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“Gli psicopatici mi hanno sempre affascinato”. Intervista a Massimo Carlotto per “Il Turista”.

Massimo Carlotto

Massimo Carlotto

“Era venuto il momento di scrivere un thriller. Gli scrittori devono sapere accettare le sfide”. Riconosciuto maestro noir, il padovano Massimo Carlotto esordisce con il suo primo thriller, “Il Turista” (Rizzoli, pp.304 euro 18), un libro ricco d’azione che verte su due protagonisti contrapposti, capaci di rivelare le luci e le ombre della nostra società. Il Turista è un serial killer perfetto, non prova alcuna emozione per le sue vittime, attratto in maniera famelica dall’eleganza delle loro borse, dalla cura con cui si vestono. Le sceglie fra la folla che popola quotidianamente Venezia, le segue e le uccide. Ma il Caso ci mette lo zampino scatenando una guerra fra servizi segreti deviati che si contrappongono fra le calli veneziane. Ma a differenza dei classici thriller, Carlotto sottolinea le sfumature della realtà. Non sempre è facile capire sin dove si possa spingere la giustizia senza sacrificare innocenti. Sono questi i dubbi che dovrà affrontare Pietro Sambo, l’ex capo della Omicidi che paga le conseguenze per uno stupido errore del passato e avrà un ruolo determinante in questa avventura. A ventun anni da “Il fuggiasco” e dopo aver firmato libri che hanno guidato le orme di nuovi scrittori di genere, come “L’oscura immensità della morte”, “Arrivederci amore ciao” e “Niente più niente al mondo”, l’autore veneto che ha creato un originale detective privato, “L’Alligatore”, si lancia in una nuova sfida. E fa centro. Parte proprio oggi da Taormina e dalla sesta edizione del TaoBuk, il tour di Massimo Carlotto che presenterà in anteprima nazionale “Il Turista” in piazza IX Aprile, alle ore 21, con Rosa Maria Di Natale. Domani, venerdì 15 settembre, Massimo Carlotto sarà a Messina per presentare il libro presso la libreria “La Gilda dei Narratori”, ore 18.30, dialogando con la giornalista Gisella Cicciò. Leggi il resto di questa voce

Per tutto l’oro del mondo, Massimo Carlotto, Edizioni E/O (Gazzetta del Sud – 11 novembre 2015)

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Massimo Carlotto: «Denunciamo la subalternità economica delle donne italiane»

Quattro donne per raccontare la condizione femminile odierna, fra violenza e subalternità al mondo maschile, in nome di una vendetta intesa come riscatto e rinascita. Con questo spunto, Massimo Carlotto e Marco Videtta hanno creato il ciclo de “Le Vendicatrici”, quattro libri editi da Einaudi Stile Libero, grande omaggio al feuilleton nonché ardita scommessa editoriale. In occasione della sua presenza alla kermesse letteraria Naxoslegge, abbiamo incontrato Massimo Carlotto a Messina (un evento organizzato dalla libreria Doralice e moderato da Katia Trifirò) dove ha annunciato l’uscita del terzo volume, “Sara” (pp.201 €15), prevista per l’8 ottobre. Massimo Carlotto cura una riuscita collana noir, Sabot/Age, per Edizioni EO, giunta alla decima uscita (Alcazar. Ultimo spettacolo, Stefania Nardini) e il suo prossimo anno professionale sarà tutto dedicato al teatro ma il grande traguardo cadrà nel 2015, quando compirà vent’anni di carriera letteraria. Per festeggiare, a grande richiesta tornerà anche il suo personaggio per eccellenza, l’Alligatore alias Marco Buratti, con due romanzi e tante novità…

Com’è nato il progetto delle Vendicatrici?

«Avevo già lavorato con Marco Videtta, con cui avevo scritto “Nordest” (Edizioni EO, pp.201 €15). Quattro anni fa cominciammo a pensare ad un progetto che riunisse Roma e la condizione femminile odierna».

Lei è un grande ritrattista della realtà del nordest italiano: perché avete scelto Roma?

«È una città dove stanno accadendo una serie di cose interessanti da un punto di vista criminale. Avevamo cominciato a lavorare ad un romanzo e alla fine ne sono venuti fuori quattro ma non volevo aspettare i tempi canonici delle uscite. Per questo ho proposto alla Einaudi quattro uscite ravvicinate e loro hanno subito accettato di pubblicarli nell’arco di sei mesi».

Una scommessa editoriale, un omaggio ai feuilleton…

«Esattamente. Volevo venire incontro alla fame del lettore, alla sua voglia di poter chiudere l’intero arco delle Vendicatrici. Il fatto di aprire e chiudere un ciclo in un breve tempo ha conquistato i lettori che amano anche le serie-tv, soprattutto americane, legate al concetto di serialità. Da questo punto di vista, invece, ho seri problemi con l’Alligatore, perché io non lavoro sui personaggi ma sulle storie e se non è adatta non posso farci nulla. Ma nel 2015 tornerò con due nuovi romanzi che avranno lui come protagonista, chiudendo un ciclo narrativo».

Avete osservato delle regole precise in questi quattro romanzi?

«Ogni romanzo è dedicato ad una figura femminile ma c’è anche una grande antagonista femminile, sfuggendo alla dicotomia “maschi contro femmine” e ciascun libro può essere letto in maniera disgiunta. Il primo, il secondo e il quarto sono romanzi corali, mentre il terzo è dedicato a Sara, il personaggio più misterioso: le è accaduto qualcosa quando aveva 11 anni, ha una tomba vuota su cui piangere e ha dedicato tutta la sua vita alla vendetta. Questa è Sara».

E le altre Vendicatrici?

«Ksenya è la classica sposa siberiana, sono donne disperate disposte a tutto pur di fuggire via. Luz è una prostituta di quartiere ed Eva è una signora perbene con una profumeria ma suo marito è un ludopatico… Per costruire questi personaggi in modo verosimile, io e Marco ci siamo fisicamente installati in un quartiere romano, cominciando ad osservare il tutto da un punto di vista esclusivamente femminile. L’idea era quella di raccontare la contemporaneità criminale, dall’usura al gioco d’azzardo, sino ai piani alti dove troviamo Sara».

La vendetta che portate in pagina ha un’accezione positiva o è mera rivalsa?

«La vendetta è sempre catartica ma le nostre Vendicatrici capiscono che tramite la vendetta possono raggiungere una vita degna. Infatti si alleano e non rinunciano ai grandi sentimenti della vita, come hanno fatto gli uomini che le hanno dominate e sottomesse. Sarà proprio questa consapevolezza a permettergli di cambiare vita».

La violenza contro le donne è un tema drammaticamente sempre più attuale in Italia…

«Quattro anni fa, quando abbiamo cominciato a lavorare, il termine “femminicidio” non esisteva nemmeno. Il nostro punto di partenza è stato che solo il 46% delle donne lavora nel nostro paese e in quel quartiere romano che ci faceva da base, ci siamo subito imbattuti nel lavoro nero al femminile. Una subalternità che si trasmette anche nei rapporti personali, più profondi».

A suo avviso cos’è che rende arduo la tutela della donna nella nostra società?

«Incidono molti fattori, quello legale e culturale senza dubbio ma è soprattutto una questione economica. Girando per i centri di protezione abbiamo visto che molte volte le donne tornano dagli uomini violenti perché non hanno i soldi per sopravvivere. Le donne dovrebbero allearsi, donne fra donne, per superare le situazioni molto difficili, come da tempo accade nel Maghreb».

Le piace il termine femminicidio?

«No».

Si è schierato contro il boicottaggio dei libri di Erri De Luca, proposto per le sue posizioni No Tav. La spaventano queste reazioni?

«Per aver firmato, moltissimi anni fa, un appello pro Cesare Battisti per questioni squisitamente francesi (con una lunga lista di intellettuali fra cui Daniel Pennac, Loredana Lipperini, Christian Raimo e Tiziano Scarpa) i miei libri furono banditi da alcune biblioteche venete. Accusare Erri De Luca di fomentare la rivolta terroristica è un’idiozia e la proposta di boicottare i suoi libri è ridicola, quanto pericolosa».

Ma in generale, quale crede che debba essere il ruolo dell’intellettuale? Deve essere impegnato politicamente o discosto?

«Un autore deve attraversare il proprio tempo occupandosene. Dire delle cose sulla No Tav è scomodo ma evidentemente necessario».

Nel 2015 compirà vent’anni di scrittura. Qual è il suo rapporto con l’ispirazione?

«Io ho bisogno di andare, vedere, scrivere la trama, pensarla e dopo vedere se viene fuori un romanzo. Credo che l’ispirazione sia una balla ottocentesca che gli autori amano raccontare e i lettori adorano credere».

Francesco Musolino®

Fonte: La Gazzetta del Sud 

 

Giancarlo De Cataldo: «Il proibizionismo ha fallito».

de-cataldo4Dopo aver narrato la nascita, la presa del potere e la drammatica fine della Banda della Magliana in “Romanzo Criminale”, Giancarlo De Cataldo – magistrato d’origini tarantine, drammaturgo e scrittore di successo ad ottobre tornerà in libreria per raccontare la cruenta vita criminale romana dei giorni nostri, in coppia con Carlo Bonini. In attesa della sua nuova fatica letteraria De Cataldo ha risposto alle nostre domande riguardo “Cocaina”, il progetto editoriale tutto italiano che ha riunito in pagina altri due grandi narratori nostrani – Massimo Carlotto e Gianrico Carofiglio (edito da Einaudi). Ma, da uomo di legge (De Cataldo è Giudice di Corte d’Assise) ha detto la sua anche in merito alla questione carceri e alle spinte di parte della società civile riguardo la depenalizzazione e la legalizzazione delle droghe. Toccherà proprio a De Cataldo inaugurare la quarta edizione di “A tutto volume”, la festa dei libri che si terrà a Ragusa dal 14 al 16 giugno, diretta dallo scrittore e giornalista Roberto Ippolito e concepita dalla Fondazione degli Archi.

L’idea di questo libro a tre voci è nata proprio da lei. Com’è stato lavorare con Carlotto e Carofiglio?

«Io amo molto il gioco di squadra, specialmente quando si gioca ad alto livello… qualcuno ci ha definiti, scherzosamente, i cocainomani. Qualcun altro i tre tenori, o Crosby, Stills&Nash… Sono amico di Carlotto e Carofiglio da tempo, apparteniamo, ciascuno a suo modo, e nel rispetto delle peculiarità dei singoli, a una “banda” di autori che amano confrontarsi con la realtà, estraendone magari linee metaforiche che vanno oltre la mera riproduzione della stessa. Soprattutto, ci stimiamo reciprocamente: era naturale incontrarsi per questa riflessione letteraria sulla cocaina».

Oggi cosa rappresenta la cocaina? 

«La cocaina rappresenta in forma concreta e simbolica allo stesso tempo l’abbattimento dei confini fra lecito e illecito, fra economie legali e criminali, fra classi sociali – ovviamente, quanto ai modelli di comportamento, e non certo sul piano delle differenze di reddito, che permangono e tendono anzi a crescere a dismisura. Se dovessi sintetizzare, direi che un tempo Scarface sognava di diventare come noi, mentre oggi molti di noi, e con sempre maggior frequenza, si comportano come Scarface».

Com’è cambiato, nel tempo, il suo impatto sulla società? Oggi non è certo più la droga dei ricchi, degli yuppies…

«Certo. E’ una droga trasversale, che fende le classi. Ciascun consumatore ne adatta poi l’uso alle sue esigenze: c’è chi la usa per sballare, chi per condire la serata in modo pepato, chi per lavorare di più, chi per tirare avanti (droga consolatoria, la definisce Massimo nel suo racconto, e Gianrico ce ne racconta, da par suo, l’effetto contagioso, inscenando una storia di passione e perdizione della quale la coca è il vettore principale). Anche la coca è liquida, globalizzata, parcellizzata».

Infine, com’è nata l’idea per il suo racconto? come ha scelto il suo punto di vista per narrare questo fenomeno?

«Il mio punto di vista è quello della “roba”. La seguo da quando è foglia di una pianta in sé innocente, usata da millenni dai contadini  per alleviare la fatica, a quando diventa denaro: è un percorso dal concreto (la materia prima) all’astratto (il valore di scambio), e l’idea di fondo è che a ogni passaggio di mano quelli che ne controllano il traffico ci guadagnano qualcosa, e quelli che la usano ci perdono il corrispondente».

Da uomo di legge come legge i dati di detenzione? Sono sempre più alti in termini percentuali i casi di detenzione per spaccio: sarebbe favorevole a pene alternative come auspicava il ministro Cancellieri?

«Il ministro Cancellieri si è affacciata all’universo carcerario e ha immediatamente respirato quell’aria terribile che da anni angoscia quelli che se ne occupano per mestiere, o che, come me, avendoci lavorato una volta, sono rimasti legati a quel settore. La Cancellieri afferma che occorre sicuramente fare qualcosa di ancora più radicale per la decarcerizzazione, e poi aggiunge: sarà difficile, ma c’è un sentimento diffuso in tal senso. Ecco, mentre sono d’accordo sulla prima parte, sulla seconda, purtroppo, dissento. Bisogna fare di tutto perché il carcere sia limitato ai casi che non si possono risolvere altrimenti, e che sia un carcere che redime e rieduca, e non un girone infernale che fortifica i delinquenti. Ma l’opinione pubblica, temo, va da tutt’altra parte».

Ovvero?

«Intanto, bisogna avere l’onestà di riconoscere che se le carceri italiane scoppiano è grazie a un certo numero di leggi approvate negli ultimi anni. Le maggioranze politiche che si sono succedute, con qualche differenza peraltro, hanno lavorato su tre direzioni: annullare o comunque limitare fortemente la discrezionalità dei giudici, rendere il processo penale una corsa ad ostacoli, introdurre sempre nuove forme di reato agitando come spauracchio (o feticcio) le pene. Il risultato è la situazione attuale: un processo sovente kafkiano, reati (come quello di clandestinità) che la Comunità internazionale ci ha severamente contestato, carceri che scoppiano di poveracci. Se non si ha l’onestà intellettuale di riconoscere tutto questo, non si possono studiare i rimedi corretti, e non si va da nessuna parte. In secondo luogo, l’invocazione di “penalità”, cioè nuovi reati e pene più severe, è un mantra che attraversa trasversalmente le componenti ideologiche del nostro Paese. Destra e Sinistra hanno ciascuna i propri miti e i propri punti di riferimento: per la Destra, la sicurezza e la proprietà, da cui le proposte di legge contro i soggetti pericolosi (stranieri, gruppi antagonisti, ecc.), l’aumento della recidiva, ecc. La Sinistra tuona contro le rendite, i delinquenti in guanti gialli, il razzismo, le violazioni dei diritti civili: da cui proposte di legge per inasprire le pene per i reati finanziari, introdurre il reato di tortura, aggravanti speciali ecc. ecc. Ognuno ha diritto di pensarla come gli pare sulla sostanza di tutto questo, ma resta il fatto che su una cosa sono tutti d’accordo: nel chiedere costantemente più reati e pene più severe. Come questo orientamento egemone nella società si possa conciliare con le sacrosante preoccupazioni della ministra Cancellieri è tutto da vedere».

Più in generale, crede che la legalizzazione delle droghe leggere e pesanti potrebbe essere la soluzione definitiva, tanto per la lotta alla criminalità organizzata che per un controllo sul consumo effettivo?

«Di certezze, in questo campo, ne esiste solo una: che il proibizionismo ha fallito, il consumo di droghe aumenta, i reati connessi pure. Si deve partire da qui per inventarsi strategie differenti e differenziate. Non credo che legalizzare farà finire il consumo, ma probabilmente lo renderà più controllabile e, in potenza, socialmente meno devastante di quanto l’attuale assetto probizionistico l’ha reso».

Ci vuole anticipare a cosa sta lavorando?

«In ottobre dovrebbe uscire un romanzo a quattro mani con Carlo Bonini, l’autore di Achab. Una storia sulla Roma criminale di oggi. Di più meglio non dire».

Francesco Musolino®

Fonte: La Gazzetta del Sud

Massimo Maugeri: «Scrivere è l’atto di massima libertà possibile»

Massimo MaugeriFa parte dei “nuovi” membri della giuria del premio Strega. Il suo nome richiama una puntuale e appassionata comunicazione letteraria sul web mediante Letteratitudine, il suo seguitissimo blog. Ha la passione della scrittura e in pagina porta sovente la sua terra, la nostra terra, e i corto circuiti della contemporaneità. Il suo nuovo romanzo, “Trinacria Park”, è edito nell’interessante collana Sabot/Age curata da Colomba Rossi (ideata da Massimo Carlotto) per le Edizioni E/O. Stiamo chiaramente parlando di Massimo Maugeri che con questo libro segna un salto di qualità stilistico e il passaggio al genere noir, con un libro dai forti tratti metaforici che richiama l’importanza del Mito e non esita a denunciare le brutture della Sicilia…

Com’è nata l’idea di Trinacria Park?

«In maniera piuttosto semplice. Ho immaginato una piccola isola siciliana deturpata dall’edilizia selvaggia e dall’industria siderurgica, e ho immaginato un piano di riconversione fondato sulla realizzazione di un enorme parco tematico: il “Trinacria Park”. Un parco talmente grande da ambire a superare – per fama – l’Eurodisney di Parigi. L’idea è nata così. E da qui è nata la storia…»

Questo libro segna l’approdo ad una casa editrice di primo piano in una fra le collane editoriali più interessanti. Trinacria Park, a ben vedere, vi si colloca perfettamente poiché la menzogna e il suo necessario disvelamento sono alla base del tuo libro…

«Assolutamente sì. “Trinacria Park” è stato accolto all’interno della collezione Sabot/Age delle edizioni e/o: una collana diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto e che tra le tematiche prevalenti di cui si occupa c’è, appunto, il “tema della menzogna” (che è il tema centrale di “Trinacria Park”). All’interno del parco, e dell’isola, per un motivo o per l’altro, tutti fingono. La storia si dipana nel mezzo di interessi contrapposti, sopra cumuli di bugie dissimulate dai fasti mediatici che ruotano intorno a un grande sogno… che però è solo apparenza. Nulla è come sembra al “Trinacria Park”. Ma non c’è solo questo. Ci sono le storie dei tanti personaggi che popolano questo romanzo. Ciascuno di loro compie un percorso che incrocia inevitabilmente la tragedia collettiva consumata all’interno del parco. A partire da Manuel Vetri: un attore balbuziente che smette di tartagliare appena si accende l’occhio della telecamera, e che scoprirà verità che lo riguardano solo alla fine del percorso».

Interessante e suggestivo il collegamento fra le tre donne e le tre Gorgoni. Perché hai voluto questo parallelismo, questo gioco di rimandi che lega passato e presente?

«Perché sentivo l’esigenza di inserire una componente mitologica e visionaria all’interno di questa storia. Credo che il Mito, oggi, sia il grande assente della nostra letteratura. E credo sia giunto il momento di tornare a ridargli spazio. A mio modo di vedere la componente mitologico/visionaria agisce di più sull’inconscio e dunque (in un momento di grande bombardamento mediatico e di flussi di notizie che ci investono senza soluzione di continuità) può consentire – paradossalmente – di raccontare una storia in modo più incisivo. Nel corso della narrazione si crea un parallelismo tra le vicende dei tre principali personaggi femminili e le tre Gorgoni: la giornalista Marina Marconi viene accostata a Steno (detta “la forte”); alla direttrice del parco, la produttrice cinematografica statunitense Monica Green, si affianca la figura di Euriale (detta “la spaziosa”); la giovane attrice Angela Metis si ritrova a incarnare il mito di Medusa (“la distruttrice”)».

Un altro personaggio significativo è Gregorio Monti. Con lui emergono delle considerazioni sull’Isola, seviziata, malgovernata e stuprata…

«Gregorio Monti è il direttore artistico del parco. È un uomo di teatro. Un siciliano che ha lasciato l’isola e che ha fatto fortuna all’estero, approdando anche a Broadway. Lui incarna una serie di contraddizioni e di paradossi, a partire da quello che chiama “effetto isola”: un miscuglio di sensazioni contrastanti che prova ogni volta che torna o si allontana dal suo luogo di origine: un senso di fastidio frammisto a una componente di nostalgia».

9788866323112Allargando l’occhio alla tua intera opera, le contraddizioni della modernità ti hanno sempre affascinato. In questo senso la scrittura si fa denuncia o piuttosto cartina di tornasole per evidenziare le brutture, i corto circuiti del nostro tempo?

«Entrambe le cose. In tal senso credo che la letteratura sia tutt’altro che morta. Al contrario, si trasforma in opportunità e urgenza. Ritengo che ne dia dimostrazione l’intera collezione Sabot/Age, che offre una potente suggestione: quella di una letteratura di sabotaggio fondata sul simbolo del “sabot”… lo zoccolo di legno che gli operai, ai tempi della rivoluzione industriale, lanciavano contro gli ingranaggi della macchina per arrestarne il meccanismo quando erano stremati. “Noi siamo esausti della menzogna che ci opprime”, dice Massimo Carlotto».

Da anni con Letteratitudine ti sei reso megafono della cultura e della scrittura in Italia. Invertendo il flusso delle domande, passando da intervistatore ad intervistato, ti chiedo: cosa significa per te l’atto della scrittura?

«Per me l’atto della scrittura coincide con l’atto della massima libertà. Ma è anche un atto di forte condivisione. E questo vale per tutte le grandi storie. Lo scrittore invita il lettore a intraprendere un viaggio, a condividere un’esperienza che oltrepassa le barriere dello spazio e del tempo. Spero che il viaggio offerto da “Trinacria Park” sia uno di quelli meritevoli di essere intrapresi».

 

Francesco Musolino®

Fonte: Tempostretto.it del 19 aprile 2013 

Carlo Mazza rivela: «Nella follia della corruzione barese ritrovo il caos tipico degli ambienti noir»

Massimo Carlotto in persona lo ha scelto per Sabot/Age, la collana che cura per Edizioni E/O, contenente storie che nessun altro avrebbe voluto raccontare e con Lupi di fronte al mare (€19,50), il banchiere di origini baresi,Carlo Mazza, ha fatto il suo ingresso nel genere noir dalla porta principale. Un libro aggressivo che pone al centro della pagina proprio la città di Bari, destinata a diventare uno specchio del malaffare e della corruzione che imperano in Italia, difatti, i legami fra politica, malavita, sanità privata e gli ambienti finanziari sono al centro delle indagini del capitano dei carabinieri Bosdaves che si farà strada in una realtà dove la realtà sembra lasciare spazio alle peggiori fantasie criminali. Come fosse una medicina amara, Mazza ci mette di fronte al degrado sociale e morale di Bari, alla corruzione dilagante nel mondo della sanità e viste le cronache di questi giorni, il suo libro è più che mai di grande attualità: «E’ come se il perseguimento del profitto illecito non fosse più un obiettivo lucido e quantificabile, ma una corsa disperata, e in una certa misura consapevole, verso la propria fine».

Dopo qualche pubblicazione minore, il suo primo romanzo è stato premiato da E/O e da Massimo Carlotto che l’ha inserita nella collana Sabot/Age. In un certo senso anche lei si sente un sabotatore?

Sì, almeno in riferimento a “Lupi di fronte al mare”, un romanzo che descrive un contesto, un modo di fare e di essere, che trova difficilmente spazi nella letteratura “bianca”, sempre più tendente all’approccio autobiografico e meno alla narrazione dei contesti ambientali.

Lei porta Bari sulla pagina ma non si tratta solo di uno sfondo, anzi la città diventa quasi un vero e proprio personaggio…

Bari ha due particolarità, che la rendono adatta alla narrazione “noir”. In primo luogo, in generale l’evoluzione dell’universo criminale mostra una commistione tra le malavite autoctone (mafia, camorra…) e quelle che provengono dall’esterno (slave, nigeriane, cinesi). La collocazione geografica di Bari, a metà tra oriente e occidente, la rende città simbolo di questa commistione (oltre che concreto crocevia di traffici). Inoltre, forse per una rivalsa storica verso secoli di precarietà, i protagonisti del malaffare barese sembrano soggiogati da un’avidità autodistruttiva. Se sono un politico importante e ho un’indennità considerevole, per di più ottengo profitti enormi dalle mie pratiche di malaffare, perché chiedo al mio corruttore anche un cappotto di cachemire? Non sarebbe più prudente e più logico, considerando la modestia del regalo rispetto a ben altri affari, che io me lo acquistassi da solo? E invece no, pretendo anche quello. Oppure si finisce per mettere in crisi la propria immagine di politico, faticosamente costruita, per il piacere di quattro spigole o cinque chili di cozze. Il malaffare non è più nemmeno una tragedia, in questo senso. E’ solo follia. E’ come se il perseguimento del profitto illecito non fosse più un obiettivo lucido e quantificabile, ma una corsa disperata, e in una certa misura consapevole, verso la propria fine.  

Perché questa è una storia che nessuno avrebbe raccontato? Lo stile noir è stato fondamentale per sviluppare la sua storia?

Mi ricollego alla risposta precedente. Il giallo è una partita a scacchi, dove sia il comportamento dell’investigatore dia quello del criminale sono logici. La follia della corruzione barese, invece, è molto più aderente ai parametri del noir, che sono la complessità e il caos.  

Il suo protagonista sulla pagina, le somiglia o è solo frutto della finzione letteraria?

Nell’idea che me ne sono fatto, dovrebbe essere un po’ più alto di me, più tenebroso. Sì, qualcosa di me credo senz’altro di averlo riversato nel personaggio. Ad ogni modo, ciò è avvenuto anche per altri personaggi, ognuno dei quali esprime qualche aspetto della mia personalità.

Questo è il primo capitolo di una trilogia. Quale filo rosso unirà i tre libri?

La volontà di rompere gli inspiegabili silenzi e rendere conto della complessità del reale. Bisogna fare in modo che i lettori diventino consapevoli delle situazioni che vivono, proprio per mezzo della pagina scritta e del suo potere di coinvolgimento, tanto più grande quanto brillante è la scrittura e convincente la trama. 

FRANCESCO MUSOLINO

Matteo Strukul: «La mia Mila? Ero stanco di eroine della narrativa italiana molto remissive»

Matteo Strukul è il numero 1 di Sabot/Age, la nuova collana delle Edizioni E/O (curata da Massimo Carlotto) e con “La Ballata di Mila” (pp. 224; €17) ha avuto il merito di riportare in auge il genere pulp, dato per spacciato troppo presto. Oltre le numerose fonti di ispirazioni letterarie e cinematografiche, Strukul trae spunti anche dalla sua terra, «il Nordest della Bassa, degli ippodromi, dell’Altopiano dei Sette Comuni».

Ma qual è il senso della collana Sabot/Age? «Lungi dallo scrivere indagini travestite da romanzi, gli autori tenteranno di porre il tema all’attenzione del pubblico. Un modo per destare un allarme sociale che, nonostante tutto, non è mai esploso». Al centro del suo romanzo c’è una mafia cinese tracotante che si prende gioco dei padani veneti assorbendo le tradizioni locali per meglio spadroneggiare sul territorio, ormai piegato fra soprusi, violenze e tacita corruzione lasciando i cittadini nel ruolo di vittime indifese. Tranne la sua Mila Zago, «una vittima destinata suo malgrado a diventare carnefice».

Riguardo al concetto di multiculturalismo e integrazione, Strukul afferma: «E’ necessario evitare qualsiasi scontro fra culture, anzi, bisogna promuovere l’integrazione attraverso percorsi antropologici come la conoscenza reciproca della cultura d’origine, la cucina, lo spettacolo, il teatro. Ma in Italia, ahimé, sembra davvero impossibile capirlo…».

Con “La Ballata di Mila” hai rilanciato il genere pulp con vigore. Questo stile ti è assai affine ma come ci sei arrivato? E’ il frutto del tuo bagaglio letterario o della tua visione della vita?

Entrambe le cose. C’è tutto quello che leggo (noir e pulp), penso ad autori come Victor Gischler, Massimo Carlotto, Irvine Welsh, Don Winslow, Tim Willocks, Alan D. Altieri, Joerg Juretzka, Buddy Giovinazzo, Elmore Leonard, Joe R. Lansdale, Chester Himes, Allan Guthrie, Anthony Neil Smith, Cormac McCarthy, James Lee Burke, Patrick Quinlan, David Peace e moltissimi altri e poi ai fumetti di Warren Ellis, Garth Ennis, Alan Moore, Frank Miller. Poi c’è quello che vedo: i film di Sam Peckinpah, Werner Herzog, Robert Rodriguez, Quentin Tarantino, Sergio Leone, Neil Marshall, Riuhey Kitamura, John Woo, Takeshi Kitano, Guy Ritchie, William Friedkin, Michael Cimino, David Fincher. Però c’è anche quello che vivo: il Nordest della Bassa, degli ippodromi, dell’Altopiano dei Sette Comuni. Una terra epica e meravigliosa che non smette di sorprendermi e di rappresentare l’ambientazione perfetta per le storie che mi frullano in testa.

Mila sembra essere il perfetto emblema della collana Sabot/Age. Una donna che si rifiuta di essere uno stereotipo, una vittima indifesa…

Guarda, non avrei potuto dirlo meglio. Da una parte credo che il personaggio rappresenti, in sé, un tentativo di sabotaggio di una cultura molto maschilista come quella italiana, ancora ferma agli anni ’50. Ho voluto una donna destabilizzante al centro della storia, una protagonista capace di dominare gli uomini da un punto di vista mentale e fisico. Ero stanco di eroine della narrativa italiana molto remissive, relegate a ruoli secondari, come se una donna non potesse essere il centro anche “action” di un romanzo. Però è vero, Mila è una vittima e diventa carnefice suo malgrado. Andrà fino in fondo, però, applicando un concetto di giustizia molto personale, figlio di contraddizioni e rabbia, ma per certi aspetti, la sua, sarà una reazione assolutamente comprensibile.

Riguardo la mafia cinese nel veneto credi che l’allarme sociale sia esploso troppo tardi come avvenuto per la ‘ndrangheta a Milano?

Il punto è che l’allarme sociale non è affatto esploso. Voglio dire: i fatti esistono e certamente forze di polizia e procura stanno lavorando alla grande. Quello che latita secondo me è proprio la cronaca locale e nazionale. In effetti Sabot/Age prova a rispondere proprio a questo. Lungi dallo scrivere indagini travestite da romanzi, gli autori tenteranno di porre il tema all’attenzione del pubblico, utilizzando i generi più diversi: pulp, commedia, horror, post-apocalittico, noir. Sarà una collezione di contenuti e non di genere e ogni libro sarà strettamente connesso all’altro, rappresenterà il tassello di un mosaico più complesso, ma incompleto senza anche uno solo dei romanzi pubblicati.

Il fatto che la mafia cinese possa scegliere di rompere il suo isolamento e aprirsi ai costumi e alle tradizioni italiane, può essere un ulteriore fattore di rischio?

Certamente, anche se non la vedo molto probabile come ipotesi. La mafia cinese è caratterizzata da forte chiusura circa i propri riti e regole. Vero è che, come già quella russa, quella cinese cerca con le mafie autoctone la cooperazione e il conflitto rimane l’extrema ratio. Ma non mi ci vedo i cinesi ad aprirsi troppo, piuttosto il loro rinchiudersi in una cellula autosufficiente che un po’ alla volta cresce fino a mangiarsi il Paese ospite mi pare, ahimè, un’ipotesi molto più frequente.

Multiculturalismo è la parola d’oro del momento. Vista la tua attività nel mondo giuridico vorrei chiederti se trovi giusto che parte della società civile italiana – dai circoli ARCI ad alcune frange della sinistra – mettano in dubbio il principio stesso della reciprocità. Dove risiede l’equo confine fra apertura mentale e senso di colpa occidentale?

Guarda, non saprei dirti se manca la condizione di reciprocità. Però è vero che il conflitto fra culture non è la soluzione. Non penso a un inesistente Paese di Bengodi ma il tentativo di rimuovere la paura come unico elemento di confronto questo sì! La soluzione? Il promuovere l’integrazione attraverso percorsi antropologici come la conoscenza reciproca della cultura d’origine, la cucina, lo spettacolo, il teatro. In città come Berlino e Amsterdam, in cui vivo e ho vissuto, le feste delle minoranze etniche sono un classico da fine settimana. Puoi mangiare il cibo thailandese, vedere le loro cerimonie, parlare con la gente e lo stesso avviene per le minoranze con gli olandesi o i tedeschi. Quindi, a ben vedere, hai proprio ragione. D’altra parte, promuoverei quell’agognata integrazione attraverso percorsi di condivisione. E’ pur vero, però, che se continuiamo a considerare la cultura come qualcosa che non riempie la pancia non andremo da nessuna parte. E questo non l’ho certo detto io. Ad esempio a Padova con Sugarpulp organizzeremo un festival dedicato alla letteratura pulp-noir. Molti aficionados verranno da tutta Italia per parlare con Massimo Carlotto, Joe R. Lansdale, Jeffery Deaver, Victor Gischler. Tim Willocks. Trascorreranno un fantastico weekend in un bellissimo centro culturale a Padova, prenoteranno camere d’albergo, cene ai ristoranti. La cultura creerà un indotto e le persone trascorreranno un weekend diverso e stimolante. Ma perché in Italia è così difficile capirlo? Perché, ahimè, siamo un popolo che ha smesso di credere nella forza dell’arte e della cultura e questo, se continuiamo così, ci perderà definitivamente.

Infine vorrei chiederti: ti senti un sabotatore?

Non so se mi sento un sabotatore ma è certo che il personaggio di Mila Zago rompe geometrie e consuetudini di una certa narrativa italiana. Rappresenta per certi aspetti il catalizzatore ideale per provare a scrivere in un modo che ricordi l’andare al cinema o il bere un milk-shake. La scrittura non può essere solo analisi degli stati d’animo e contemplazioni interiori. Basta! Secondo me è ora di fare un po’ di spettacolo, di colorare le storie, ricordiamoci di Gianni Rodari, Italo Calvino, Emilio Salgari: loro avevano un gran ritmo, avevano brio, sorriso. Sono loro gli italiani che mi hanno influenzato, sarebbe ora di ripartire da lì per arrivare al videogame, al fumetto, al cinema e provare a mescolare tutto per vedere cosa succede. In questo senso, se vuoi, mi sento un sabotatore.

Matteo Strukul è nato a Padova nel 1973. Scoperto dallo scrittore Massimo Carlotto, è cofondatore di Sugarpulp – movimento letterario dedicato al pulp-noir, www.sugarpulp.it – e ha collaborato con riviste (Buscadero, Jam, Classix) e quotidiani (Il Mattino di PadovaLa Nuova di Venezia e MestreLa Tribuna di Treviso). Responsabile dell’ufficio stampa di Meridiano Zero, è dottore di ricerca in diritto europeo dei contratti e ha pubblicato saggi musicali su Massimo Bubola e Massimo Priviero. Il suo racconto “Bambini all’inferno” è stato pubblicato sul Manifesto. 
La ballata di Mila per la collezione Sabot/age delle Edizioni E/O è il suo primo romanzo. Vive insieme alla moglie Silvia fra Padova e Berlino. Il suo sito è www.matteostrukul.com. Potete scrivergli a matteostrukul@sugarpulp.it.

Fonte: www.tempostretto.it del 26 settembre 2011

Telese, Carlotto, Agnello Hornby, Fioretti…annunciato il cartellone di presentazioni letterarie del “Circolo Pickwick”

Luca Telese, Massimo Carlotto, Simonetta Agnello Hornby, Francesco Fioretti, Giovanni Fasanella, Enzo Maiorca, Carlo Mazza, Elvira Seminara, Eva Clesis, Laura Bosio, Massimo Maugeri, Simona Lo Iacono, Chiara Caprì e Nadia Terranova.

Sono questi i nomi dell’autunno letterario in arrivo alla libreria “Circolo Pickwick” di Messina (via Ghibellina, 32).

Un cartellone ricco di scrittori e giornalisti autori di best-seller che ruotano attorno al tema del mare per eccellenza, il nostro Mediterraneo. Si comincia sabato 24 settembre (ore 19) conFrancesco Fioretti e “Il libro segreto di Dante” (Newton Compton) nel quale l’autore indaga su un mistero che ruota attorno al sommo poeta e la sua Divina Commedia. Già giunto alla ventesima edizione, il libro di Fioretti inaugura un cartellone letterario ideato dal giornalista messinese Francesco Musolino che condurrà ciascun incontro.

Domenica 25 si prosegue con la presentazione de “Il Cavedio” (Fernandel), cui parteciperà una dei quattro autori, la messinese Nadia Terranova, con letture di Mariapia Rizzo e Antonio Alveario. Il mese di settembre si chiuderà con l’incontro con l’autrice Simonetta Agnello Hornby che, mercoledì 28, presenterà il suo ultimo e acclamato libro, “Un filo d’olio” (Sellerio editore). L’incontro sarà l’occasione per parlare proprio di scrittura e cucina, di memoria e gastronomia siciliana, due temi tanto cari alla scrittrice siciliana.

Ottobre sarà un mese caldissimo con quattro presentazioni letterarie per tutti i gusti. Il 6 ottobre sarà la volta della giornalista e scrittrice catanese Elvira Seminara – la quale presenterà il brillante “Scusate la polvere” (Nottetempo)-, seguita dalla giovane firma pugliese, Eva Clesis, autrice di “E intanto Vasco Rossi non sbaglia un disco” (Newton Compton) che presenterà il proprio libro presso la libreria “Circolo Pickwick” il 12 ottobre. Il 18 ottobre sarà la volta del notissimo giornalista Luca Telese che presenterà il suo ultimo libro, “La Marchesa, la villa e il Cavaliere” (Aliberti editore) e dialogherà sull’attualità politica e sul cambiamento dei costumi nella società italiana. Il ricco mese di ottobre si chiuderà il 26 ottobre con un romanzo avvincente sul cambiamento del lessico familiare ovvero “Le notti sembravano di luna” (Longanesi) di Laura Bosio.

Il mese di novembre sarà all’insegna del giornalismo e della riflessione civile. Il giornalista Massimo Maugeri (“Viaggio all’alba del millennio”, PerdisaPop) e il magistrato Simona Lo Iacono (“Stasera Anna dorme presto”, Cavallo di Ferro) presenteranno i loro libri il 3 novembre. Una riflessione sulle vittime della mafia e sul dramma della criminalità organizzata in Sicilia sarà al centro dell’incontro del 10 novembre con Chiara Caprì, socio fondatrice di Addiopizzo e autrice di Libero (Castelvecchi editore), toccante libro-inchiesta dedicato alla tragica vicenda di Libero Grassi. Completa l’intenso mese di novembre l’incontro del 15 novembre con la leggenda del mare, il siracusano Enzo Maiorca (“Sotto il segno di Tanit”, Mursia) la cui presentazione sarà arricchita dalla proiezione di filmati delle proprie immersioni.

Il cartellone di presentazioni letterarie della libreria “Circolo Pickwick” di Messina, si chiude a dicembre con altre due suggestive presentazioni, a cavallo fra letteratura e giornalismo d’inchiesta. La firma de Il Fatto QuotidianoGiovanni Fasanella, presenterà “Il Golpe Inglese” (Chiarelettere) il 3 dicembre e le sue scottanti rivelazioni saranno alla base del dibattito con il pubblico presente. Infine il 15 dicembre si chiude con un grande evento ovvero la doppia presentazione del maestro del noir mediterraneo Massimo Carlotto e di Carlo Mazza, i quali fra fiction e realtà, indagano con dovizia di particolari e una scrittura sempre brillante sul dominio della criminalità nel Veneto (“Alla fine di un giorno noioso”, Edizioni E/O) e lo scandalo della sanità in Puglia (“Lupi di fronte al mare”, Edizioni E/O).

Massimo Carlotto attacca: «L’Italia è nelle mani di una manica di incapaci»

Può destare una certa sensazione il fatto che Massimo Carlotto, l’autore della serie cult L’Alligatore affermi che «oggi il noir non è più lo strumento d’eccellenza per raccontare la realtà». Ma Carlotto, il maestro del noir mediterraneo, con la sua nitida analisi ha ipso facto abilitato tutti i generi narrativi a raccontare il degrado della società italiana e proprio questa è l’essenza della nuova collezione numerata della casa editrice ​Edizioni E/O ovvero Sabot/Age, diretta da Colomba Rossi e curata proprio da Massimo Carlotto. La collezione, sbarcata in libreria il 24 agosto, è dedicata alle “storie che il nostro Paese non è più in grado di raccontare” e ha preso avvio con due titoli importanti: Matteo Strukul (autore de “La Ballata di Mila”) porta sulla pagina un pulp ritrovato e rinvigorito per raccontare le gang cinesi mentre Carlo Mazza (autore de “Lupi di Fronte al Mare”) si distingue per uno stile classico e folgorante con il quale denuncia gli orrori della malasanità pugliese. «Con i miei libri – racconta Carlotto – ho messo in luce chi ha saputo sfruttare il degrado morale per fare fortuna. Sabot/age invece, racconterà le storie delle vittime che hanno deciso di ribellarsi».

Il nome della collana è il punto perfetto da cui partire…

Sabot/age letto alla francese o all’inglese ha un doppio significato molto interessante. Il sabot è lo zoccolo di legno che gli operai delle filande lanciavano nelle macchine quando, esausti, non reggevano più i ritmi di lavoro. La parola inglese “Sabotage”, sabotaggio, rende alla perfezione la stanchezza degli italiani, esausti dal clima di menzogna e mistificazione della realtà nel quale è piombata l’Italia. Oggi sembra davvero necessario sabotare la macchina mediatica che propina una realtà falsata.

Come la si può sabotare?

Raccontando storie prese dalla realtà che rendono al meglio l’Italia odierna, quella del post-collasso. Il noir aveva anticipato questo collasso descrivendo la crisi ma ora è importante che tutti i generi letterari riescano a raccontare ciò che accade, rendendo al meglio le modificazioni antropologiche che hanno subito gli italiani negli anni.

Nel suo ultimo libro “Alla fine di un giorno noioso” lei fotografa un Veneto dove tutti sono corruttibili e non ci sono più valori. Ma con la collana “Sabot/Age” cambia la prospettiva…

Sì. Io ho raccontato la crisi dal punto di vista di chi si è approfittato della crisi, invece questa collana racconta l’altra faccia della medaglia, quelle storie taciute che evidenziano come la gente affronta quotidianamente il degrado nel quale l’Italia sta sprofondando. Siamo giunti ad un punto di non ritorno con cui bisogna fare i conti. E’ brutto dirlo ma, da un punto di vista letterario, il momento è molto affascinante».

La collana si è aperta con due titoli importanti e assai diversi fra loro: “La Ballata di Mila” di Matteo Strukul e “Lupi di Fronte al Mare” di Carlo Mazza. Cosa vi ha colpito di questi romanzi tanto da decidere di partire con essi?

Questa è una collezione numerata che punta sui contenuti e non sui generi e tutti i numeri hanno in comune il fatto di essere storie molto potenti. Il numero uno è “La Ballata di Mila” (pp.224; €17) di Matteo Strukul che rilancia il pulp con forza, raccontando la storia di una vittima che si ribella. I personaggi che alzano la testa e non accettano più di essere sottomessi saranno determinanti in questa collana. Invece “Lupi di Fronte al Mare” (pp. 368; €19,50) di Carlo Mazza è una storia straordinaria perchè racconta per la prima volta in un romanzo, lo scandalo della sanità in Puglia. Mazza si muove sulla pagina con una lucidità folgorante cui abbina una forma letteraria classica e nitida. Questi due autori, siamo certi, ci daranno grandi soddisfazioni.

Quando la intervistai per “Alla fine di un giorno noioso” lei mi confessò che era molto preoccupato per la condizione morale del nostro paese. E oggi?

Oggi lo sono anche di più. E’ successo quello che mi aspettavo ovvero un collasso morale ed economico. Siamo in mano ad una manica di incapaci che stanno gestendo il paese maniera straordinariamente pessima. Me lo aspettavo ma ora è giunto il momento di cambiare e questo grande fermento letterario può essere un segnale importante.

Fonte: www.tempostretto.it del 29 agosto 2011

Massimo Carlotto provoca: «La locomotiva del nordest è basata su un sistema illegale»

Massimo Carlotto mette da parte il suo Alligatore – alias Marco Buratti – e riporta sulla pagina Giorgio Pellegrini, già protagonista di Arrivederci amore, ciao per il suo nuovo romanzo, Alla fine di un giorno noioso (Edizioni E/O; pp. 177; €17). Un noir vibrante, costruito con la struttura di un thriller e l’occhio di chi vuol riportare sulla pagina la società e le sue zone d’ombra. Carlotto racconta le gesta di Pellegrini, fra affari e politica, fotografando il Veneto dei giorni nostri, governato dai “Padanos” con imprenditori ridotti sul lastrico e dimenticati dalle istituzioni e la criminalità organizzata che si impadronisce, giorno dopo giorno, del territorio: «è in atto un cedimento morale collettivo, il mio impegno è quello di sfatare il mito del Nord pulito e operoso». Ma dunque che fine ha fatto la celebre locomotiva del Nordest sbandierata come modello da imitare in tutto lo stivale? Giorgio Pellegrini è il perfetto emblema di una zona grigia che si allarga ogni giorno di più, fra ricatti e sottomissione dei più deboli. Tutto, pur di diventare più potenti e temuti.

 

Dal giallo della serie de L’alligatore ad un noir molto forte e spigoloso. Perché ha voluto cambiar genere?

«Nel mio lavoro comanda sempre la storia. Prima scelgo ciò di cui voglio parlare e poi vengono i personaggi e l’ambientazione. Quando non ho a che fare con la formula “crimini, indagine e soluzione” che mi conducono all’Alligatore, posso permettermi di variare stile. Ho richiamato Giorgio Pellegrini, il protagonista di Arrivederci amore ciao perché era il personaggio perfetto per interpretare questa storia».

Cos’è successo a Giorgio in questi anni nel Veneto dominato dai “Padanos”?

«Lui ha cercato di vivere in modo quasi irreprensibile nonostante il contatto con il mondo criminale l’abbia sempre avuto. Nel primo romanzo pur di ripulire la propria immagine, era disposto a compiere qualsiasi tipo di crimine e riesce ad ottenere ciò che desidera. In questo secondo romanzo, l’obiettivo è quello di rafforzarsi e per questo torna a delinquere».

In questo libro emerge una visione molto cupa della nostra società, dove il crimine e la corruzione economica e morale imperversano. Lei è preoccupato?

«Sono preoccupatissimo perché l’infiltrazione mafiosa nel Veneto è stata negata per molti anni e solo da poco l’associazione degli industriali ha riconosciuto questo fenomeno. Tuttavia non c’è mai un’inchiesta capace di far piazza pulita. La corruzione ormai è dilagante e il Veneto è la porta verso l’Est per cui giorno dopo giorno c’è un traffico di merci e persone davvero impressionante. E’ in atto un cedimento morale collettivo, il mio impegno è quello di sfatare il mito del Nord pulito e operoso».

Si riferisce alla famosa locomotiva del Nord-Est?

«Quella locomotiva si è sempre basata su un modello fortemente illegale, basato sull’evasione delle imposte e sul lavoro nero, riuscendo ad arricchire molte persone. La zona grigia dei disonesti si allarga sempre di più».

Nella prima parte del romanzo, in poche righe, denuncia la condizione dei piccoli imprenditori che si tolgono la vita oppure finiscono nelle mani degli strozzini. E tutto accade nel disinteresse generale delle istituzioni…

«Si fa finta di nulla, se ne parla un paio di giorni sui giornali ma si dimentica tutto in fretta. La realtà è che le banche hanno abbandonato artigiani e i piccoli imprenditori e intanto sono arrivate le bande di camorra che con l’usura si appropriano delle aziende sull’orlo del fallimento, per poter riciclare il denaro sporco. La crisi stessa è un terreno di profitto molto importante per la criminalità».

Giorgio ha un fascino devastante sul sesso femminile ma piuttosto che cercare il piacere, sembra più attratto dalla sottomissione.

«Ormai da dieci anni analizzo le relazioni umane che gravitano attorno ai criminali arrestati e divenuti celebri. Mi sono reso conto che domina proprio questo modello: sembra che per campare in modo soddisfacente abbiano un bisogno psicologico oltre che fisico, di avere accanto un universo femminile inteso nell’accezione di vittime consapevolmente sottomesse. Infatti quando Giorgio incontra donne che gli tengono testa, inevitabilmente scappa».

La citazione in epigrafe (Ruby Rubacuori ce lo ha insegnato: fottere i potenti non è reato) è una bella provocazione…

«L’ho trovata geniale! L’ho letta su un muro e mi sono reso conto che era perfetta per il mio romanzo perché Pellegrini ha capito che ci sono delle spaccature e delle collusioni fra mondo criminale e mondo politico che possono far ottenere grandi vantaggi».

Per Giorgio qual è un giorno noioso?

«E’ un modo di dire legato alla vecchia pubblicità del Campari ma la fine di un giorno noioso si va in piazza per lo Spritz che è ormai diventato un rito di massa in cui sono coinvolti tutti anche un certo sottobosco che si mescola alle persone, per così dire, perbene».

 

 

 

Massimo Carlotto è nato a Padova nel 1956. Scoperto dalla scrittrice e critica Grazia Cherchi, ha esordito nel 1995 con il romanzo Il fuggiasco, pubblicato dalle Edizioni E/O e vincitore del premio del Giovedì 1996. Per la stessa casa editrice ha scritto, oltre ad Arrivederci amore, ciao (secondo posto al Gran Premio della Letteratura Poliziesca in Francia 2003, finalista all’Edgar Allan Poe Award nella versione inglese pubblicata da Europa Editions nel 2006), i romanzi: La verità dell’AlligatoreIl mistero di MangiabarcheLe irregolari,Nessuna cortesia all’uscita (premio Dessì 1999 e menzione speciale della giuria premio Scerbanenco 1999), Il corriere colombianoIl maestro di nodi(premio Scerbanenco 2003), Niente, più niente al mondo (premio Girulà 2008),L’oscura immensità della morteNordest con Marco Videtta (premio Selezione Bancarella 2006), La terra della mia anima (premio Grinzane Noir 2007),Cristiani di Allah e nel 2009 Perdas de Fogu insieme al gruppo di scrittori riunito sotto la sigla Mama Sabot.
I suoi libri sono pubblicati in vari paesi.
Massimo Carlotto è anche autore teatrale, sceneggiatore e collabora con quotidiani, riviste e musicisti.