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Matera, Wff: la casa del cielo. Nicky Persico racconta la sua Matera
Ci sono posti, al mondo, dove le stelle si danno segreto convegno. Si divertono a creare alchimie e congiunzioni astrali sinuose, attraendo nella loro sfera le persone sintonizzate su lunghezze d’onda emotive scelte con cura di volta in volta. E tutto ha inizio.
Ho sempre pensato che le emozioni sono come colori: hanno diversità di pigmento, sfumature, combinazioni. Sul WFF è scesa, quest’anno, un’aura rosso amaranto che virava ad un tenue arancione, come fosse un luminoso tramonto capace di infondere calma: come se non ci fosse nulla, dopo. Come se il cielo, finalmente pago, avesse deciso di fermarsi lì.
Questa atmosfera, invero, la conoscevo già dal 2011, quando aggirandomi tra le vie lastricate di pietra con il mio badge di aspirante scrittore appeso al collo, rubavo con un 300 millimetri le espressioni più incantate. Mi sentii sin da subito capito: questo è un tipo strano. Tanto che ‘Il giornale’ scrisse di “quasi 200 donne e un uomo, avvocato che scrive sotto pseudonimo femminile”.
Ma a parte gli scherzi, strano io un po’ mi ci sento, in verità, mentre in realtà lo sono davvero: perché a volte mi immergo totalmente in tutto quel che ho intorno, di cui divengo osservatore incognito. E quella prima volta scattavo anche, cristallizzando volti, occhi, luce e anche Alessia Gazzola: fotogrammi in cui credevo di averne colto l’essenza.
Quest’anno l’ho rivista, e ho avuto certezza di non essermi sbagliato: lei e Gabriella Genisi hanno creato un’armonia concentrica, e uno spiraglio ha fatto defluire il fascino riservato di queste due splendide scrittrici, generosamente fattesi persone una volta asserragliati i cuori al sicuro nella Libreria dell’Arco. Leggi il resto di questa voce
La mia Matera. Alice Di Stefano al Women’s Fiction Fest
Le donne non fanno squadra, si dice. Oppure la fanno, ma solo dopo essersi conosciute meglio e aver superato, magari, l’innata rivalità, inutile corazza davanti ai mali del mondo. Prima, è tutto uno studiarsi, un prendere le misure, tra sguardi in cagnesco mascherati da sorrisi, discorsi con sottotesti più o meno espliciti, complimenti non troppo convinti.
Gli scontri quindi sono all’ordine del giorno anche a Matera, quasi calendarizzati ogni fine settembre in occasione del Women Fiction Festival (aperto, bada bene, anche agli uomini che, incauti, ne volessero tentare l’esperienza). Non a caso, il premio assegnato ogni anno a una scrittrice con tanto di prezioso monile è intitolato alle baccanti, le violente isteriche pazze dell’immaginario classico, che, reicarnate nelle iscritte al festival, a me, prima di partire, mettevano tanta, tanta paura…
Appena arrivata, in realtà, i sorrisi delle scrittrici o aspiranti tali, nei bar, nei ristoranti o nelle chiese della città, erano l’unico segnale di un movimento altrimenti invisibile eppure vitale. Ma è un terreno scivoloso quello di Matera – se piove, si rischia di cadere – e tra i vicoli della Gerusalemme d’Italia, città unica al mondo, bellissima, chissà cosa non accade a chi vi arriva da fuori. Leggi il resto di questa voce
Il mio Stoleggendo. Alice Di Stefano racconta la sua esperienza da #readerguest
Amo molto Facebook; Twitter lo capisco poco. Un giorno però Francesco Musolino passa a trovarmi in casa editrice e, con quello che solo dopo ho capito essere il suo consueto entusiasmo, mi parla di tutto: di libri, di scrittura, festival, fiere, Roma, Messina e… Twitter. E proprio quel giorno, dalla sala riunioni della Fazi, parte il mio primo tweet. Ed è imprinting. Immediato.
Trascinante, vitale, energico, l’ideatore di @Stoleggendo (mi parlò subito del suo progetto, ovviamente) per me, oca selvatica alle prime armi, fu come una madre, del tipo di quelle descritte da Lorenz, sia chiaro. Da lì, e lì, l’invito a fare da #readerguest (parola a me sconosciuta), invito subito rifiutato data l’ignoranza del vocabolo e anche del mezzo. Circa due mesi dopo, due mesi di timidi tentativi su Twitter con l’account @alidiste e la foto del profilo col fritto di pesce, ecco che mi ritrovo annunciata come #readerguest per il 14 giugno e inserita in una lista di persone illustri, tutte tecnologicamente parlando senz’altro più abili e navigate di me. Panico. Paura. E ora che gli dico? Che non posso? Anche se nel frattempo, a dir la verità, mi ero un po’ impratichita con un paio di interviste cinguettanti che mi avevano molto divertita per le insolite modalità di comunicazione allargata a proposito di libri.
E arriva finalmente la sera che precede il grande giorno. Non ho più paura ormai, ho semplicemente rimosso, decidendo di andare a letto presto e pensando a tutt’altro. Leggi il resto di questa voce
«Con “House of Cards” racconto il lato oscuro della politica. E il suo fascino irresistibile». Lord Michael Dobbs si racconta
È il 1987 quando Lord Michael Dobbs litiga con la lady di ferro, Margareth Thatcher e fuoribondo ma anche addolorato, parte in vacanza con la propria moglie. Dobbs per anni braccio destro della Thatcher – capo del suo staff negli anni al n.10 di Downing Street da primo ministro, dal 1979 al 1990 – aveva intuito che il regno della Thatcher stava per tramontare e pur non avendo mai scritto fiction, un po’ per svago e un po’ per frustrazione, creò il personaggio di un perfido e cinico politico, Francis Urquhart, il cui destino era quello di spodestare il primo ministro e conquistare il potere, mediante una sordida e acuta rete di ricatti e inganni. Scritto ventisette anni or sono, House of Cards, è il romanzo d’esordio bestseller di Lord Michael Dobbs da cui nel 1990 è stata ricavata una miniserie di grande successo della BBC; inoltre, pochi anni or sono è nata una seconda trasposizione targata Netflix, ambientata negli Stati Uniti con attori del calibro di Kevin Spacey e Robin Wright nel ruolo della coppia di protagonisti. Una serie di enorme successo – il presidente Barack Hussein Obama ha twittato “Domani c’è House of Cards, non ditemi nulla” -pronta a sbarcare in Italia, mercoledì 9 aprile, al lancio del canale satellitare Sky Atlantic. Proprio in tale occasione la casa editrice Fazi ha pubblicato il romanzo “House of Cards” (pp.446 €14,90) in cui si narra la scalata al potere del chief whip, Francis Urquhart, partendo da un semplice presupposto: cosa accade se l’uomo che detiene i segreti dell’entourage governativo è così scontento da decidere di far cadere il castello di carte e menzogne? Un libro davvero entusiasmante, ambientato nell’epoca post-thatcheriana, fra intercettazioni, ricatti fotografici e manipolazioni della stampa tanto da risultare di sconvolgente attualità e ciò spiega come sia stato possibile ambientare la serie tv americana ai giorni nostri, traslandola senza traumi alla scalata al successo del protagonista – Frank Underwood piuttosto che Francis Urquhart – verso la carica di presidente degli Stati Uniti, gettando luce sul lato oscuro del mondo politico, sovente con azzeccati echi shakespeariani. “C’è sempre un interesse superiore in politica – racconta Dobbs alla Gazzetta del Sud nella sua tournée italiana – peccato che a volte sia marcio”. Leggi il resto di questa voce
Dietro un grande libro c’è (spesso) l’intuizione di un editor. Cristina Marino racconta “la scoperta” di Stoner
Chi c’è dietro un successo editoriale? Cosa determina il trionfo di un titolo in libreria? Certamente i lettori che l’hanno scelto e acquistato; i librai, poiché l’hanno selezionato fra tanti, consigliandolo ai clienti; e infine l’editore che l’ha pubblicato e promosso, investendo su quell’autore, dandogli fiducia. Tutto qui? Non proprio. Alla base del successo del libro c’è la compartecipazione di tanti fattori e una buona dose di fortuna ma non si può tralasciare il lavoro di scouting ed editing sul testo ovvero il ruolo giocato dagli editor. In genere di loro si sa ben poco (lo fu Italo Calvino per Einaudi e molto si è detto del rapporto fra Raymond Carver e Gordon Lish) salvo nei momenti d’improvvisa notorietà, come nel caso di Cristina Marino, editor per Fazi editore: si deve proprio a lei la scoperta di “Stoner”, il libro firmato dal compianto scrittore americano John E. Williams, eletto libro dell’anno 2013 a furor di popolo. Cristina Marino – editor romana classe ‘78 – ha già all’attivo altri colpi importanti, su tutti il ritorno in Fazi di Elizabth Strout con la pubblicazione di Olive Kitteridge – con cui l’autrice vinse il Premio Pulitzer nel 2009 – e la scoperta per il pubblico italiano di Kevin Wilson (“La famiglia Fang”, 2012) e Shane Stevens, (“Io ti troverò”, 2010). Uscirà proprio oggi, attesissimo, l’ultimo inedito di John Williams, “Nulla solo la notte” (Fazi editore, pp.144 €13,50) eppure è ancora forte e in modo sorprendente, la Stoner-mania.
«Appena ho terminato di leggerlo, nel 2010, avevo la chiara sensazione che Stoner fosse un testo forte, capace di descrivere con onestà la vita di un uomo semplice». Era un libro eccezionale? «Sì, aveva una scrittura illuminante ma la potenza dell’editore e la grande operazione promozionale hanno senz’altro avuto un peso determinante». “Nulla, solo la notte”, è il romanzo d’esordio di Williams – scritto a vent’anni fra il ’42 e il ’45 – in cui si racconta l’intera giornata di un dandy californiano, Arthur Maxley, scandita da alcuni disparati incontri con, sulla pagina, l’eco delle domande fondamentali fatalmente senza risposta. Come in Stoner – in cui si racconta la vita di un uomo semplice che si affranca faticosamente dalla vita contadina – non è la sinossi a destare sensazione ma la scrittura, la sua impressionante chiarezza sulla pagina. Oggi Stoner è un fenomeno dell’editoria mondiale «ma noi acquisimmo i diritti senza alcun asta, nessuno sapeva chi fosse Williams. Eppure – prosegue la Marino – quando venne ristampato in America nel 2010, vendette 50 mila copie ed ebbe grandi recensioni, inclusa quella del premio Oscar, Tom Hanks, che ha già annunciato di voler portare Stoner sul grande schermo».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud
«Non esiste una ricetta per trovare la felicità». Intervista in anteprima a Silvia Noli, da oggi in libreria con “Adelante”
Come si vive al tempo del precariato? Quando l’instabilità ingloba tutto, sentimenti salute e lavoro, come si può anche pensare d’essere felici? E allora dovremmo forse smettere di crederci, piantarla di aspettarci il lieto fine e vivere in modo spietato e disilluso? L’esordiente Silvia Noli propone una terza via, ilare ma sagace, che mette in pagina nel suo “Adelante”, in libreria dal 20 febbraio per Fazi editore (Le Meraviglie fiction, pp.272, €13). Di lavoro in lavoro in lavoro, di precariato in precariato e con una famiglia alle spalle colorita, litigiosa e certo non d’aiuto, la protagonista di “Adelante” cerca un equilibrio in un tempo in cui tutto sembra sottosopra, senza però rinunciare al sorriso, al lato surreale della vita. Riccardo Gazzaniga (autore di “A viso coperto”, vincitore XXV° Premio Calvino) l’ha definita la Amelie Nothomb italiana. In anteprima per il mio sito, francescomusolino.com, l’esordiente Silvia Noli si racconta, rispondendo alla dichiarazione-provocazione di Fabio Volo su quanto valga uno stipendio da 1200 euro al mese…
“Avanti, sempre avanti”. Un motto di speranza per sopravvivere?
«Si, se l’interessato, come la protagonista di questa storia, non è in grado di ‘stare’, per cui crede di trovare scampo in un perenne moto da luogo e da se stessa, senza accorgersi di essere sempre punto a capo, soltanto più ammaccata. D’altra parte ‘stare’ con se stessa e con la realtà circostante richiede un grado di consapevolezza che non possiede ma della quale inizia a sospettare l’importanza… Allora via di nuovo a pedalare, in ricerca, ma di fretta, nell’unica modalità di cui è capace. Un viaggio maccheronico, di cui vale la pena tenere un diario e scattare foto a panorami e compagni di brigata. Ripercorrere i vissuti è d’altronde un lavoro da cercatori d’oro, ogni accidente, ogni personaggio è una pepita da cui estrarre aneddoti comici, insegnamenti, mattane e inaspettate rivelazioni». Leggi il resto di questa voce
Il mondo editoriale che non t’aspetti. Intervista ad Alice Di Stefano, autrice di Publisher
Alice Di Stefano per professione è un editor. Figlia della compianta scrittrice Cesarina Vighy, ha creato la collana Le Meraviglie – incentrata sulla narrativa umoristica in ogni sua sfumatura – e si occupa della narrativa italiana a tutto tondo per la casa editrice Fazi dal 2008, scegliendo e curando i testi degli autori italiani, esordienti e non. Con “Publisher” (pp.348 €16), ha coraggiosamente scelto di esordire – proprio edita da Fazi – ponendo al centro del suo libro d’esordio…se stessa e suo marito, Elido Fazi ovvero il Publisher, l’Editore. Messa così potrebbe sembrare un libro meramente farsesco e autocelebrativo ed invece la Di Stefano padroneggia bene il genere dell’autofiction – in gran voga in Francia mentre in Italia è Antonio Pascale il suo più riuscito interprete – e armatasi di una bella dosa di ironia ha voluto raccontare la sua vita a stretto contatto con il mondo editoriale italiano, fra luci ombre e protagonismi d’ogni sorta. Se all’inizio era quasi uno scherzo, Publisher finisce per fotografare il mondo editoriale da dietro la scrivania, dalle riunioni interne alle cene con gli autori, dai brindisi festosi sino alla crisi attuale, consegnandoci un ritratto divertito e divertente, senza troppi fronzoli né deferenza.
Con un tono ironico tratteggia la follia, il lato grottesco, l’estrosità del mondo letterario. Com’è nato questo libro?
«Il mondo letterario in realtà era solo lo sfondo su cui far muovere i miei personaggi, appartenenti di necessità all’ambiente dell’editoria. Il protagonista del libro, infatti, dopo aver vissuto diverse metamorfosi attraversando i settori più diversi (dal giornalismo economico al business alla politica), decide di diventare editore. Al centro del romanzo pongo la vicenda paradigmatica di un ragazzo che, partendo da un piccolo paese di provincia, arriva a costruirsi una vita e una carriera grazie a un carattere e una tenacia davvero speciali. I miei modelli, a dire il vero, per questa che si potrebbe definire un’auto-biofiction umoristica, sono stati la commedia sofisticata americana degli anni Trenta ovvero quei film con coppie litigiose che vanno avanti a forza di battute brillanti e piccoli dispetti per tutta la durata del film». Leggi il resto di questa voce
Pierre Lemaitre, premio Goncourt 2013: «il dramma della disoccupazione ci sottrae la nostra dignità»
Il futuro del mondo lavorativo sarà sempre più cinico e il management aziendale, trovandosi dinnanzi ad una forza lavoro proporzionalmente sempre più numerosa e disperata, potrebbe arrivare, un giorno non lontano, ad arrogarsi persino il diritto di vita o di morte, in cambio del miraggio di un impiego remunerato. Questa considerazione amarissima è uno dei concetti chiave del nuovo libro di Pierre Lemaitre, “Lavoro a mano armata”, edito da Fazi editore (pp. 449 euro 16,50 trad. it. Giacomo Cuva) e vincitore in patria del Prix Le Point du polar européen come miglior romanzo noir. Il romanziere transalpino, già apprezzato autore di “Alex” e “L’abito da sposo”, è un grande appassionato di Hitchcock e anche in questo libro riesce a portare in pagina una prosa spiazzante per durezza e una tensione assai reale (speriamo di ritrovarla anche nel film che ne verrà tratto, con Sandrine Bonnaire nel cast). Protagonista del romanzo è Alain Delaimbre, un manager cinquantasettenne, un quadro disoccupato. Disposto a tutto pur di non perdere del tutto la dignità, Alain si arrangia con lavoretti degradanti per guadagnare poche centinaia di euro, dando fondo ai risparmi per mantenere almeno le apparenze. Nonostante l’appoggio della moglie Nicole, la voce narrante di Alain, ci racconta una vera e propria odissea emotiva. Aver perso il proprio lavoro non lo priva soltanto della sicurezza ma del ruolo di capofamiglia, persino della propria virilità agli occhi della società, delle figlie stesse. E poi all’improvviso “si libera” una posizione di alto profilo che sembra ritagliata sulle sue qualifiche professionali e nonostante sia di gran lunga il più anziano dei candidati, viene ammesso alla selezione; ma tutto ciò nasconde un gioco di ruolo assai crudele ovvero la creazione di un finto commando per la messa in scena di finto rapimento, al fine di testare la fedeltà dei dirigenti dell’azienda. Ma quando il tranello esce allo scoperto Alain si troverà solo, senza alcun freno inibitore a far da rete di protezione…