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36,9° – Un racconto
36,9°
di Francesco Musolino
– Ah c’è una cosa che ti volevo raccontare.
L’altro si fece subito serio. Passò dalla modalità “relax” a quella “sono un medico h24” e il suo corpo, a questo switch, reagì drizzandogli la schiena, come se gli avessero infilato su per il culo un anima di ferro e questa gli si fosse incanalata lungo la spina dorsale.
– Ieri sera dovevo uscire con Flavia – dissi
– La tua collega dell’università?
– Già
– Mi piace Flavia penso che ti farebbe bene uscire con lei perché ha quel certo non so che ti riempie subito la stanza, ti fa venire il buonumore e la smetteresti anche di fare pensieri brutti, se e solo se uscissi finalmente con Flavia.
Lo disse d’un fiato e senza guardarmi negli occhi. Poi appena terminato afferrò la bottiglia di birra, soddisfatto di trovarla fredda e con il vetro appannato e l’avvicinò alle labbra. Ma si fermò di colpo. Scommetterei che stava pensando “se faccio una diagnosi sono in servizio e se sono in servizio non posso bere”. Bel dilemma etico. Anzi, etilico.
– Cristo. Hai finito? – tirai il fiato – E allora ti dicevo che ieri stavo per uscire con Flavia ma non mi sentivo granché, non so di preciso cosa fosse…
– oh, finalmente l’hai detto.
– cosa? Mi continui ad interrompere! Cos’ho detto?
– non sapevi cos’avevi.
– e allora?
– non devi fare autodiagnosi. No. E’ sbagliato. Mi chiami, mi spieghi, ti dico cos’hai. Ecco come funziona.
Per inciso dicendolo sembrava che stesse sgridando un cagnolino che continuava ostinatamente a fare la pipì sulla tenda del salone.
– O-k. Cmq non sapevo bene cosa avessi, mi sentivo agitato..
– troppi caffè
– no, solo due.
– coca?
– cola? No.
– coca..?
– no, cazzo.
– ma bevi abbastanza? Voglio dire mi bevi i tuoi 2/3 litri al giorno? Lo fai davvero? Eh?
Disse e fece tintinnare il dito contro la bottiglia, richiamando l’attenzione.
– non ti rispondo nemmeno.
– ah! Lo sapevo.
Segnò la vittoria con un lungo sorso e poi si pulì persino la bocca con la manica. Riguardandola, a cose fatte subito dopo, quello sbafo sulla sua camicia non è che ci stesse granché bene e restò assorto tanto che
– Oh mi senti!?
– Certo. Un medico ascolta sempre.
– anche quando si guarda la manica con quella macchia strana lì…
– soprattutto. Stavo facendo una diagnosi.
– ma davvero? – dissi sorridendo
– sì, ero occupato mentalmente a diagnosticare, a sommare sintomi e cause ipotetiche ma tu non potevi saperlo e ai tuoi occhi sembravo semplicemente distratto, questo perché tu sei un paziente – e disse quest’ultima parola come se fossi una specie di razza inferiore
– ad ogni modo, ero a letto e si stava facendo l’ora.. Cosa? Perché scuoti la testa adesso?
– a letto. Di pomeriggio. Potrei citarti decine di riviste scientifiche e stimati medici che disapproverebbero la cosa. Poi non chiamarmi se hai l’insonnia..
– non ti ho mai chiamato per l’insonnia. Non ne soffro.
– non ancora Adriano, non ancora – scandì in modo profetico. E vagamente iettatore.
Feci un po’ di scongiuri per tutte le occasioni e proseguii, entrambi seguivamo la partita con le schedine delle scommesse, capovolte, davanti a noi sul tavolo. Ormai era diventata una bella tradizione che aggiungeva del pepe quando guardavamo insieme le partite alla tv.
– Erano quasi le 21, mi sarebbe bastata una mezz’ora per essere pronto. Ormai ero arrivato sino al tempo limite per continuare a vedere il film e a quel punto dovevo prepararmi, non potevo più rimandare. Però sentivo il cuore battere..
– …il problema sarebbe stato serio se non batteva più…
Feci finta di nulla. Avrebbe dato più fastidio a lui. Ne ero certo.
– …contai i battiti..
– ecco, l’hai detto. Questa cosa di contare i battiti non si deve fare.
Cattivo cagnaccio.
– mi sono girato sul fianco e fissando il display ho contato…
– quanti?
Chissà come andavano le sue scommesse. Le mie come al solito, di merda. Ma le avremmo potute confrontare solo alla fine.
– 99
fece una smorfia. Poi intuendo che lo stavo fissando, rilassò daccapo il viso come un medico di campagna cui hanno appena servito un cognac davanti ad un caminetto accesso mentre fuori imperversa una rigida sera invernale.
– allora lesto ho preso il termometro
– come?
– cosa come? Ho aperto il cassetto, lo tengo sempre a portata di mano non si sa mai una cosa improvvisa, ho asciugato con un kleenex l’ascella e l’ho infilato. Stringendo ma non troppo. Diciamo una via di mezzo, abbastanza per sentirlo infilato ma senza esagerare.
– molto interessante. Però volevo sapere – disse sempre senza voltarsi e continuando a guardare con attenzione quasi ipnotica la tv – ma com’è questo termometro?
Non risposi. Colpevole.
– non mi dire che…
Continuai a non dire nulla.
– !
– non è provato. Non è provato!
– fai come ti pare.
– maddai. Cosa dovrebbe accadere? Cosa?
– fai come ti pare – ribadì secco.
Rimase un attimo in tensione perché il Milan sfiorò il raddoppio ma tutto ok, era in fuorigioco. Poi si rilasso sulla sedia di tela che rispose cedendo e producendo scricchiolii.
Stavo per ribattere quando cambiarono altri due risultati e per qualcosa come un minuto restammo in silenzio. Ciascuno condannava o benediva le scelte fatte. E le somme puntate.
– Se si rompe, ti tagli e te lo bevi? Eh? Come la mettiamo? Poi esci sul giornale e tutti a dire “ma il suo medico non gliel’aveva detto?”. Te lo immagini? Che figura ci farei, scusa?
– A parte che dovresti preoccuparti della mia salute e non della tua reputazione…
Roteò la mano in aria, come a dire, “vabbè…”
– Ma poi mi spieghi la folle sequenza di eventi che modo dovrebbe farmi bere il mercurio?
Una vampata di sangue gli attraversò il viso. Per uno come lui, con l’aplomb dei vecchi nobili russi, era quasi una crisi isterica.
– Dai.
Stava per voltarsi verso me quando, spostando la mano per fare presa sul bracciolo di plastica, cambiò canale. Fu il panico puro. Armeggiò coi tasti e per qualcosa come dieci secondi, forse quindici, fummo all’oscuro di tutto. Ripensandoci mi ricordò quando una volta uscì con una tipa, niente di che adesso ma allora mi prendeva parecchio. Avevo puntato una bella somma perché stavo attraversando quella fase oscura del “scommetto tanto ma su poche partite (sicure)”. Ma come un folle avevo comunque accettato la proposta, sua, di andare al cinema a vedere un film. Che aveva scelto lei. Non che non volessi decidere nulla – quell’altra fase arrivò dopo – piuttosto era un gesto anche scaramantico, ma al contrario. Volevo variabili impazzite, volevo che sapessero che io avevo puntato sì, una bella cifra, ma-me-ne-fregavo-di-loro-e-di-tutti-quanti. Sarei tornato a casa e solo allora avrei controllato i risultati. Sul televideo! Era uno smacco allo smartphone, alle app, a sky e a tutto il resto. Quella sera misi la bolletta in tasca e uscii sorridendo. Alla faccia loro. Chi erano “loro”? Davvero me lo state domandando? Ovviamente quelli che sapevano, quelli che controllavano i risultati. Perché c’era da qualche parte qualcuno che sapeva tutto. Certo, sarebbe stato più saggio non scommettere allora, incrociare le braccia e dire “fanculo” non ci sto. C’avevo già provato tre volte e ti dava quel brivido di potere dentro. Ma poi guardare le partite senza scommettere era come lavarsi e profumarsi di tutto punto per poi tornare a letto. Che senso aveva?
Intanto le immagini erano tornate. Alleluja.
– ok si potrebbe rompere. Lo ammetto.
– direi
– Sì ma tutto il resto? Come potrei berlo? – incalzai
– La concitazione.
– Cioè mettiamo che mi taglio, mi ferisco, i lembi della carne – la parola lembi gli fece appena sollevare l’arcata sopraccigliare sinistra, l’unica che mi mostrava – lasciando fuoriuscire del sangue e poi?
– La concitazione – ribadì.
– Ti pesano le parole?
– Ti agiti e mentre cerchi di capire se hai vetro e mercurio dentro la ferita, ti metti le dita in bocca e… capito?
– bah.
– pagine su pagine di letteratura scientifica, fidati. Comincia a leggerle pensando “non saranno così fessi da bersi il mercurio” e dopo qualche paragrafo sono lì, per terra, che sbavano e si agitano…
– che tatto.
– lo sai che..
Si interruppe. Di colpo. L’avrei fatto anch’io se avessi visto quella cosa lì su un campo da calcio, in diretta per giunta. Poi riprese
– lo sai che è illegale, vero?
– bum!
– scherza scherza.
– cos’è, mi devo aspettare ispezioni della finanza? Medici certificati dall’Europa alla mia porta? Non mi denunciare, ti prego…
giunsi le mani e lo implorai sorridendo. Lui comunque non si voltò.
– non potrei mai, lo sai.
– tu sì che sei un buon amico.
– macché. Per il giuramento di Ippocrate!
Il sorriso non fece in tempo a nascere che morì sulle mie labbra.
Ormai ci avvicinavamo alla fine degli incontri e bisognava sbrigarsi con le chiacchiere.
– Comunque avevo 36,9°
– 36,9° non è febbre.
– sì ma..
– no. Ascoltami. 36,9° non è febbre. Se un giorno mi chiamassi e io sentendo squillare il cellulare, magari rimasto nel mio camice perché nel frattempo sto operando e non mi sembrava il caso di portarlo in sala operatoria..
– spegnerlo?
– ..mi facessi togliere i guanti dall’infermiera, mi lavassi le mani e mi togliessi il camice..
– mi sembra una follia
– ..per poi entrare nello spogliatoio, senza fiato..
– ma quanto dura la tua suoneria?
– ..e vedendo il tuo numero, accigliato..
– perché accigliato? Devo darti sempre cattive notizie?!
– ..rispondessi, con il fiatone e nell’altro orecchio l’eco dei bip dei monitor con il paziente sospeso, in bilico sul crinale fra la vita e l’aldilà e tu mi dicessi “ho 36,9° che faccio?”. Io sai cosa farei?
– posso rispondere?
– ..ti manderei a quel paese! Questo farei.
– adesso posso parlare? Intanto avresti violato tutte le norme igieniche e comportamentali di qualsiasi paese civile. E non. Ti pare che ti chiamo per 36,9°? Ieri ti ho chiamato? Eh?
– quindi quel 339 e qualcosa non è tuo?
Pensai di confessare subito. Non volevo problemi con il mio karma.
– se non eri tu… – disse rabbuiandosi, almeno il lato sinistro che era quello che vedevo – …magari era una cosa importante.
– gentile.
– ti prego non fare la vittima. L’altra volta mi hai chiamato per…
– ma che c’entra! Come facevo a sapere che facesse quell’effetto?!
– per questo io padroneggio la scienza medica mentre tu… – disse agitando la mano in aria senza proseguire ma sapevo che pensava alla battuta più celebre del Marchese del Grillo…
– cmq se avevi ‘sto dubbio, potevi richiamarlo quel numero.
– mai. I medici non richiamano mai. E’ una questione di principio.
– mah.
– é come l’abilità di scrivere le ricette in modo…
– incomprensibile?
– raffinato! Pensa – proseguì con un tono sognante – l’altro giorno ho visitato un colelga anziano e i suoi appunti…erano talmente minuti che sembravano accarezzare la carta, senza sciuparla.
– Immagino la felicità dei suoi pazienti per capire le ricette…
Sospirò. Doveva sentirsi come un missionario che consegna una forchetta ad un selvaggio e quello, se la passa fra i capelli.
– capirai, lui è uno studioso ormai. Non sta più a contatto con…
– i malati?
– …i pazienti.
– beato – mi sfuggì.
Lui non reagì, mi voltai verso la tv, mancavano solo dieci minuti al termine delle partite. Bisognava far presto.
– comunque avevo sempre 36,9°.
E dicendolo girai anche la sedia di tela a fasce colorate verso di lui che rimase però di profilo. Mosse appena i baffetti sottili che gli seguivano le labbra.
– che non è febbre.
– però ci siamo quasi. Per cui…
– non mi dire.
Strano parlare con uno che non ti guarda. Voglio dire, una cosa è stare affiancati ma così sembravano due segmenti del Tetris.
– preparai la telefonata nella mia mente…
– Adriano…ormai che le avevi detto sì..
– oh, dovevamo andare in un lido ad ascoltare un gruppo di amici suoi, mica a far trapianti di rene in Burundi!
– é una questione di etica.
Irruppe il gol del Napoli e subito dopo il Cagliari prese il terzo gol in trasferta. Lo sapevo, cazzo! Ma non si capiva se lui era contento o no per le scommesse. Avevamo da tempo vietato di farci domande sulle rispettive giocate per impedire la gufata. Quella automatica ma soprattutto quella spontanea, quella che ti esce dal cuore mentre la tua scommessa “sicura” si arena incomprensibilmente, e a quel punto oggettivamente non puoi essere felice per nessun altro. Ma il Napoli alla fine l’avevo giocato o no? Dovevo essere contento o incazzato? Madonna com’era possibile averlo dimenticato? Forse essere sintomo di qualcosa. Avrei dovuto appuntarmelo?
– insomma ho fatto il suo numero…
– spero ti abbia mandato a quel paese
– …magari. Non mi ha nemmeno risposto. La cosa peggiore.
– non mi dire che non ci sei andato e non l’hai nemmeno avvertita…
– ma mi fai raccontare? Intanto me la sono misurata daccapo. E non scuotere la testa, erano passati già due minuti!
– addirittura. E quindi?
– sempre 36,9°
– che non è febbre.
– sì ma è lì vicino! Proprio al limite fra “resto a casa sotto le coperte” o “esco e tanti saluti”! Onestamente ero indeciso su cosa fare. Però non ero convinto di dirle che mi era salita la febbre.
– in effetti non ti era salita.
– Più che altro avevo timore di sembrare malaticcio..
– proprio tu?
– ma la pianti!?
– l’importante è che le hai risparmiato la storia di tua nonna.
– mai abbastanza rimpianta. E lo sai.
– dai! E’ di cattivo gusto
– ma perché? Dicendole “sai mia nonna non sta bene, è molto grande…”
– cos’è un mobile?
– “niente di serio, però sai…”, lasciando le giuste pause per farle capire che sono un bravo ragazzo in fondo.
– soprattutto un nipote modello.
– é morta ormai. Che differenza vuoi che faccia? Almeno rivive con il pensiero..
Lui scuoteva la testa. Chissà poi perché.
– l’unica cosa è che devo ricordarmi quando uso la scusa della nonna sennò poi mi domandano come sta e io mi incazzo pure.
– é morta da quanto? 5 anni? – disse
– intanto i minuti passavano e lei non richiamava.
– non sarà mica una collega – e sollevò per un attimo il sopracciglio, dubbioso.
Non ebbi il tempo di replicare perché intanto l’Udinese passò in vantaggio. Le altre non me le ricordavo ma questa la stavo sbagliando di sicuro. Mi domandai per quale cazzo di motivo tenessimo le schedine girate che poi uno si dimentica anche quello che ha scommesso e s’incasina gli equilibri mentali. Feci per allungare le mani
– che fai?
Mi gelò.
– eh? Mi sgranchisco.
– bravo. Ottima idea. In America nessuno sta seduto fermo, nessuno si permette più di stare solo e semplicemente seduto.
– No?
Ipotizzai che inclinando il collo e abbassando la testa all’altezza del tavolo, forse, avrei potuto leggere i caratteri stampati sulla carta termica.
– me l’ha detto un collega specializzato in post.. Ma cosa stai facendo? – disse intercettando i miei movimenti con la coda dell’occhio, senza bisogno di girarsi verso di me.
– Stretching! – dissi rimettendomi subito dritto con un sonoro scrocchio del mio collo.
– bene. I medici vanno ascoltati sempre e a prescindere. Per una questione di principio.
– Mentre aspettavo mi sono rimisurato la febbre.
– ancora?!
– mi annoiavo!
– …Quindi?
– sempre 36,9° – dissi cercando comprensione nel suo profilo sinistro, nei suoi capelli sottili pettinati con cura e nel suo mento debole che sfilava giù in un golfino di cotone coperto dal camice bianco di ordinanza che indossava anche in casa – Speravo fosse scesa ma anche se mi fosse salita di botto sarebbe stato ok. L’unica cosa che non volevo era che restasse tutto immutato. Mi sentivo bloccato. Ostaggio delle mie difese immunitarie svogliate e di un’infezione poco volenterosa persino per conquistarmi. A quel punto la richiamai, tanto non sono mica un medico…
Dissi con tono scherzoso.
– poco ma sicuro – mi freddò.
Replicò con tanta di quella spocchia che mi sembrava eccessiva anche per i suoi standard.
Per tutta risposta mi girai e fissando la tv, proseguii filato:
– alla fine mi sono alzato, mi sono fatto una lunga doccia calda, mi sono cambiato e ho preso la macchina. Il telefono non ha mai squillato lungo il tragitto. Sono persino arrivato in anticipo.
Poi sorrisi.
– io non l’avrei mai fatto.
– perché? – dissi voltandomi daccapo verso lui.
– un medico non arriva mai né in anticipo né in ritardo. Semplicemente, arriva.
– addirittura. Sa di messianico.
– l’hai detto.
Piombò il silenzio. Mi voltai e sistemai la sedia di tela senza fare alcun rumore, parallela alla sua, davanti la tv. Non osavamo fiatare. Seguivamo gli ultimi minuti sempre così, immobili, come statue di sale.
– ah, a proposito – dissi girandomi di nuovo verso lui, violando qualsiasi regola e tradizione – quand’è che ti laurei in medicina?
– ancora ci vuole – rispose e si voltò verso di me, mostrando tutto il viso, compresa la guancia destra, stravolta dall’acne – prima fammi finire il liceo.
[Francesco Musolino®. Marzo 2013] Questo racconto è stato pubblicato per la prima volta sul blog culturale Letteratitudine di Massimo Maugeri.
Francesco Piccolo: «Habemus Papam. Ovvero il segreto del nostro successo»
Cos’hanno in comune Il Caimano, My Name is Tanino, Caos Calmo e Habemus Papam? Tutti questi film – e molti altri ancora – portano la firma di Francesco Piccolo alla sceneggiatura. Dietro il successo di Habemus Papam che ha trionfato alla 65a edizione dei Nastri d’Argento a Taormina con ben 6 premi, scopriamo i frutti di una squadra ormai affiatata formata proprio da Piccolo, Nanni Moretti e Francesca Pontremoli. Dopo il trionfo dell’anno scorso per La Prima Cosa Bella, per Piccolo – firma de L’Unità, attualmente in libreria con Momenti di Trascurabile Felicità (Einaudi) – il Nastro per il miglior soggetto appena vinto, ha un sapore particolare…
Com’è nata l’idea di “Habemus Papam” e come si è sviluppata?
«Nanni, Federica Pontremoli ed io eravamo al lavoro su altri progetti e altre storie che sembravano pronte ad esplodere. Ma improvvisamente, come spesso accade con Nanni, questa storia del Papa ha preso il sopravvento e ci siamo dedicati interamente ad essa».
Ha lavorato con numerosi registi noti, da Virzì a Soldini sino a Placido. La collaborazione artistica con Moretti ha particolari peculiarità?
«Ha punti di contatto e differenze con gli altri cineasti italiani. Credo che la sua caratteristica fondamentale sia la lentezza. Quando lavoro con lui, l’obiettivo è quello di cogliere al massimo l’introspezione del personaggio e soprattutto cerchiamo sempre di arrivare a soluzioni narrative poco consuete. Noi tre scriviamo sempre tutto insieme, anche quelle scene apparentemente marginali che molti registi lasciano nelle mani degli sceneggiatori. Questo scambio e confronto continuo è un grande stimolo artistico».
Cinema e letteratura: come cambia il suo modo di approcciarsi alla scrittura?
«Sono due tipi di scritture totalmente diverse dal punto di vista tecnica e la prospettiva muta soprattutto perché per scrivere un soggetto o una sceneggiatura, devi confrontarti sempre con altri punti di vista mentre la letteratura è un’arte solitaria che spinge a confrontarti con te stesso. Ci sono differenza ma non ne curo perché nella sostanza mi importa solo poter raccontare delle storie. Il cinema e la letteratura sono due espressioni, diverse ma complementari, dello scrivere».
Vincere un altro Nastro a Taormina è un momento di trascurabile felicità?
«Certamente! E’ un momento di felicità, trascurabile ma neanche troppo perché ricevere un premio fa sempre piacere».
Fonte: Centonove del 1 luglio 2011