alla memoria della madre, persa in tenerissima età – ha risposto alle nostre domande, senza lesinare i suoi personali dubbi in merito al valore degli interventi delle ONG del mondo occidentale nel Darfur, riportando in primo piano il dibattito sull’Aids, una catastrofe sanitaria troppo spesso relegata al silenzio dai mass media.

Questo libro è ispirato alla recente storia del suo paese, lo Zimbabwe. È stato un compito doloroso ma necessario?

«Assolutamente. Ha detto bene, questo è un libro doloroso e deludente perché è la storia di un paese che sta cadendo a pezzi. Ma era anche necessario raccontare una storia alternativa a quella narrata dai mass media, perché di alcuni aspetti non si era mai sentito parlare». Leggi il resto di questa voce