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Dalla tv (e dal web) in libreria: i libri degli chef star.
Nel periodo delle feste, fra il pranzo della vigilia e il giorno dell’epifania, tutte le diete cadono in prescrizione. Non a caso uno dei buoni propositi più in voga per l’anno nuovo è quello di andare in palestra per recuperare la linea. Ma in questi giorni, con la complicità dell’ennesima tavolata con i parenti, è fin troppo facile cadere in tentazione, magari seguendo la ricetta di uno chef stellato o provando a reinterpretarla. Ma perché questi cuochi hanno tanto successo? Perché i talent culinari sono così popolari persino sui social? Secondo il saggista statunitense Michael Pollan, ci piace tanto guardare gli chef al lavoro in tv anche perché nella nostra società abbiamo delegato tutto agli specialisti ma l’atto del cucinare fa parte del nostro immaginario emotivo e finiamo per esserne irresistibilmente attratti. Che siano giorni di bagordi o di alimentazione rigidamente controllata, ecco una guida fra i libri di cucina più interessanti, passando dalla cucina stellata a quella povera, dalla pasticceria sino ai menù vegani.
36,9° – Un racconto
36,9°
di Francesco Musolino
– Ah c’è una cosa che ti volevo raccontare.
L’altro si fece subito serio. Passò dalla modalità “relax” a quella “sono un medico h24” e il suo corpo, a questo switch, reagì drizzandogli la schiena, come se gli avessero infilato su per il culo un anima di ferro e questa gli si fosse incanalata lungo la spina dorsale.
– Ieri sera dovevo uscire con Flavia – dissi
– La tua collega dell’università?
– Già
– Mi piace Flavia penso che ti farebbe bene uscire con lei perché ha quel certo non so che ti riempie subito la stanza, ti fa venire il buonumore e la smetteresti anche di fare pensieri brutti, se e solo se uscissi finalmente con Flavia.
Lo disse d’un fiato e senza guardarmi negli occhi. Poi appena terminato afferrò la bottiglia di birra, soddisfatto di trovarla fredda e con il vetro appannato e l’avvicinò alle labbra. Ma si fermò di colpo. Scommetterei che stava pensando “se faccio una diagnosi sono in servizio e se sono in servizio non posso bere”. Bel dilemma etico. Anzi, etilico.
– Cristo. Hai finito? – tirai il fiato – E allora ti dicevo che ieri stavo per uscire con Flavia ma non mi sentivo granché, non so di preciso cosa fosse…
– oh, finalmente l’hai detto.
– cosa? Mi continui ad interrompere! Cos’ho detto?
– non sapevi cos’avevi.
– e allora?
– non devi fare autodiagnosi. No. E’ sbagliato. Mi chiami, mi spieghi, ti dico cos’hai. Ecco come funziona.
Per inciso dicendolo sembrava che stesse sgridando un cagnolino che continuava ostinatamente a fare la pipì sulla tenda del salone.
– O-k. Cmq non sapevo bene cosa avessi, mi sentivo agitato..
– troppi caffè
– no, solo due.
– coca?
– cola? No.
– coca..?
– no, cazzo.
– ma bevi abbastanza? Voglio dire mi bevi i tuoi 2/3 litri al giorno? Lo fai davvero? Eh?
Disse e fece tintinnare il dito contro la bottiglia, richiamando l’attenzione.
– non ti rispondo nemmeno.
– ah! Lo sapevo.
Segnò la vittoria con un lungo sorso e poi si pulì persino la bocca con la manica. Riguardandola, a cose fatte subito dopo, quello sbafo sulla sua camicia non è che ci stesse granché bene e restò assorto tanto che
– Oh mi senti!?
– Certo. Un medico ascolta sempre.
– anche quando si guarda la manica con quella macchia strana lì…
– soprattutto. Stavo facendo una diagnosi.
– ma davvero? – dissi sorridendo
– sì, ero occupato mentalmente a diagnosticare, a sommare sintomi e cause ipotetiche ma tu non potevi saperlo e ai tuoi occhi sembravo semplicemente distratto, questo perché tu sei un paziente – e disse quest’ultima parola come se fossi una specie di razza inferiore
– ad ogni modo, ero a letto e si stava facendo l’ora.. Cosa? Perché scuoti la testa adesso?
– a letto. Di pomeriggio. Potrei citarti decine di riviste scientifiche e stimati medici che disapproverebbero la cosa. Poi non chiamarmi se hai l’insonnia..
– non ti ho mai chiamato per l’insonnia. Non ne soffro.
– non ancora Adriano, non ancora – scandì in modo profetico. E vagamente iettatore.
Feci un po’ di scongiuri per tutte le occasioni e proseguii, entrambi seguivamo la partita con le schedine delle scommesse, capovolte, davanti a noi sul tavolo. Ormai era diventata una bella tradizione che aggiungeva del pepe quando guardavamo insieme le partite alla tv.
– Erano quasi le 21, mi sarebbe bastata una mezz’ora per essere pronto. Ormai ero arrivato sino al tempo limite per continuare a vedere il film e a quel punto dovevo prepararmi, non potevo più rimandare. Però sentivo il cuore battere..
– …il problema sarebbe stato serio se non batteva più…
Feci finta di nulla. Avrebbe dato più fastidio a lui. Ne ero certo.
– …contai i battiti..
– ecco, l’hai detto. Questa cosa di contare i battiti non si deve fare.
Cattivo cagnaccio.
– mi sono girato sul fianco e fissando il display ho contato…
– quanti?
Chissà come andavano le sue scommesse. Le mie come al solito, di merda. Ma le avremmo potute confrontare solo alla fine.
– 99
fece una smorfia. Poi intuendo che lo stavo fissando, rilassò daccapo il viso come un medico di campagna cui hanno appena servito un cognac davanti ad un caminetto accesso mentre fuori imperversa una rigida sera invernale.
– allora lesto ho preso il termometro
– come?
– cosa come? Ho aperto il cassetto, lo tengo sempre a portata di mano non si sa mai una cosa improvvisa, ho asciugato con un kleenex l’ascella e l’ho infilato. Stringendo ma non troppo. Diciamo una via di mezzo, abbastanza per sentirlo infilato ma senza esagerare.
– molto interessante. Però volevo sapere – disse sempre senza voltarsi e continuando a guardare con attenzione quasi ipnotica la tv – ma com’è questo termometro?
Non risposi. Colpevole.
– non mi dire che…
Continuai a non dire nulla.
– !
– non è provato. Non è provato!
– fai come ti pare.
– maddai. Cosa dovrebbe accadere? Cosa?
– fai come ti pare – ribadì secco.
Rimase un attimo in tensione perché il Milan sfiorò il raddoppio ma tutto ok, era in fuorigioco. Poi si rilasso sulla sedia di tela che rispose cedendo e producendo scricchiolii.
Stavo per ribattere quando cambiarono altri due risultati e per qualcosa come un minuto restammo in silenzio. Ciascuno condannava o benediva le scelte fatte. E le somme puntate.
– Se si rompe, ti tagli e te lo bevi? Eh? Come la mettiamo? Poi esci sul giornale e tutti a dire “ma il suo medico non gliel’aveva detto?”. Te lo immagini? Che figura ci farei, scusa?
– A parte che dovresti preoccuparti della mia salute e non della tua reputazione…
Roteò la mano in aria, come a dire, “vabbè…”
– Ma poi mi spieghi la folle sequenza di eventi che modo dovrebbe farmi bere il mercurio?
Una vampata di sangue gli attraversò il viso. Per uno come lui, con l’aplomb dei vecchi nobili russi, era quasi una crisi isterica.
– Dai.
Stava per voltarsi verso me quando, spostando la mano per fare presa sul bracciolo di plastica, cambiò canale. Fu il panico puro. Armeggiò coi tasti e per qualcosa come dieci secondi, forse quindici, fummo all’oscuro di tutto. Ripensandoci mi ricordò quando una volta uscì con una tipa, niente di che adesso ma allora mi prendeva parecchio. Avevo puntato una bella somma perché stavo attraversando quella fase oscura del “scommetto tanto ma su poche partite (sicure)”. Ma come un folle avevo comunque accettato la proposta, sua, di andare al cinema a vedere un film. Che aveva scelto lei. Non che non volessi decidere nulla – quell’altra fase arrivò dopo – piuttosto era un gesto anche scaramantico, ma al contrario. Volevo variabili impazzite, volevo che sapessero che io avevo puntato sì, una bella cifra, ma-me-ne-fregavo-di-loro-e-di-tutti-quanti. Sarei tornato a casa e solo allora avrei controllato i risultati. Sul televideo! Era uno smacco allo smartphone, alle app, a sky e a tutto il resto. Quella sera misi la bolletta in tasca e uscii sorridendo. Alla faccia loro. Chi erano “loro”? Davvero me lo state domandando? Ovviamente quelli che sapevano, quelli che controllavano i risultati. Perché c’era da qualche parte qualcuno che sapeva tutto. Certo, sarebbe stato più saggio non scommettere allora, incrociare le braccia e dire “fanculo” non ci sto. C’avevo già provato tre volte e ti dava quel brivido di potere dentro. Ma poi guardare le partite senza scommettere era come lavarsi e profumarsi di tutto punto per poi tornare a letto. Che senso aveva?
Intanto le immagini erano tornate. Alleluja.
– ok si potrebbe rompere. Lo ammetto.
– direi
– Sì ma tutto il resto? Come potrei berlo? – incalzai
– La concitazione.
– Cioè mettiamo che mi taglio, mi ferisco, i lembi della carne – la parola lembi gli fece appena sollevare l’arcata sopraccigliare sinistra, l’unica che mi mostrava – lasciando fuoriuscire del sangue e poi?
– La concitazione – ribadì.
– Ti pesano le parole?
– Ti agiti e mentre cerchi di capire se hai vetro e mercurio dentro la ferita, ti metti le dita in bocca e… capito?
– bah.
– pagine su pagine di letteratura scientifica, fidati. Comincia a leggerle pensando “non saranno così fessi da bersi il mercurio” e dopo qualche paragrafo sono lì, per terra, che sbavano e si agitano…
– che tatto.
– lo sai che..
Si interruppe. Di colpo. L’avrei fatto anch’io se avessi visto quella cosa lì su un campo da calcio, in diretta per giunta. Poi riprese
– lo sai che è illegale, vero?
– bum!
– scherza scherza.
– cos’è, mi devo aspettare ispezioni della finanza? Medici certificati dall’Europa alla mia porta? Non mi denunciare, ti prego…
giunsi le mani e lo implorai sorridendo. Lui comunque non si voltò.
– non potrei mai, lo sai.
– tu sì che sei un buon amico.
– macché. Per il giuramento di Ippocrate!
Il sorriso non fece in tempo a nascere che morì sulle mie labbra.
Ormai ci avvicinavamo alla fine degli incontri e bisognava sbrigarsi con le chiacchiere.
– Comunque avevo 36,9°
– 36,9° non è febbre.
– sì ma..
– no. Ascoltami. 36,9° non è febbre. Se un giorno mi chiamassi e io sentendo squillare il cellulare, magari rimasto nel mio camice perché nel frattempo sto operando e non mi sembrava il caso di portarlo in sala operatoria..
– spegnerlo?
– ..mi facessi togliere i guanti dall’infermiera, mi lavassi le mani e mi togliessi il camice..
– mi sembra una follia
– ..per poi entrare nello spogliatoio, senza fiato..
– ma quanto dura la tua suoneria?
– ..e vedendo il tuo numero, accigliato..
– perché accigliato? Devo darti sempre cattive notizie?!
– ..rispondessi, con il fiatone e nell’altro orecchio l’eco dei bip dei monitor con il paziente sospeso, in bilico sul crinale fra la vita e l’aldilà e tu mi dicessi “ho 36,9° che faccio?”. Io sai cosa farei?
– posso rispondere?
– ..ti manderei a quel paese! Questo farei.
– adesso posso parlare? Intanto avresti violato tutte le norme igieniche e comportamentali di qualsiasi paese civile. E non. Ti pare che ti chiamo per 36,9°? Ieri ti ho chiamato? Eh?
– quindi quel 339 e qualcosa non è tuo?
Pensai di confessare subito. Non volevo problemi con il mio karma.
– se non eri tu… – disse rabbuiandosi, almeno il lato sinistro che era quello che vedevo – …magari era una cosa importante.
– gentile.
– ti prego non fare la vittima. L’altra volta mi hai chiamato per…
– ma che c’entra! Come facevo a sapere che facesse quell’effetto?!
– per questo io padroneggio la scienza medica mentre tu… – disse agitando la mano in aria senza proseguire ma sapevo che pensava alla battuta più celebre del Marchese del Grillo…
– cmq se avevi ‘sto dubbio, potevi richiamarlo quel numero.
– mai. I medici non richiamano mai. E’ una questione di principio.
– mah.
– é come l’abilità di scrivere le ricette in modo…
– incomprensibile?
– raffinato! Pensa – proseguì con un tono sognante – l’altro giorno ho visitato un colelga anziano e i suoi appunti…erano talmente minuti che sembravano accarezzare la carta, senza sciuparla.
– Immagino la felicità dei suoi pazienti per capire le ricette…
Sospirò. Doveva sentirsi come un missionario che consegna una forchetta ad un selvaggio e quello, se la passa fra i capelli.
– capirai, lui è uno studioso ormai. Non sta più a contatto con…
– i malati?
– …i pazienti.
– beato – mi sfuggì.
Lui non reagì, mi voltai verso la tv, mancavano solo dieci minuti al termine delle partite. Bisognava far presto.
– comunque avevo sempre 36,9°.
E dicendolo girai anche la sedia di tela a fasce colorate verso di lui che rimase però di profilo. Mosse appena i baffetti sottili che gli seguivano le labbra.
– che non è febbre.
– però ci siamo quasi. Per cui…
– non mi dire.
Strano parlare con uno che non ti guarda. Voglio dire, una cosa è stare affiancati ma così sembravano due segmenti del Tetris.
– preparai la telefonata nella mia mente…
– Adriano…ormai che le avevi detto sì..
– oh, dovevamo andare in un lido ad ascoltare un gruppo di amici suoi, mica a far trapianti di rene in Burundi!
– é una questione di etica.
Irruppe il gol del Napoli e subito dopo il Cagliari prese il terzo gol in trasferta. Lo sapevo, cazzo! Ma non si capiva se lui era contento o no per le scommesse. Avevamo da tempo vietato di farci domande sulle rispettive giocate per impedire la gufata. Quella automatica ma soprattutto quella spontanea, quella che ti esce dal cuore mentre la tua scommessa “sicura” si arena incomprensibilmente, e a quel punto oggettivamente non puoi essere felice per nessun altro. Ma il Napoli alla fine l’avevo giocato o no? Dovevo essere contento o incazzato? Madonna com’era possibile averlo dimenticato? Forse essere sintomo di qualcosa. Avrei dovuto appuntarmelo?
– insomma ho fatto il suo numero…
– spero ti abbia mandato a quel paese
– …magari. Non mi ha nemmeno risposto. La cosa peggiore.
– non mi dire che non ci sei andato e non l’hai nemmeno avvertita…
– ma mi fai raccontare? Intanto me la sono misurata daccapo. E non scuotere la testa, erano passati già due minuti!
– addirittura. E quindi?
– sempre 36,9°
– che non è febbre.
– sì ma è lì vicino! Proprio al limite fra “resto a casa sotto le coperte” o “esco e tanti saluti”! Onestamente ero indeciso su cosa fare. Però non ero convinto di dirle che mi era salita la febbre.
– in effetti non ti era salita.
– Più che altro avevo timore di sembrare malaticcio..
– proprio tu?
– ma la pianti!?
– l’importante è che le hai risparmiato la storia di tua nonna.
– mai abbastanza rimpianta. E lo sai.
– dai! E’ di cattivo gusto
– ma perché? Dicendole “sai mia nonna non sta bene, è molto grande…”
– cos’è un mobile?
– “niente di serio, però sai…”, lasciando le giuste pause per farle capire che sono un bravo ragazzo in fondo.
– soprattutto un nipote modello.
– é morta ormai. Che differenza vuoi che faccia? Almeno rivive con il pensiero..
Lui scuoteva la testa. Chissà poi perché.
– l’unica cosa è che devo ricordarmi quando uso la scusa della nonna sennò poi mi domandano come sta e io mi incazzo pure.
– é morta da quanto? 5 anni? – disse
– intanto i minuti passavano e lei non richiamava.
– non sarà mica una collega – e sollevò per un attimo il sopracciglio, dubbioso.
Non ebbi il tempo di replicare perché intanto l’Udinese passò in vantaggio. Le altre non me le ricordavo ma questa la stavo sbagliando di sicuro. Mi domandai per quale cazzo di motivo tenessimo le schedine girate che poi uno si dimentica anche quello che ha scommesso e s’incasina gli equilibri mentali. Feci per allungare le mani
– che fai?
Mi gelò.
– eh? Mi sgranchisco.
– bravo. Ottima idea. In America nessuno sta seduto fermo, nessuno si permette più di stare solo e semplicemente seduto.
– No?
Ipotizzai che inclinando il collo e abbassando la testa all’altezza del tavolo, forse, avrei potuto leggere i caratteri stampati sulla carta termica.
– me l’ha detto un collega specializzato in post.. Ma cosa stai facendo? – disse intercettando i miei movimenti con la coda dell’occhio, senza bisogno di girarsi verso di me.
– Stretching! – dissi rimettendomi subito dritto con un sonoro scrocchio del mio collo.
– bene. I medici vanno ascoltati sempre e a prescindere. Per una questione di principio.
– Mentre aspettavo mi sono rimisurato la febbre.
– ancora?!
– mi annoiavo!
– …Quindi?
– sempre 36,9° – dissi cercando comprensione nel suo profilo sinistro, nei suoi capelli sottili pettinati con cura e nel suo mento debole che sfilava giù in un golfino di cotone coperto dal camice bianco di ordinanza che indossava anche in casa – Speravo fosse scesa ma anche se mi fosse salita di botto sarebbe stato ok. L’unica cosa che non volevo era che restasse tutto immutato. Mi sentivo bloccato. Ostaggio delle mie difese immunitarie svogliate e di un’infezione poco volenterosa persino per conquistarmi. A quel punto la richiamai, tanto non sono mica un medico…
Dissi con tono scherzoso.
– poco ma sicuro – mi freddò.
Replicò con tanta di quella spocchia che mi sembrava eccessiva anche per i suoi standard.
Per tutta risposta mi girai e fissando la tv, proseguii filato:
– alla fine mi sono alzato, mi sono fatto una lunga doccia calda, mi sono cambiato e ho preso la macchina. Il telefono non ha mai squillato lungo il tragitto. Sono persino arrivato in anticipo.
Poi sorrisi.
– io non l’avrei mai fatto.
– perché? – dissi voltandomi daccapo verso lui.
– un medico non arriva mai né in anticipo né in ritardo. Semplicemente, arriva.
– addirittura. Sa di messianico.
– l’hai detto.
Piombò il silenzio. Mi voltai e sistemai la sedia di tela senza fare alcun rumore, parallela alla sua, davanti la tv. Non osavamo fiatare. Seguivamo gli ultimi minuti sempre così, immobili, come statue di sale.
– ah, a proposito – dissi girandomi di nuovo verso lui, violando qualsiasi regola e tradizione – quand’è che ti laurei in medicina?
– ancora ci vuole – rispose e si voltò verso di me, mostrando tutto il viso, compresa la guancia destra, stravolta dall’acne – prima fammi finire il liceo.
[Francesco Musolino®. Marzo 2013] Questo racconto è stato pubblicato per la prima volta sul blog culturale Letteratitudine di Massimo Maugeri.
Massimo Maugeri: «Scrivere è l’atto di massima libertà possibile»
Fa parte dei “nuovi” membri della giuria del premio Strega. Il suo nome richiama una puntuale e appassionata comunicazione letteraria sul web mediante Letteratitudine, il suo seguitissimo blog. Ha la passione della scrittura e in pagina porta sovente la sua terra, la nostra terra, e i corto circuiti della contemporaneità. Il suo nuovo romanzo, “Trinacria Park”, è edito nell’interessante collana Sabot/Age curata da Colomba Rossi (ideata da Massimo Carlotto) per le Edizioni E/O. Stiamo chiaramente parlando di Massimo Maugeri che con questo libro segna un salto di qualità stilistico e il passaggio al genere noir, con un libro dai forti tratti metaforici che richiama l’importanza del Mito e non esita a denunciare le brutture della Sicilia…
Com’è nata l’idea di Trinacria Park?
«In maniera piuttosto semplice. Ho immaginato una piccola isola siciliana deturpata dall’edilizia selvaggia e dall’industria siderurgica, e ho immaginato un piano di riconversione fondato sulla realizzazione di un enorme parco tematico: il “Trinacria Park”. Un parco talmente grande da ambire a superare – per fama – l’Eurodisney di Parigi. L’idea è nata così. E da qui è nata la storia…»
Questo libro segna l’approdo ad una casa editrice di primo piano in una fra le collane editoriali più interessanti. Trinacria Park, a ben vedere, vi si colloca perfettamente poiché la menzogna e il suo necessario disvelamento sono alla base del tuo libro…
«Assolutamente sì. “Trinacria Park” è stato accolto all’interno della collezione Sabot/Age delle edizioni e/o: una collana diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto e che tra le tematiche prevalenti di cui si occupa c’è, appunto, il “tema della menzogna” (che è il tema centrale di “Trinacria Park”). All’interno del parco, e dell’isola, per un motivo o per l’altro, tutti fingono. La storia si dipana nel mezzo di interessi contrapposti, sopra cumuli di bugie dissimulate dai fasti mediatici che ruotano intorno a un grande sogno… che però è solo apparenza. Nulla è come sembra al “Trinacria Park”. Ma non c’è solo questo. Ci sono le storie dei tanti personaggi che popolano questo romanzo. Ciascuno di loro compie un percorso che incrocia inevitabilmente la tragedia collettiva consumata all’interno del parco. A partire da Manuel Vetri: un attore balbuziente che smette di tartagliare appena si accende l’occhio della telecamera, e che scoprirà verità che lo riguardano solo alla fine del percorso».
Interessante e suggestivo il collegamento fra le tre donne e le tre Gorgoni. Perché hai voluto questo parallelismo, questo gioco di rimandi che lega passato e presente?
«Perché sentivo l’esigenza di inserire una componente mitologica e visionaria all’interno di questa storia. Credo che il Mito, oggi, sia il grande assente della nostra letteratura. E credo sia giunto il momento di tornare a ridargli spazio. A mio modo di vedere la componente mitologico/visionaria agisce di più sull’inconscio e dunque (in un momento di grande bombardamento mediatico e di flussi di notizie che ci investono senza soluzione di continuità) può consentire – paradossalmente – di raccontare una storia in modo più incisivo. Nel corso della narrazione si crea un parallelismo tra le vicende dei tre principali personaggi femminili e le tre Gorgoni: la giornalista Marina Marconi viene accostata a Steno (detta “la forte”); alla direttrice del parco, la produttrice cinematografica statunitense Monica Green, si affianca la figura di Euriale (detta “la spaziosa”); la giovane attrice Angela Metis si ritrova a incarnare il mito di Medusa (“la distruttrice”)».
Un altro personaggio significativo è Gregorio Monti. Con lui emergono delle considerazioni sull’Isola, seviziata, malgovernata e stuprata…
«Gregorio Monti è il direttore artistico del parco. È un uomo di teatro. Un siciliano che ha lasciato l’isola e che ha fatto fortuna all’estero, approdando anche a Broadway. Lui incarna una serie di contraddizioni e di paradossi, a partire da quello che chiama “effetto isola”: un miscuglio di sensazioni contrastanti che prova ogni volta che torna o si allontana dal suo luogo di origine: un senso di fastidio frammisto a una componente di nostalgia».
Allargando l’occhio alla tua intera opera, le contraddizioni della modernità ti hanno sempre affascinato. In questo senso la scrittura si fa denuncia o piuttosto cartina di tornasole per evidenziare le brutture, i corto circuiti del nostro tempo?
«Entrambe le cose. In tal senso credo che la letteratura sia tutt’altro che morta. Al contrario, si trasforma in opportunità e urgenza. Ritengo che ne dia dimostrazione l’intera collezione Sabot/Age, che offre una potente suggestione: quella di una letteratura di sabotaggio fondata sul simbolo del “sabot”… lo zoccolo di legno che gli operai, ai tempi della rivoluzione industriale, lanciavano contro gli ingranaggi della macchina per arrestarne il meccanismo quando erano stremati. “Noi siamo esausti della menzogna che ci opprime”, dice Massimo Carlotto».
Da anni con Letteratitudine ti sei reso megafono della cultura e della scrittura in Italia. Invertendo il flusso delle domande, passando da intervistatore ad intervistato, ti chiedo: cosa significa per te l’atto della scrittura?
«Per me l’atto della scrittura coincide con l’atto della massima libertà. Ma è anche un atto di forte condivisione. E questo vale per tutte le grandi storie. Lo scrittore invita il lettore a intraprendere un viaggio, a condividere un’esperienza che oltrepassa le barriere dello spazio e del tempo. Spero che il viaggio offerto da “Trinacria Park” sia uno di quelli meritevoli di essere intrapresi».
Francesco Musolino®
Fonte: Tempostretto.it del 19 aprile 2013
Una chiacchierata con… Francesco Musolino (di Massimo Maugeri) – Settembre 2011
Tra i nomi dei giovani giornalisti culturali siciliani, spicca quello del trentenne Francesco Musolino (nella foto), il quale può vantare al suo attivo svariate e fruttuose collaborazioni con giornali e magazine, tra cui Stilos, Leggere:Tutti, Satisfiction e il Corriere Nazionale. Inoltre collabora con Vogue.it. Per il quotidiano di Messina, Tempostretto.it e il settimanale siciliano Centonove cura le pagine di cultura e spettacolo e cura le rubriche dedicate ai libri.
Francesco Musolino, vive a Messina dove ha conseguito la laurea in Scienze Politiche con tesi sul pensiero di Ernst Jünger circa il progressivo dominio della tecnica sull’uomo dalla grecità ad oggi.
Il suo sito web è: francescomusolino.com
Francesco, quando hai cominciato a interessarti di libri e letteratura?
«Il primo vero ricordo legato ai libri risale alla primavera del ’92 quando mia madre mi regalò “La Compagnia dei Celestini” di Stefano Benni, acquistato in una libreria romana. Nonostante i miei familiari fossero lettori voraci, sino a quel momento non avevo un buon rapporto con i libri ma quel romanzo, così fantasioso e originale, fece scattare la scintilla e da quel momento in poi i libri non solo fanno parte della mia vita, ma la rendono più ricca e profonda. Ben presto cominciai ad appuntare ai margini delle pagine, curiosità e domande rivolte allo scrittore che leggevo, fin quando passai una notte intera a chiedermi quale sarebbe stata la mia strada. Il mattino dopo mi misi in cerca di una testata online che reclutasse giovani collaboratori e solo qualche giorno dopo cominciai a scrivere per il giornale romano Gufetto.it. Era il 2006 e fu così che tutto cominciò».
Quali sono le maggiori difficoltà con cui, oggi, deve confrontarsi un giovane giornalista culturale siciliano per svolgere il suo lavoro?
«Partiamo in ordine alfabetico? Scherzo ma purtroppo gli ostacoli sono numerosi. In primo luogo bisogna fare i conti con gli stessi colleghi che troppo spesso giudicano con superficialità chi si occupa di quella che un tempo veniva chiamata “Terza Pagina” ovvero la pagina cultura per eccellenza. Nutro sincera stima per gli analisti economici o per gli editorialisti di politica ma sono convinto che saper porre le giuste domande ad un attore o cogliere l’essenza di un romanzo non sia affatto banale, anzi. Soprattutto bisogna fare i conti con buona parte degli editori che troppo spesso, pur avendone i mezzi, credono si possa non pagare – o sottopagare – chi si occupa di libri, cinema e spettacolo».
Hai mai pensato di emigrare per cercare “fortuna” lontano dalla Sicilia?
«Certamente. Da una parte è necessario sapere che bisogna sapersi spostare con facilità verso Roma, Milano e Torino, i maggiori centri culturali italiani, per respirarne le atmosfere e conoscerne gli attori principali. Ma vista una certa ritrosia del territorio, spesso penso quanto potrebbe essere diversa la mia vita e la mia professione se vivessi lì, a stretto contatto con l’ambiente di cui scrivo. Tuttavia mi piace pensare che sia possibile parlare e scrivere di cultura a Messina – e in generale nel Sud – facendo una vita serena e non precaria. Per questo continuo a seminare e ad impegnarmi al massimo nel mio lavoro, fra libri, mail, recensioni ed interviste. E se un giorno dovessi stancarmi…la valigia è sempre pronta».
Che consigli ti sentiresti di dare a un ragazzo che sogna di fare il giornalista culturale?
«Credo che l’importante sia impegnarsi giorno per giorno, lavorare sul proprio stile ispirandosi alle firme famose senza mai copiarle. Bisogna leggere moltissimo e non aver paura di muovere critiche anche a chi viene ritenuto, a torto o a ragione, intoccabile. E infine consiglierei di essere modesti ma al tempo stesso ambiziosi. In fin dei conti chi vorrà davvero fare il giornalista si renderà conto ben presto delle difficoltà del mestiere ma non potrà fare altrimenti che seguire la sua vocazione. Nella vita poche cose sono davvero importanti quanto un sogno che si realizza, soprattutto se si lotta per averlo».
Qual è stata la tua più grande soddisfazione nell’ambito dell’attività giornalistica che hai svolto finora?
«Ogni volta che mi viene inviato un libro, ogni volta che vengo contattato per propormi un’intervista o una recensione, ogni volta che vengo invitato ad un festival…mi sento sinceramente onorato. Sono attestati di stima che che raccolgo con grande piacere. Ho una vera passione per le interviste e mi ispiro tanto a quelle di Sabelli Fioretti che a quelle storiche della Paris Review. Grazie al mio mestiere ho avuto il piacere di realizzarne parecchie e fra queste spiccano certamente quelle ad Emir Kusturica, Carlo Lucarelli, Alessandro Bergonzoni, Oliver Stone, Dan Fante, David Foenkinos e Nanni Moretti. Ma ad essere sinceri credo che potenzialmente qualunque intervista possa serbare grandi sorprese».
Progetti per il futuro?
«Per fortuna sono tanti. In primo luogo ho ripreso il lavoro per le diverse testate con le quali collaboro e spero di seguire diversi festival letterari e cinematografici quest’anno. Inoltre per la “libreria Circolo Pickwick” di Messina, sto curando un palinsesto di presentazioni letterarie che partirà a fine settembre e si concluderà a dicembre per poi riprendere a gennaio. Parleremo di Mediterraneo e di libri legati al nostro mare e avremo il piacere di ospitare sia nomi celebri dell’editoria italiana che giovani talenti emergenti. Ma non saranno le classiche presentazioni letterarie poiché punteremo sul connubio che la letteratura sa tessere con la musica, le arti visive e persino il gusto.
Chissà forse il 2011 sarà l’anno giusto per rimettersi a scrivere. Ho composto due silloge di poesia ma non ho davvero cercato un editore perché il mercato italiano è troppo timoroso nei confronti della poesia e trovo che l’editoria a pagamento sia un detestabile ossimoro. Accanto alla mia passione per la poesia, ho in mente tre racconti e due romanzi che non aspettano altro che d’essere scritti. Vedremo».
Fonte: Letteratitudine del 4 settembre 2011 (e Terza Pagina)
Massimo Maugeri: «Nonostante le ansie contemporanee, oggi c’è ancora posto per la speranza»
Le nostre ansie e le contraddizioni in seno alla nostra società sono il ricco spunto del nuovo libro di Massimo Maugeri, la raccolta di racconti intitolata Viaggio all’alba del millennio, edito PerdisaPop (pp. 208; €15). Dal terrore mediatico all’incapacità di comunicare nonostante i media stessi, dalla perdita d’identità alle incertezze sul futuro cui si va incontro, Maugeri porta sulla pagina una ricca galleria di personaggi che compongono un mosaico della Commedia Umana di balzacchiana memoria. Tuttavia nella propria prosa Maugeri lascia filtrare anche sprazzi di dolcezza, di speranza, come se la realtà, per quanto dura, possa concedere anche la possibilità di essere semplicemente felici, un giorno. Ma Viaggio all’alba del millennio è anche l’occasione per discutere con un l’ideatore del seguitissimo sito Letteratitudine circa il futuro dell’editoria italiana e il recente riscatto dei racconti, un tempo vilipesi e oggi assurti agli onori delle vendite, grazie soprattutto alla piccola-media editoria.
L’etichetta di “critico” Maugeri non se la sente cucita addosso, preferendo quella di “divulgatore” e del resto anche la sua esperienza radiofonica su Radio Hinterland con “Letteratitudine in Fm” è il perfetto esempio di come sia possibile dialogare con autori e lettori alla pari.
Maugeri ha inoltre partecipato al Taobuk festival di Taormina presentando proprio “Viaggio all’alba del millennio”.
Come nasce questa raccolta di racconti?
Nasce dall’esigenza di riflettere e di provare a raccontare questo scorcio di inizio millennio, con le sue ansie e le sue contraddizioni. Da un lato, sono le ansie e le contraddizioni di sempre; dall’altro, sono frutto delle caratteristiche peculiari di questi nostri anni. Storie diverse, scritte con stili diversi, popolate da molti personaggi che finiscono con il ritrovarsi tra un racconto e l’altro. Da questo punto di vista i racconti di “Viaggio all’alba del millennio” possono essere considerati e letti come i capitoli di un romanzo. Sono viaggi compiuti fuori e dentro l’uomo di oggi, che puntano il dito sui disagi dettati dalla crisi d’identità, dalla paradossale difficoltà a comunicare “veramente” (nonostante lo sviluppo dei media), da certi scenari che cambiano. I temi trattati sono molteplici: il terrorismo internazionale, l’ansia da attentati, le contraddizioni di certi rapporti famigliari, alcuni aspetti negativi della comunicazione in rete, l’immigrazione clandestina, il desiderio di riscatto nonostante tutto, e altro ancora. Racconti duri, che però non mancano di strappare sorrisi e che comunque non voltano le spalle alla speranza.
I maestri nell’arte delle short stories sono numerosi e assai diversi negli stili. Hai tratto ispirazione da qualcuno in particolare?
Se devo farti un nome, non posso che indicare quello di Italo Calvino… con riferimento a “Le città invisibili”: un insieme di storie che può essere considerato – anche qui – come una raccolta di racconti “a tema”, o come un romanzo. Sono storie ad alto concentrato visionario e metaforico, e per questo ancora molto attuali (a mio avviso, almeno). C’è una citazione tratta da “Le città invisibili” che attraversa storie e personaggi di “Viaggio all’alba del millennio”, e che – da un certo punto di vista – potrebbe essere considerata come chiave di lettura di questo mio libro. Ed è la seguente: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio ”.
Sino a pochi anni fa, il racconto e la poesia erano particolarmente osteggiati dall’editoria italiana. Oggi c’è una maggiore apertura mentale almeno per quanto riguarda il racconto. Come ti spieghi quest’evoluzione dei gusti?
Semplicemente ci si è resi conto che esiste una parte rilevante di lettori che ama leggere racconti. Peraltro molti, oggi, leggono a “singhiozzo” per via dei numerosi impegni. In tal senso le narrazioni brevi potrebbero anche essere ritenute preferibili. Tuttavia bisogna sottolineare che la recente apertura verso i racconti trova maggiore spazio nella piccola e media editoria. I grossi marchi editoriali, tranne rare eccezioni, continuano a puntare sui romanzi.
Letteratitudine ormai è un punto di riferimento sul web. Com’è nata questa esperienza e come sei giunto anche in radio?
Il blog Letteratitudine è nato per caso nel settembre del 2006. Era appena venuta al mondo la mia secondogenita e avevo più difficoltà del solito negli spostamenti. Da qui l’idea di creare un blog che potesse consentirmi di “incontrare” – senza spostarmi da casa – altra gente interessata alla letteratura. In effetti Letteratitudine nasce proprio come “luogo d’incontro” tra coloro che gravitano attorno al mondo del libro: lettori, scrittori, critici letterari, giornalisti culturali, librai, ecc. Ma, all’epoca, non avrei mai potuto immaginare di beneficiare di consensi così ampi. L’esperienza della radio è di epoca più recente, ed è figlia del successo del blog. Come ho raccontato in altre circostanze, sono stato contattato via Facebook da Gabriele Pugliese, il direttore di Radio Hinterland (una radio che trasmette in Fm in Lombardia, ma che va in diretta – in streaming – anche via Internet). Pugliese mi ha proposto uno spazio per condurre una trasmissione culturale che si occupasse di libri e letteratura. All’inizio avevo qualche perplessità, e infatti ho declinato l’invito. Poi Pugliese mi ha chiamato più volte al telefono, e – alla fine – mi ha convinto. Oggi gli sono molto grato. Per me, questa della radio è senz’altro un’esperienza entusiasmante e arricchente. La trasmissione si chiama “Letteratitudine in Fm”. L’obiettivo di queste mie chiacchierate è quello di mettere l’ospite a proprio agio e indurlo a raccontare e a raccontarsi nel modo più naturale possibile… mi piace vedermi come una sorta di “medium invisibile” tra l’ospite e gli ascoltatori. E questo trattamento lo riservo a tutti: sia agli autori noti al grande pubblico, sia a quelli meno noti. Credo che oggi “Letteratitudine in Fm” sia una delle più importanti trasmissioni radiofoniche che si occupano di letteratura in Italia e vista la ricca galleria di scrittori noti che ho potuto intervistare ne vado particolarmente fiero.
Ho letto che non ti piace l’etichetta di critico letterario. Come ti definiresti?
Non saprei. Per la verità non mi interessano granché le etichette. Sono uno che si occupa di libri, forse più come “divulgatore” e “comunicatore” che come “critico”… anche se continuo a scrivere di libri su qualche quotidiano e magazine.
Stai partecipando al Taobuk festival di Taormina. Da un paio d’anni in Sicilia e in Calabria stanno nascendo diversi festival letterari, più o meno ambiziosi. E’ il segnale tanto atteso di un risveglio culturale?
È il segnale che la gente sente l’esigenza di una maggiore offerta culturale. Da un lato c’è l’impegno personale di tanti operatori culturali che stanno dando tutto se stessi per portare avanti “sogni” (anche perché molte di queste iniziative sono nate in economia e con budget risicatissimi), dall’altro c’è una risposta significativa da parte del pubblico. Sì, mi sembra un segnale positivo. Anche perché si tratta di iniziative nate “dal basso”, e senza strumentalizzazioni politiche. E questo lascia ben sperare per il futuro. Laddove c’è voglia di cultura, c’è anche voglia di crescita. Per quel che mi è dato fare, nel mio piccolo, darò sempre una mano a questo tipo di iniziative.
Massimo Maugeri, catanese, collabora con molti magazine e quotidiani. Ha scritto: Identità distorte (Prova d’Autore, 2005; premio Martoglio), Letteratitudine, il libro (Azimut, 2008) e, insieme a Simona Lo Iacono, La coda di pesce che inseguiva l’amore (Sampognaro & Pupi, 2010). Ha curato Roma per le strade (Azimut, 2009).
Ha ideato e gestisce il sito http://letteratitudine.blog.kataweb.it.
Fonte: www.tempostretto.it del 12 luglio 2011