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«Riprendiamoci il nostro futuro». Federico Rampini racconta “All you need is love”.
«All You Need Is Love è un libro-terapia per costruire un futuro diverso. Anzitutto, riprendendoci l’economia». Il giornalista e scrittore Federico Rampini si è sempre distinto per l’estro delle sue idee. Così, dopo aver raccontato il mondo dei banchieri, dei giganti economici asiatici e recentemente, il potere della rete, con “All you need is love – l’economia spiegata con le canzoni dei Beatles” (Mondadori, pp.279 €17) interpreta la nostra crisi economica contemporanea creando un suggestivo parallelo con gli anni ’60 e uno dei loro simboli più forti, i Beatles. Possibile leggere l’economia partendo dalle canzoni dei FabFour di Liverpool? Decisamente sì e oscillando fra presente e passato, passa sotto la lente di ingrandimento la Germania che tira la volata europea ma soprattutto l’America del 1964 – quando vi sbarcarono i Beatles, destinati a divenire mito – e quella attuale, con la presidenza Obama ma anche le nuove sacche di povertà e le proteste di Ferguson contro la polizia violenta. Corrispondente estero di grande esperienza, dopo anni a Pechino, Rampini è tornato negli States e recentemente vi ha ottenuto la doppia cittadinanza. Non senza un curioso intoppo al sapore di guerra fredda… Leggi il resto di questa voce
«Solo una Rivoluzione ci può salvare». Intervista a Jeremy Rifkin
La Terza Rivoluzione Industriale è alle porte e dovremo essere capaci di convertire la nostra produzione energetica altrimenti l’uomo, continuando a cercare combustibili fossili, sprecando le risorse del pianeta Terra, rischia seriamente l’estinzione. Il professore e stimato economista statunitense, Jeremy Rifkin, ha lanciato l’allarme e al tempo stesso, ha tracciato la via della salvezza, profetizzando l’abbandono della politica del possesso capitalista a favore del riciclaggio e soprattutto, della condivisione di prodotti e beni, sotto l’egida di una super Internet. Ospite al Festivaletteratura di Mantova, Rifkin ha presentato il suo nuovo libro, “La società a costo marginale zero – L’internet delle cose, l’ascesa del «commons» collaborativo e l’eclissi del capitalismo” (Mondadori, pp.494 €22) in cui spiega come il sistema capitalistico sia destinato ad essere abbandonato, con l’arrivo dell’«Internet delle cose» e un nuovo sistema economico a costo marginale zero, guardando con ottimismo verso il futuro. «Oggi è importante avere accesso alle risorse – spiega Rifkin, già consigliere per l’energia della UE – e se adesso ci sono 14 miliardi di sensori nel mondo che collegano cose e persone, nel 2030 saranno 100 trilioni». Rifkin, che guarda con fiducia all’economia cinese e tedesca, proprio da Mantova ha rivolto un appello al nostro paese: «L’Italia deve cambiare adesso. Per prima cosa il governo deve sviluppare un progetto economico che preveda questa interazione tra Internet della comunicazione, dell’energia e dei trasporti e servono 36 mesi per cominciare a costruire l’infrastruttura necessaria. Ciò svilupperà milioni di posti di lavoro». Leggi il resto di questa voce
Erica Jong: «Le donne devono lottare. Oggi più che mai».
Cos’è oggi il femminismo? Che cosa significa al tempo dei social network e del pensiero liquido baumiano, lottare per le libertà fondamentali delle donne? Il modo migliore per rispondere a questi quesiti era quello di porli ad una vera e propria bandiera del movimento, la scrittrice e saggista statunitense Erica Jong, che nel 1973, pubblicò un libro manifesto destinato a fare grande scalpore: “Paura di volare”. Ancora oggi, nonostante il successo di libri evanescenti come la trilogia delle “Sfumature di Grigio” di E. L. James, “Paura di Volare” è considerato un libro-cult e in occasione del 40esimo anniversario della sua pubblicazione, la Jong ha incontrato i suoi lettori italiani a Milano (presentando la nuova ri-edizione italiana celebrativa, targata Bompiani). Considerato un capolavoro da Henry Miller, con oltre ventisette milioni di copie vendute nel mondo, “Paura di volare” racconta con tono informale la progressiva liberazione sessuale di Isadora Wing, una giovane poetessa di 29 anni che durante un congresso di psicanalisti a Vienna, incontrerà Adrian con cui tradirà il proprio marito, assecondando prima uno sconosciuto desiderio sessuale e in seconda battura, la voglia di essere libera. Oggi Erica Jong è una grintosa donna di 72 anni, serena accanto al proprio marito. Il quarto. E non ha nessuna intenzione di smettere di combattere per le libertà delle donne.
Ricorre il 40esimo anniversario di “Paura di Volare” e in questi anni lei è assurta a simbolo del femminismo.
«E’ vero, sono passati così tanti anni ma io sono una femminista appassionata. Penso che sia venuto il tempo di cambiare il modo in cui la società legge e declina il ruolo della donna. Noi dobbiamo ancora lottare». Leggi il resto di questa voce
«Con “House of Cards” racconto il lato oscuro della politica. E il suo fascino irresistibile». Lord Michael Dobbs si racconta
È il 1987 quando Lord Michael Dobbs litiga con la lady di ferro, Margareth Thatcher e fuoribondo ma anche addolorato, parte in vacanza con la propria moglie. Dobbs per anni braccio destro della Thatcher – capo del suo staff negli anni al n.10 di Downing Street da primo ministro, dal 1979 al 1990 – aveva intuito che il regno della Thatcher stava per tramontare e pur non avendo mai scritto fiction, un po’ per svago e un po’ per frustrazione, creò il personaggio di un perfido e cinico politico, Francis Urquhart, il cui destino era quello di spodestare il primo ministro e conquistare il potere, mediante una sordida e acuta rete di ricatti e inganni. Scritto ventisette anni or sono, House of Cards, è il romanzo d’esordio bestseller di Lord Michael Dobbs da cui nel 1990 è stata ricavata una miniserie di grande successo della BBC; inoltre, pochi anni or sono è nata una seconda trasposizione targata Netflix, ambientata negli Stati Uniti con attori del calibro di Kevin Spacey e Robin Wright nel ruolo della coppia di protagonisti. Una serie di enorme successo – il presidente Barack Hussein Obama ha twittato “Domani c’è House of Cards, non ditemi nulla” -pronta a sbarcare in Italia, mercoledì 9 aprile, al lancio del canale satellitare Sky Atlantic. Proprio in tale occasione la casa editrice Fazi ha pubblicato il romanzo “House of Cards” (pp.446 €14,90) in cui si narra la scalata al potere del chief whip, Francis Urquhart, partendo da un semplice presupposto: cosa accade se l’uomo che detiene i segreti dell’entourage governativo è così scontento da decidere di far cadere il castello di carte e menzogne? Un libro davvero entusiasmante, ambientato nell’epoca post-thatcheriana, fra intercettazioni, ricatti fotografici e manipolazioni della stampa tanto da risultare di sconvolgente attualità e ciò spiega come sia stato possibile ambientare la serie tv americana ai giorni nostri, traslandola senza traumi alla scalata al successo del protagonista – Frank Underwood piuttosto che Francis Urquhart – verso la carica di presidente degli Stati Uniti, gettando luce sul lato oscuro del mondo politico, sovente con azzeccati echi shakespeariani. “C’è sempre un interesse superiore in politica – racconta Dobbs alla Gazzetta del Sud nella sua tournée italiana – peccato che a volte sia marcio”. Leggi il resto di questa voce
«Ho sempre preferito la finzione letteraria alla realtà». Peter Cameron si racconta
Nel momento stesso in cui consentiamo a uno scrittore di entrare nel nostro personalissimo Olimpo, aspettando con crescente frenesia la pubblicazione (e la traduzione) del suo ultimo libro per poi divorarlo nello spazio di pochi giorni, qualcuno di buon cuore dovrebbe rammentarci che anche il più magnetico dei romanzieri – capace di affascinarci con la sua prosa e l’inventiva delle sue trame – rimane sempre un essere umano, con i pregi ma anche con i suoi difetti e umane debolezze. Ci risparmieremmo cocenti delusioni dinanzi alle bizze e ai capricci cui spesso sono abituati gli addetti ai lavori del mondo editoriale. Rammentando questa verità ho incontrato per Linkiesta il romanziere statunitense, Peter Cameron, autore di punta per la casa editrice Adelphi, tornato in libreria con Il Weekend, dopo i grandi successi raccolti con Quella sera dorata (115 mila copie, 17 edizioni) e Un giorno questo dolore ti sarà utile (157 mila copie, 20 ed.) cui sono seguiti Paura della matematica e il più recente Coral Glynn. L’autore era in Sicilia per la sua prima volta inaugurando un tour promozionale che si concluderà con due attesi incontri al Festivaletteratura di Mantova. Fortunatamente, è bastato uno sguardo a quest’uomo di 53 anni, dal fisico asciutto e lo sguardo tenero, per tirare un sospiro di sollievo: Peter Cameron è esattamente come te lo immagini. La sua voce calma e profonda sembra venire fuori direttamente dalle pagine dei suoi libri densi di pathos, costantemente tesi a indagare l’animo umano alla ricerca del significato delle nostre passioni, con uno stile satinato e una prosa sempre elegante, persino nel cogliere con precisione le idiosincrasie che mandano in pezzi gli amori apparentemente più solidi e borghesi. Leggi il resto di questa voce
Yoani Sànchez: «Il mio posto non è altrove ma in un’altra Cuba».
Proprio come Phileas Fogg, il personaggio creato dal visionario Julius Verne, anche la giornalista e blogger cubana Yoani Sànchez ha deciso di compiere il giro del mondo in ottanta giorni. Tuttavia se viaggiare testimonia da sempre curiosità e voglia di superare i confini, tanto mentali che geografici, per Yoani questa esperienza ha un sapore diverso, ben più profondo. Difatti il suo peregrinare, cominciato il 18 febbraio scorso con prima tappa a Sao Paulo do Brasil, è la testimonianza di una riconquistata libertà di fatto ovvero il venir meno della necessità di ottenere il permesso di uscita dal paese (“permiso de salida”) che le era stato vietato per ben venti volte dal regime cubano sotto la guida di Fidel Castro. Incarcerata due volte, soggetta a soprusi e violenze dalla polizia di regime, Yoani ha narrato sul suo seguitissimo blog – Generaciòn Y – e su Twitter, la vita di tutti i giorni a Cuba, più forte persino della disperazione che la coglieva dinanzi alle morti premature e apparentemente inspiegabili, di altri colleghi giornalisti, considerati liberi almeno quanto scomodi. Già nel 2008 il celebre magazine Time l’ha inserita fra le 100 persone più importanti, premiandone la giornaliera denuncia circa le violazioni dei diritti umani e le sue inchieste giornalistiche. Ma Yoani è ben lungi dall’essere un’icona da tutti osannata. Difatti in ogni tappa è stata oggetto di proteste da parte dei filocastristi e non ha fatto eccezione la sua presenza al Festival del Giornalismo di Perugia. La sua colpa, secondo gli agguerriti contestatori, sarebbe quella di essere “corrotta, al soldo dell’imperialismo americano”. Anche stavolta ha assistito con stoica pazienza, sorridendo dinanzi agli insulti che le rivolgevano e augurandosi che «una libera protesta, un giorno, si possa compiere anche a Cuba». Proprio in occasione delle tappe italiane del suo viaggio, ha rilasciato questa intervista con l’ausilio del suo traduttore ufficiale, Gordiano Lupi, autore del libro “Yoani Sànchez – In attesa della primavera” (Anordest edizioni), in cui trovano spazio una ricca biografia della blogger cubana e l’intervista integrale che realizzò con Barack Obama, già aperto ammiratore del suo lavoro.
Cosa rappresenta per lei questa primavera che evoca il titolo?
«“In attesa della primavera” è un libro curato da Gordiano Lupi che si sforza di raccontare gli ultimi sei anni di vita a Cuba. Non solo, attraverso la ricostruzione della mia esistenza, narra trentasette anni di realtà cubana, la disillusione rivoluzionaria, l’utopia imposta, le prime contestazioni, il desiderio di fuga, il doppio sistema monetario, la totale mancanza di libertà e gli atti di ripudio. La primavera cubana dovrebbe partire da una presa di coscienza delle nuove generazioni che la soluzione ai problemi di Cuba non è la fuga, ma restare e lottare per cambiare il sistema dall’interno ».
Ha dichiarato che “senza un’educazione digitale le nuove generazioni non saranno davvero libere” e intanto i regimi asiatici dimostrano di essere sempre più attenti al web e ai social network. La lotta per l’informazione libera sarà sempre più ardua?
«A Cuba, il fatto che internet possa essere libero è un’utopia. Noi siamo l’isola dei non connessi. Nessuno, a meno che non faccia parte dell’apparato governativo, possiede una connessione internet domestica. La rete è molto importante per la circolazione delle idee, soprattutto in un paese come Cuba dove ogni media giornalistico è nelle mani del governo. Lottare perché internet sia libero equivale a lottare per la libertà».
I suoi tweet hanno squarciato un velo di ignoranza sul regime cubano ma la sua caparbia le è costata anche il carcere. Ha mai pensato di non farcela, di dover mollare?
«Ogni giorno mi alzo e cerco di vincere la paura, il timore di non farcela. Ogni giorno mi dico che devo continuare a lottare. Per mio figlio, per chi verrà dopo, perché quando sarò vecchia e porterò i miei nipoti a passeggio in un parco voglio avere risposte esaurienti da dare, invece di dire che non ho fatto niente per cambiare le cose. E poi non mi resta che agire per sentirmi protetta, la notorietà raggiunta è il mio ombrello protettivo nei confronti dei repressori».
Da sempre lei è contraria all’embargo americano contro Cuba. Ci spiega perché?
«Prima di tutto non ha raggiunto lo scopo ovvero far cadere il regime, piuttosto è servito solo a creare problemi di sussistenza per la popolazione. I gerarchi cubani, infatti, non risentono minimamente dell’embargo, mentre il povero abitante di Centro Havana soffre sulla sua pelle la penuria dei generi di prima necessità. Inoltre, l’embargo è da tempo la giustificazione migliore per il governo cubano per giustificare la mancanza di libertà e il disastro economico. Voglio che tutto questo finisca!»
Sorprende il fatto che i deputati della Izquierda Unida (coalizione politica spagnola di sinistra radicale e antieuropeista) abbiano rifiutato di incontrarla a Madrid. Ancora oggi il regime cubano è considerato un’entità utopica?
«Non c’è niente di sorprendente. Il governo cubano dispone di fiancheggiatori e sostenitori in tutto il mondo. Ha saputo costruire una rete importante per diffondere consenso e menzogne. L’utopia del sistema comunista egualitario viene propagandata con tutti i mezzi possibili e immaginabili. Qualcuno crede al mito in buona fede, altri meno… Inesistente, in realtà è l’idea di un capitalismo di Stato! »
Ha dichiarato che tornerà a casa per fondare un giornale libero ma se le chiedessero di impegnarsi politicamente in prima linea per una nuova Cuba?
«Il mio posto non è altrove ma in un’altra Cuba. Per questo tornerò. Fare politica non è il mio mestiere. Ci sono persone molto più adatte di me come Rosa Maria Payá ed Eliecer Avila. Il mio ruolo sarà sempre quello della giornalista. Il mio sogno è quello di fondare un giornale libero per controbattere le menzogne preconfezionate dalla propaganda».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud