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Amos Oz: «in Sicilia respiro aria di casa».
«Passeggiando per le strade di Taormina, passando in mezzo alle persone, ovviamente non capivo cosa dicessero ma il linguaggio del corpo e la gestualità mi hanno dato i brividi. Mi sono sentito improvvisamente a casa». Attesissimo, lo scrittore israeliano Amos Oz – i cui romanzi sono tradotti in 41 lingue – ieri è stato una delle stelle della serata inaugurale dell’ottava edizione del Taobuk – dedicata al tema Rivoluzioni – ritirando il Taormina Awards for Literary Excellence.
Taormina riavrà la sua storica libreria.
«Una vittoria per tutti, soprattutto per la cultura e la nostra Taormina». Giubilante, Antonella Ferrara commenta a caldo la notizia ufficiale che la sua storica libreria Bucolo, «l’unica da quasi 20 anni a servire da Taormina il territorio nel raggio di 50 km», verrà ospitata nei locali di Palazzo Ciampoli – gioiello dell’architettura gotico-catalana di proprietà del demanio regionale, che domina l’omonima scalinata affacciata sul corso principale di Taormina – come assicurato dall’assessore dall’Assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità Siciliana, Carlo Vermiglio. «Sono molto felice che l’Assessorato abbia accolto il nostro grido d’aiuto – prosegue la Ferrara – risolvendo una criticità e mettendo a disposizione un bene nella disponibilità della Regione siciliana con una scelta politica forte. Tutto ciò va nella direzione dell’auspicata integrazione fra pubblico e privato, uno dei punti principali della nuova, buona politica. Palazzo Ciampoli concede i locali ma la libreria offrirà dei servizi attivi, tenendo aperta la struttura e offrendo una serie di attività alla città, diventando finalmente anche un vero centro di aggregazione culturale, traendo giovamento da una direttiva nazionale per concedere immobili ad equo canone alle librerie storiche cittadine per evitarne la chiusura». Leggi il resto di questa voce
I grandi della letteratura risplendono a Taormina. Antonella Ferrara presenta TaoBuk2015
Il premio Nobel turco Orhan Pamuk, lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, il violinista Uto Ughi, il magistrato Raffaele Cantone e la cantante israeliana Noa, saranno le star della serata inaugurale della quinta edizione della kermesse culturale Taobuk-Taormina International Book Festival che si svolgerà il 19 settembre al Teatro Antico di Taormina. Il festival, ideato e diretto dall’imprenditrice siciliana Antonella Ferrara e dal giornalista e scrittore Franco Di Mare, si concluderà il 25 settembre e quest’anno riguarderà il tema “Gli ultimi muri”, inteso come il necessario superamento delle barriere ideologiche, culturali e sociali derivanti dai conflitti della stretta attualità. Del resto, anno dopo anno, TaoBuk si è messo in luce nella serrata competizione dei festival letterari italiani, attestandosi come il salotto culturale al centro del mar Mediterraneo grazie alla partecipazione di grandi personalità del mondo della letteratura. Numerosi gli ospiti presenti nel ricco programma della quinta edizione fra cui spiccano David Levitt, Daria Bignardi, Stefano Benni, Vinicio Capossela, Don Ciotti, Alessandro D’Avenia, Marco Missiroli, Letizia Muratori, Luca Sofri, il premio Strega Nicola Lagioia, lo chef Carlo Cracco e il fondatore di Eataly, Oscar Farinetti. Leggi il resto di questa voce
«Nessuno può proteggerci da noi stessi». Daria Bignardi racconta “Santa degli impossibili”.
«Quando noi rinunciamo alla nostra vocazione, qualunque essa sia – dallo scrivere al volontariato, dall’essere madri al desiderio di esplorare il mondo – rischiamo di ammalarci. E con ciò che rimuoviamo dobbiamo fare i conti, presto o tardi». Dopo il successo ottenuto con “L’amore che ti meriti”, la giornalista ferrarese Daria Bignardi ritorna a stretto giro in libreria con “Santa degli impossibili” (Mondadori, pp.112 €12) in cui affronta temi cari quali il bisogno degli altri e la necessità di fare i conti con noi stessi e con tutto ciò che avremmo voluto essere un giorno. La protagonista, Mila, è una donna ricca di sospesi e di progetti incompiuti che sembra essersi smarrita decidendo liberamente di cambiare vita, sposando Paolo e divenendo madre ma un incontro casuale con Santa Rita, la santa delle missioni impossibili e delle cause perse, le permetterà di ritrovare, forse, la propria strada in una Milano che fiorisce attorno all’umanità dolente del carcere di San Vittore senza mai curarsene. La Gazzetta del Sud ha intervistato Daria Bignardi che sarà ospite alla kermesse letteraria TaoBuk2015 (giovedì 24 settembre a Taormina). Leggi il resto di questa voce
«Un uomo, un voto. Da questa consapevolezza partono tutti i cambiamenti». Luis Sepúlveda a Taormina racconta le sue battaglie.
Seduto nel giardino all’aperto dell’Hotel San Domenico di Taormina, Luis Sepúlveda fuma una sigaretta fatta a mano e parla di letteratura, con passione. E’ la star della quarta edizione del TaoBuk festival – kermesse letteraria presieduta da Antonella Ferrara che si concluderà il prossimo venerdì 26 – e ascoltandolo parlare si ha la netta sensazione che sia una di quelle persone che merita il grande successo ottenuto. Quasi sessantacinquenne (li compirà il prossimo 4 ottobre) gli occhi di questo pluripremiato e amatissimo scrittore cileno, emanano una grande serenità quando confessa di non aver mai coltivato l’odio per i suoi aguzzini, nonostante abbia passato più di due anni e mezzo in una minuscola cella a seguito del colpo di stato militare che, nel 1973, depose l’allora presidente cileno, Salvator Allende. Da allora la vita di Sepúlveda è stata incentrata all’attivismo civile – al fianco dell’Unesco e Greenpeace – e dopo anni da cronista e inviato speciale in Africa e Sud America, nel 1989 cominciò a scrivere narrativa. Con enorme successo. Ospite a Taormina per ritirare il TaoBuk Award, il legame di Sepúlveda con la Sicilia è forte e radicato nel tempo – nel 1999 ritirò ad Agrigento l’Efebo d’Oro e questa è la sua quarta visita sull’isola – e la sua passione per la scrittura è sempre forte: «ho scritto una nuova fiaba, parlerà di un cane molto speciale e un libro di racconti. Ed entro l’anno spero di terminare un nuovo romanzo».
Lei sembra perfettamente a suo agio in Sicilia…
«Sì, questa terra è parte della mia geografia sentimentale. E’ un luogo così diverso dal resto d’Italia, al confine con l’Europa, qui ci si sente veramente nel sud del mondo.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Camilleri rappresentano il suo legame narrativo invece.
«Quando lessi la definizione della malinconia di Tomasi di Lampedusa, la felicità dell’essere triste, mi colpì ma io non volevo essere un uomo melanconico. Camilleri è un grande maestro, un vero amico, capace di scrivere in un modo che riecheggia lo stile classico ma al tempo stesso è modernissimo. Mi colpisce sempre il trattamento dei suoi personaggi, unico nella letteratura contemporanea. Camilleri è uno scrittore impressionista, capace di dire molto con poche parole». Leggi il resto di questa voce
Jason Lewis: «La vanità? Non è il mio peccato preferito».
TAORMINA. Centinaia di fans lo attendevano da giorni ovvero sin da quando la produzione del Taormina Film Festival aveva annunciato la sua presenza e quando l’attore-modello Jason Lewis ha fatto il suo ingresso al Palacongressi l’applauso è esploso in modo automatico, liberatorio. Il secondo giorno della 58° edizione della kermesse internazionale comincia nel segno della bellezza e del glamour, aggiungendo quel tocco di lustrini e flash impazziti che mancava da qualche edizione.
Il direttore artistico del festival, Mario Sesti, lo ha accolto sul palco cercando di non cadere mai nel cliché del “bello ma stupido” e Jason Lewis, con una camicia sbottonata ad arte sul torace, non si è fatto pregare, rispondendo con grande sincerità alle curiosità nate dalla visione di tre tranches di clip che hanno arricchito l’incontro.
Nato in California, la sua carriera inizia con un cameo nel popolare telefilm Beverly Hills 90210, ma il ruolo che lo fa conoscere al grande pubblico è quello di Smith nel telefilmSex and the City. Ha partecipato a sette episodi del telefilm Brothers & Sisters, e dal 2004 al 2006 è stato fidanzato con la bella e sensuale attrice Rosario Dawson. Infine è tornato ad interpretare Smith nel film Sex and the City (2008) e nel sequel, Sex and the City 2.
Che ne pensi del nostro Belpaese?
«L’Italia la conoscevo già. Da piccolo la visitai, ospite di amici di famiglia e poi ho anche avuto la fortuna di conoscere e lavorare con Alessandro Benvenuti, un regista per il quale provo una grande stima».
Che differenze hai incontrato a livello professionale fra i due paesi?
«Forse non ci crederete ma gli USA hanno una trafila burocratica più rigida mentre da voi…tutti fanno squadra, sembra sempre una grande famiglia».
Modello-attore: quanto conta essere belli nel tuo mestiere?
«Conta. Sarei uno stupido se non lo ammettessi ma può essere anche un problema, soprattutto a livello personale, affettivo. Sono molto fortunato perché ho attorno a me tanti veri amici che mi fanno da rete di sicurezza. La vanità è molto pericolosa in questo mondo. Molti ne sono davvero dipendenti».
La tua esperienza da modello ti ha aiutato per cominciare a recitare?
«Moltissimo. Sapevo dove dovevo guardare e non ero intimidito dalla macchina da presa. E’ stato un bel vantaggio».
A proposito, com’è andato il provino per Sex and the City?
«Avrei ucciso un paio di persone per quel ruolo (ride). A dirla tutta sono stato semplicemente fortunato ad essere arrivato nel momento giusto, per il ruolo giusto».
Ma come ti spieghi l’enorme successo internazionale di questa seria?
«Sono lontani i tempi in cui la tv faceva spazzatura. Ormai gli investimenti maggiori sono rivolti al mondo televisivo e questo ha portato i migliori registi e i migliori sceneggiatori a confrontarsi con una nuova realtà, più dinamica ma anche più versatile rispetto al cinema. D’altra parte un formato televisivo lascia poco tempo per improvvisare, si fa parte di un meccanismo e se tutto è stato pensato e scritto bene, tutto funzionerà. Sex and the City? Lo script è perfetto e ogni donna si ritrova nelle situazioni e nelle protagoniste. Ecco perché funziona davvero e non stufa».
E il tuo ruolo come ha influito sulla serie?
«Per me è stata un’esperienza determinante ma per quanto riguarda la serie credo che servisse soprattutto a Samantha, per farla uscire dal cliché della donna superficiale che cercava solo avventure senza coinvolgimento».
In Brothers & Sisters reciti il ruolo di un attore emergente omosessuale. Come ti sei preparato?
«Ho sempre avuto tanti amici omosessuali e mi trovo bene con loro. Credevo che avrei avuto problemi a baciare il mio partner sullo schermo ma invece non è stato così. Ecco, fare l’attore ti permette di conoscere te stesso e il mondo attorno a te, come fosse una lente attraverso la quale leggi la realtà che ti circonda».
Ma recitare cosa significa?
«Vuol dire provare davvero le emozioni richieste per il tuo personaggio. E’ una questione di credibilità, di impegno, di empatia».
E il terzo capitolo cinematografico di Sex and the City si farà?
«Chissà. Ma sarebbe un sogno parteciparvi…».
Francesco Musolino
Lisa Edelstein: «Ricordatevi sempre che siete unici»
TAORMINA. Attesissimo, si è svolto stamane l’incontro con l’attrice statunitense Lisa Edelstein. Bellissima ed elegante, la Edelstein – protagonista di Dr. House nei panni della dr.ssa Cuddy – aveva già attirato l’attenzione dei paparazzi giunti numerosi nella perla jonica e stamane, nell’incontro condotto dal direttore artistico del Taormina Film Festival, Mario Sesti, ha colpito il numeroso pubblico di appassionati e studenti “Campus”, predicando semplicità, impegno e divertimento, tanto nel lavoro che nella vita privata. Il fatto che l’attesa fosse grande è testimoniato dal fatto che Lisa Edelstein è stata protagonista per la prima volta di un incontro con collegamento internet in tempo reale con community di appassionati che sono intervenuti con domande e curiosità. Ma c’è stato spazio anche per sottolineare l’impegno civile dell’attrice, schierata a favore dell’aborto e dei diritti delle donne, degli omosessuali e dei transgender.
Che rapporto hai con la celebrità?
«Non mi reputo famosa. Ho sempre voluto fare l’attrice, sin da quando ho memoria e aver partecipato al Dr. House è stata davvero una grande opportunità. La celebrità non è un mio obiettivo, piuttosto lo considerato un frutto del lavoro. Meglio fare ciò che piace senza pensare al successo che potrebbe scaturirne».
Con la dr.ssa Cuddy hai raggiunto una grande popolarità. Qual è il suo punto di forza?
«E’ una donna potente e coraggiosa, veste sempre in tailleur e ha molte responsabilità. Eppure non vuole rinunciare all’amore né alla maternità. Perché dovrebbe del resto? Ma vorrei che si divertisse di più…».
La dr.ssa Cuddy e House hanno, da subito, un rapporto di amore/odio. Difficile tenere alta la tensione nelle varie serie?
«Sono convinta che le serie tv ambientate in ospedale abbiano grande successo perché si muovono sempre sulla dualità vita/morte e per tale motivo tutti i personaggi guardano la vita in modo diverso, più profondo. Il rapporto con House è ricco di problemi e alti e bassi, certo, ma è una relazione coraggiosa che ha dato una svolta alla serie».
E il tuo rapporto personale con Hugh Laurie?
«Ci rispettiamo molto e questo permette di recitare e stare sul set in modo naturale. Hugh sostiene molto non solo me ma l’intero cast e l’ho sempre sentito dalla mia parte».
Ma perché sei uscita da Dr.House? Anche la serie ne ha risentito…
«E’ stata una scelta necessaria, personale, dolorosa anche. La vita e il lavoro non dovrebbero incrociarsi e quando accade…bisogna agire subito».
I protagonisti delle serie tv pluri-stagionali rischiano di venire identificati con il proprio alter-ego sullo schermo. Accade lo stesso per te?
«Non credo sia affatto un problema ma so che per alcuni è così. Dopo Dr. House ho recitato in The Good Wife ed è stato fantastico e ora sto anche scrivendo un pilot per la tv ma chissà se si realizzerà».
Sei molto impegnata a livello civile per diverse cause come l’aborto e i diritti delle donne. La FOX ti ha mai ostacolata?
«Assolutamente. La FOX è di destra ed è cosa risaputa ma mi hanno sempre lasciata libera di svolgere le mie campagne mediatiche in favore dell’aborto, dei diritti per le donne, dei gay e dei transgender. Un microfono acceso, oggi, dà incredibili opportunità di diffondere un messaggio e questa potenza mediatica credo che debba essere utilizzata nel miglior modo possibile».
Infine una curiosità: il tuo sorrisetto laterale è ormai celebre. Ti sei allenata a lungo?
«No (ride) è totalmente naturale!»
Francesco Musolino
Massimo Maugeri: «Nonostante le ansie contemporanee, oggi c’è ancora posto per la speranza»
Le nostre ansie e le contraddizioni in seno alla nostra società sono il ricco spunto del nuovo libro di Massimo Maugeri, la raccolta di racconti intitolata Viaggio all’alba del millennio, edito PerdisaPop (pp. 208; €15). Dal terrore mediatico all’incapacità di comunicare nonostante i media stessi, dalla perdita d’identità alle incertezze sul futuro cui si va incontro, Maugeri porta sulla pagina una ricca galleria di personaggi che compongono un mosaico della Commedia Umana di balzacchiana memoria. Tuttavia nella propria prosa Maugeri lascia filtrare anche sprazzi di dolcezza, di speranza, come se la realtà, per quanto dura, possa concedere anche la possibilità di essere semplicemente felici, un giorno. Ma Viaggio all’alba del millennio è anche l’occasione per discutere con un l’ideatore del seguitissimo sito Letteratitudine circa il futuro dell’editoria italiana e il recente riscatto dei racconti, un tempo vilipesi e oggi assurti agli onori delle vendite, grazie soprattutto alla piccola-media editoria.
L’etichetta di “critico” Maugeri non se la sente cucita addosso, preferendo quella di “divulgatore” e del resto anche la sua esperienza radiofonica su Radio Hinterland con “Letteratitudine in Fm” è il perfetto esempio di come sia possibile dialogare con autori e lettori alla pari.
Maugeri ha inoltre partecipato al Taobuk festival di Taormina presentando proprio “Viaggio all’alba del millennio”.
Come nasce questa raccolta di racconti?
Nasce dall’esigenza di riflettere e di provare a raccontare questo scorcio di inizio millennio, con le sue ansie e le sue contraddizioni. Da un lato, sono le ansie e le contraddizioni di sempre; dall’altro, sono frutto delle caratteristiche peculiari di questi nostri anni. Storie diverse, scritte con stili diversi, popolate da molti personaggi che finiscono con il ritrovarsi tra un racconto e l’altro. Da questo punto di vista i racconti di “Viaggio all’alba del millennio” possono essere considerati e letti come i capitoli di un romanzo. Sono viaggi compiuti fuori e dentro l’uomo di oggi, che puntano il dito sui disagi dettati dalla crisi d’identità, dalla paradossale difficoltà a comunicare “veramente” (nonostante lo sviluppo dei media), da certi scenari che cambiano. I temi trattati sono molteplici: il terrorismo internazionale, l’ansia da attentati, le contraddizioni di certi rapporti famigliari, alcuni aspetti negativi della comunicazione in rete, l’immigrazione clandestina, il desiderio di riscatto nonostante tutto, e altro ancora. Racconti duri, che però non mancano di strappare sorrisi e che comunque non voltano le spalle alla speranza.
I maestri nell’arte delle short stories sono numerosi e assai diversi negli stili. Hai tratto ispirazione da qualcuno in particolare?
Se devo farti un nome, non posso che indicare quello di Italo Calvino… con riferimento a “Le città invisibili”: un insieme di storie che può essere considerato – anche qui – come una raccolta di racconti “a tema”, o come un romanzo. Sono storie ad alto concentrato visionario e metaforico, e per questo ancora molto attuali (a mio avviso, almeno). C’è una citazione tratta da “Le città invisibili” che attraversa storie e personaggi di “Viaggio all’alba del millennio”, e che – da un certo punto di vista – potrebbe essere considerata come chiave di lettura di questo mio libro. Ed è la seguente: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio ”.
Sino a pochi anni fa, il racconto e la poesia erano particolarmente osteggiati dall’editoria italiana. Oggi c’è una maggiore apertura mentale almeno per quanto riguarda il racconto. Come ti spieghi quest’evoluzione dei gusti?
Semplicemente ci si è resi conto che esiste una parte rilevante di lettori che ama leggere racconti. Peraltro molti, oggi, leggono a “singhiozzo” per via dei numerosi impegni. In tal senso le narrazioni brevi potrebbero anche essere ritenute preferibili. Tuttavia bisogna sottolineare che la recente apertura verso i racconti trova maggiore spazio nella piccola e media editoria. I grossi marchi editoriali, tranne rare eccezioni, continuano a puntare sui romanzi.
Letteratitudine ormai è un punto di riferimento sul web. Com’è nata questa esperienza e come sei giunto anche in radio?
Il blog Letteratitudine è nato per caso nel settembre del 2006. Era appena venuta al mondo la mia secondogenita e avevo più difficoltà del solito negli spostamenti. Da qui l’idea di creare un blog che potesse consentirmi di “incontrare” – senza spostarmi da casa – altra gente interessata alla letteratura. In effetti Letteratitudine nasce proprio come “luogo d’incontro” tra coloro che gravitano attorno al mondo del libro: lettori, scrittori, critici letterari, giornalisti culturali, librai, ecc. Ma, all’epoca, non avrei mai potuto immaginare di beneficiare di consensi così ampi. L’esperienza della radio è di epoca più recente, ed è figlia del successo del blog. Come ho raccontato in altre circostanze, sono stato contattato via Facebook da Gabriele Pugliese, il direttore di Radio Hinterland (una radio che trasmette in Fm in Lombardia, ma che va in diretta – in streaming – anche via Internet). Pugliese mi ha proposto uno spazio per condurre una trasmissione culturale che si occupasse di libri e letteratura. All’inizio avevo qualche perplessità, e infatti ho declinato l’invito. Poi Pugliese mi ha chiamato più volte al telefono, e – alla fine – mi ha convinto. Oggi gli sono molto grato. Per me, questa della radio è senz’altro un’esperienza entusiasmante e arricchente. La trasmissione si chiama “Letteratitudine in Fm”. L’obiettivo di queste mie chiacchierate è quello di mettere l’ospite a proprio agio e indurlo a raccontare e a raccontarsi nel modo più naturale possibile… mi piace vedermi come una sorta di “medium invisibile” tra l’ospite e gli ascoltatori. E questo trattamento lo riservo a tutti: sia agli autori noti al grande pubblico, sia a quelli meno noti. Credo che oggi “Letteratitudine in Fm” sia una delle più importanti trasmissioni radiofoniche che si occupano di letteratura in Italia e vista la ricca galleria di scrittori noti che ho potuto intervistare ne vado particolarmente fiero.
Ho letto che non ti piace l’etichetta di critico letterario. Come ti definiresti?
Non saprei. Per la verità non mi interessano granché le etichette. Sono uno che si occupa di libri, forse più come “divulgatore” e “comunicatore” che come “critico”… anche se continuo a scrivere di libri su qualche quotidiano e magazine.
Stai partecipando al Taobuk festival di Taormina. Da un paio d’anni in Sicilia e in Calabria stanno nascendo diversi festival letterari, più o meno ambiziosi. E’ il segnale tanto atteso di un risveglio culturale?
È il segnale che la gente sente l’esigenza di una maggiore offerta culturale. Da un lato c’è l’impegno personale di tanti operatori culturali che stanno dando tutto se stessi per portare avanti “sogni” (anche perché molte di queste iniziative sono nate in economia e con budget risicatissimi), dall’altro c’è una risposta significativa da parte del pubblico. Sì, mi sembra un segnale positivo. Anche perché si tratta di iniziative nate “dal basso”, e senza strumentalizzazioni politiche. E questo lascia ben sperare per il futuro. Laddove c’è voglia di cultura, c’è anche voglia di crescita. Per quel che mi è dato fare, nel mio piccolo, darò sempre una mano a questo tipo di iniziative.
Massimo Maugeri, catanese, collabora con molti magazine e quotidiani. Ha scritto: Identità distorte (Prova d’Autore, 2005; premio Martoglio), Letteratitudine, il libro (Azimut, 2008) e, insieme a Simona Lo Iacono, La coda di pesce che inseguiva l’amore (Sampognaro & Pupi, 2010). Ha curato Roma per le strade (Azimut, 2009).
Ha ideato e gestisce il sito http://letteratitudine.blog.kataweb.it.
Fonte: www.tempostretto.it del 12 luglio 2011
Francesco Piccolo: «Habemus Papam. Ovvero il segreto del nostro successo»
Cos’hanno in comune Il Caimano, My Name is Tanino, Caos Calmo e Habemus Papam? Tutti questi film – e molti altri ancora – portano la firma di Francesco Piccolo alla sceneggiatura. Dietro il successo di Habemus Papam che ha trionfato alla 65a edizione dei Nastri d’Argento a Taormina con ben 6 premi, scopriamo i frutti di una squadra ormai affiatata formata proprio da Piccolo, Nanni Moretti e Francesca Pontremoli. Dopo il trionfo dell’anno scorso per La Prima Cosa Bella, per Piccolo – firma de L’Unità, attualmente in libreria con Momenti di Trascurabile Felicità (Einaudi) – il Nastro per il miglior soggetto appena vinto, ha un sapore particolare…
Com’è nata l’idea di “Habemus Papam” e come si è sviluppata?
«Nanni, Federica Pontremoli ed io eravamo al lavoro su altri progetti e altre storie che sembravano pronte ad esplodere. Ma improvvisamente, come spesso accade con Nanni, questa storia del Papa ha preso il sopravvento e ci siamo dedicati interamente ad essa».
Ha lavorato con numerosi registi noti, da Virzì a Soldini sino a Placido. La collaborazione artistica con Moretti ha particolari peculiarità?
«Ha punti di contatto e differenze con gli altri cineasti italiani. Credo che la sua caratteristica fondamentale sia la lentezza. Quando lavoro con lui, l’obiettivo è quello di cogliere al massimo l’introspezione del personaggio e soprattutto cerchiamo sempre di arrivare a soluzioni narrative poco consuete. Noi tre scriviamo sempre tutto insieme, anche quelle scene apparentemente marginali che molti registi lasciano nelle mani degli sceneggiatori. Questo scambio e confronto continuo è un grande stimolo artistico».
Cinema e letteratura: come cambia il suo modo di approcciarsi alla scrittura?
«Sono due tipi di scritture totalmente diverse dal punto di vista tecnica e la prospettiva muta soprattutto perché per scrivere un soggetto o una sceneggiatura, devi confrontarti sempre con altri punti di vista mentre la letteratura è un’arte solitaria che spinge a confrontarti con te stesso. Ci sono differenza ma non ne curo perché nella sostanza mi importa solo poter raccontare delle storie. Il cinema e la letteratura sono due espressioni, diverse ma complementari, dello scrivere».
Vincere un altro Nastro a Taormina è un momento di trascurabile felicità?
«Certamente! E’ un momento di felicità, trascurabile ma neanche troppo perché ricevere un premio fa sempre piacere».
Fonte: Centonove del 1 luglio 2011
Moretti provoca: «All’estero Berlusconi sarebbe stato costretto a dimettersi»
TAORMINA. Tutti lo cercano con gli occhi dentro la Sala B del PalaCongressi di Taormina ma di Nanni Moretti non c’è alcuna traccia. I giornalisti presenti lo aspettano e tirano un sospiro di sollievo quando trapela la voce che sia appena atterrato all’aeroporto di Catania. Laura Delli Colli – presidente del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani – guida con serenità l’annuncio dei premiati del cinema italiano, da Kim Rossi Stuart ad Alba Rohrwacher da Massimiliano Bruno a Maria Sole Tognazzi ma appena arriva Moretti in sala – polo, pantaloni, mocassini con trolley al seguito – i fotografi si scatenano, cogliendo persino il momento in cui, seduto, si infila i calzini scuri. Con Moretti si ha sempre il dubbio – più che lecito – che possa sfuggire alle domande o rispondere in modo laconico, del resto ad un genio non si possono imporre obblighi ma quando acclamato dai critici e dagli spettatori, sale sul palco prende in mano l’intera conferenza, regalando sorrisi, battute contro le domande banali dei giornalisti («chiedono sempre “progetti futuri?”) e intanto invoca notizie circa l’arrivo della sceneggiatrice Federica Pontremoli e della scenografa Paola Bizzarri che non faranno in tempo a godersi la pioggia di elogi che Nanni Moretti – trionfatore alla 65a edizione dei Nastri d’Argento con 6 riconoscimenti per Habemus Papam – regala loro.
«La scenografia è un riconoscimento molto importante per questo film visto che Paola Bizzarri è riuscita a ricostruire il Vaticano fra Palazzo Farnese, altri palazzi storici romani e un teatro di posa. E’ stato un lavoro impegnativo e dispendioso. Prima mi autocensuravo, tagliavo tutte le scene costose ma ne Il Caimano e soprattutto in Habemus Papam ci siamo concessi il lusso di realizzare tutte le scene che avevamo scritto. Senza Domenico Procacci e Rai Cinema non avrei potuto realizzare questo film, sia dal punto di vista economico che psicofisico».
“Il Caimano” su RaiTre ha fatto ottimi ascolti qualche sera fa. Pensa sia la conseguenza diretta del clima politico attuale?
«Sono rimasto sorpreso perché solitamente i miei film vanno sempre male in tv ma mi hanno detto che Il Caimano ha fatto il 13% e per RaiTre sono numeri importanti. In realtà il merito è del direttore di rete che spingeva da parecchio tempo per farlo entrare nel palinsesto. E’ stato un caso che sia andato in onda proprio ora, non c’è nulla di studiato».
Perché ha scelto Piccoli come protagonista?
«Abbiamo voluto fortemente lui perché con la voce e con gli occhi riesce ad aggiungere sempre qualcosa al copione. Ogni giorno noi vedevamo tutto il girato stampato su pellicola e non su dvd come fanno molti, e tutte le volte vedevo l’uomo oltre all’attore. Molti attori si vantano di immedesimarsi completamente nella parte ma a me non piacciono gli attori che si annullano sullo schermo. Inoltre Piccoli è il creatore di una nuova interpretazione di Habemus Papam…»
Ovvero?
«Siamo andati a Parigi ma piuttosto che vedere la città siamo rimasti tre giorni in una stanza d’albergo a fare intervista. All’ennesima domanda del giornalista, Michel ha risposto che il film è la storia di una coppia di fratelli e tutto il resto è marginale. Sono rimasto interdetto ma magari ha ragione lui».
Come sono andate le vendite del film all’estero?
«Molto bene. Per Caro Diario è stato fondamentale il premio vinto invece stavolta il film è andato subito bene. In realtà devo scegliere se passare un anno intero in giro per festival internazionali a presentare il film oppure restare a Roma…ma mi sa che ho già scelto».
A proposito di Cannes, che ne pensa del livello dei film in concorso?
«Ne ho visti solo due il giorno prima che il Festival finisse, appena in tempo per i premi dunque. I fratelli Dardenne non sono affatto una scoperta, mi piacciono parecchio e del Ragazzo con la bicicletta mi ha colpito molto la sequenza in cui il bambino cade giù dall’albero tanto che ho fatto un salto sulla sedia. E’ una scena girata senza alcun compiacimento e per questo mi ricorda lo stile di Rossellini. Invece “The three of life” di Malick lo voglio rivedere. Molti lo amano, altri lo odiano. Io vi ho trovato cose bellissime e altre meno».
Una parte della critica straniera si aspettava un film iconoclasta e dissacrante nei confronti della Chiesa.
«E’ lecito che ogni spettatore abbia aspettative circa i film che escono in sala ma io non volevo ribadire certezze anticlericali o meno. Volevo narrare un viaggio non solo fisico che Michel compie a Roma, ponendo e ponendosi delle domande che non possono non toccare gli spettatori. Ovviamente gli scandali finanziari e la pedofilia sono cose gravissime ma noi volevamo raccontare il nostro Papa, i nostri cardinali».
Anche lei ha avuto momenti di crisi interiore nella sua vita come il Papa che racconta?
«Certamente, ne ho avuti parecchi. Ma non ho alcuna intenzione di raccontarli».
Ha in progetto un film in 3D?
«Ho visto pochi film girati in 3D. Ho letto che il prossimo film di Bertolucci sarà in 3D ma io ho deciso di aspettare, non ne sento affatto il bisogno».
Come giudica il dilagare del Multiplex?
«Per molto tempo sono stato favorevole ma adesso non lo sono più perché mi sono reso conto che i multiplex hanno indotto la chiusura delle sale cittadine e ciò è molto grave per la comunità. Credevo che i multiplex avrebbero garantito la programmazione di tanti generi diversi di film ed invece spingono solo un certo tipo di cinema. Inoltre essendo fuori città, molti non se la sentono di prendere la macchina e così, paradossalmente, il pubblico più maturo rimane tagliato fuori».
Cosa ne pensa della vicenda Bisignani?
«Credo sia molto grave che un personaggio di quel genere abbia condizionato scelte fondamentali per il nostro Paese».
Siamo alla fine del berlusconismo?
«Siete sicuri? Ogni giorno compro un quotidiano e leggo che ormai la fine di Berlusconi è vicinissima, oggi, domani. Mi illudo e poi mi arrabbio sia con me che con il quotidiano. I referendum sono stati una vittoria per i cittadini e le elezioni comunali sono stata una vittoria dei candidati oltre che una sconfitta della Destra. Diciamoci la verità, in un altro paese di democrazia occidentale se il presidente del consiglio avesse fatto o detto un millesimo di quello che ha fatto Berlusconi, sarebbe stato costretto alle dimissioni dalla sua stessa coalizione. Invece il centro-destra ha dimostrato di saper digerire molto, tutto. Hanno digerito gli attacchi ai PM, ai comunisti, gli scandali sessuali e la corruzione. Insomma Berlusconi ad essere molto ma molto generosi, mi sembra una persona confusa. All’estero, in Francia o in Israele l’avrebbero costretto alle dimissioni. Aspettiamo e vediamo cosa accadrà in Italia».