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Fra Caravaggio e la vendetta spietata. Il ritorno di Lisa Hilton, aspettando “Ultima”.

DOMINA, LISA HILTON, LONGANESI pp.416 EURO 16,90

FRANCESCO MUSOLINO

Bionda, occhi cerulei, una laurea in Storia dell’arte ad Oxford e un talento per la scrittura che mescola adrenalina e ambientazioni suggestive, ironizzando sull’ego dei nuovi ricchi e concedendosi venature d’eros. La scrittrice inglese Lisa Hilton parla perfettamente l’italiano e con il suo libro d’esordio, Maestra (Longanesi), ha venduto  un milione nel mondo, tradotta in quarantadue paesi e destinata a sbarcare in tv con una serie prodotta da Amazon Studios. Con il secondo capitolo della sua trilogia, Domina riporta al centro della scena la sua eroina Judith Rashleigh, una donna bellissima, fiera e altamente pericolosa, disposta a seminare cadaveri sul proprio cammino per prendersi ciò che la vita le ha negato. Dimenticate le protagoniste remissive alla Rossella O’Hara perché Judith non crede nell’amore, considera i sentimenti un mero impedimento e rivendica il diritto di concedersi il piacere carnale senza alcun senso di colpa. Nelle primissime pagine di Domina, Judith ha provato a cambiare identità e ha aperto una piccola galleria d’arte nella sua amata Venezia – in cui la Hilton progetta di trasferirsi presto, con la figlia adolescente – cogliendone le sfumature di luce, incensandone la bellezza decadente. Occasione perfetta soprattutto per mettere all’indice il mondo dell’arte moderna e l’idea che si possa decidere a tavolino chi sarà il prossimo artista che il pubblico adorerà, immolando le emozioni dinnanzi al portafoglio. Ma la Hilton non crede nel lieto fine e nel giro di poche pagine quel mondo dorato e intoccabile, andrà in frantumi, ridotto in polvere e pulviscoli proprio alla stregua di un vetro di Murano. La trappola scatta con le sembianze di un ricco oligarca, Pavel Yermolov, che convoca Lisa per sottoporle la sua maestosa collezione e ottenere una valutazione; abbagliata dall’offerta e dalla possibilità di posare i propri occhi su alcune opere inestimabili, Judith vacilla e troppo tardi si renderà conto di essere finita in una trappola fatale. Centrale, come detto, è il contesto delle case d’asta e del mondo dell’arte tout-court e se nel primo libro l’artista di riferimento era Artemisia Gentileschi, stavolta al centro della scena troviamo Caravaggio, cogliendo sia i lati oscuri della biografia che le suggestioni per il presunto ritrovamento di una sua opera inedita, scatenando una adrenalinica battaglia fatta di mosse e contromosse, depistaggi e abboccamenti, destinata a lasciare sul campo altre vittime, più o meno colpevoli. Come andrà a finire? Presto per dirlo, ma la Hilton ha appena annunciato che la prossima primavera sarà pubblicato anche il terzo volume, Ultima, ambientato in parte in Calabria, decisa a “raccontare l’Italia da un punto di vista non convenzionale”, lasciandosi ispirare dalla controversa vita di Paul Gauguin.

FONTE: IL MESSAGGERO, 2017

Il grande ritorno di Rocco Schiavone, fra complotti e tradimenti.

PULVIS ET UMBRA – ANTONIO MANZINI – Sellerio, pp. 416 euro 15

FRANCESCO MUSOLINO

Pulvis et Umbra (edito da Sellerio) è la sesta avventura del vicequestore Rocco Schiavone, creato dalla penna di Antonio Manzini e felicemente già approdato sugli schermi di RaiDue, interpretato da Marco Giallini. Romano verace, Schiavone è stato strappato all’Urbe come punizione per la sua condotta non certo irreprensibile e il suo inserimento nella fredda Aosta stenta a decollare, fra giornalisti vendicativi e superiori ostili. Nel frattempo dal Ministero continuano a tenerlo nel mirino e a rendergli la vita difficile – verrà privato persino del suo ufficio e confinato in una sorta di sgabuzzino delle scope – e Schiavone reagirà malissimo, delegando tutto ai colleghi con esiti tragicomici. Il vicequestore Schiavone continua a rimpiangere e a vivere nel rimorso per la scomparsa della sua defunta Marina ma, nel frattempo, due figure femminili si fanno più prossime: il commissario alla scientifica, la siciliana Michela Gambino che crede nei complotti e soprattutto l’agente Caterina Rispoli, con la quale il feeling sembra già scattato da tempo e stuzzica il lettore. Schiavone inquadra tutta la propria esistenza nel tentativo di scansare le seccature eppure spiazza il lettore accogliendo il giovane Gabriele, il vicino di casa scapestrato, rivelando nei suoi confronti una tenerezza insospettabile, tanto da impartirgli persino burbere lezioni di vita da strada. Con questo libro Manzini conduce il proprio personaggio ad un giro di boa. Sarà impegnato in una doppia indagine per omicidio apparentemente non collegata e finirà per incassare una sonora sconfitta, chinando il capo, con amarezza alla Ragion di Stato e obbedendo agli ordini dei propri superiori. Ma Rocco dovrà fare i conti con gli amici di una vita e il loro voltafaccia inaspettato. Tempi duri si profilano all’orizzonte per il vicequestore Rocco Schiavone e in attesa della seconda serie su RaiDue – già in lavorazione – il libro è scattato, con merito, in cima alle classifiche di vendita. Riuscirà Schiavone a mandar giù i rospi e tenere a bada il suo amor proprio o prossimamente – con buona pace della sua passione per le Clark’s – sarà trasferito direttamente sulle Dolomiti, fra bufere e skylift?

 

Ricerca dello scoop o etica? Simi svela i vicoli ciechi della cronaca nera.

LA RAGAZZA SBAGLIATA, GIAMPAOLO SIMI – SELLERIO, pp.400 euro 15

FRANCESCO MUSOLINO

Ogni giornalista di cronaca nera è ossessionato da un caso, un crimine, risolto o meno. Non si sottrae alla regola nemmeno Dario Corbo, il protagonista de “La ragazza sbagliata” (Sellerio, pp.400 euro 15) il nuovo libro di Giampaolo Simi. Simi gioca con il tempo, fra flashback, indizi e ricordi che riemergono dalle nebbie del tempo, per raccontare la storia di una ragazza comune, Irene, scomparsa nel nulla la notte del 9 luglio 1993 a Marina di Pietrasanta. La sua scomparsa, prima scambiata per una fuga d’amore o una voglia di libertà, come suggerisce la traccia di maturità ispirata da una massima di Tocqueville, mobiliterà la stampa nazionale e sarà il vero e proprio crocevia nella giovane carriera del protagonista, giunto ad un passo dal licenziamento per aver trattato la notizia con fin troppa enfasi da rotocalco. Ma erano altri tempi. Infatti lo scenario presente per lui è impietoso. Dopo essere stato un cronista arrembante, Dario ha avuto un lampo di notorietà ed è arrivato alla direzione di un magazine di successo, “Chi è stato?”. Poi è arrivata la crisi e nonostante tutto andasse bene, il CdA ha scelto di liquidare tutto e abbassare la saracinesca. Sono pagine dolorose quelle in cui Simi – mediante il suo protagonista – svela ciò che spesso può accadere in una redazione, la ricerca di un facile scoop per aizzare i lettori e aumentare la tiratura, la dura lotta quotidiana per la ricerca delle inserzioni, la pista del pregiudizio razziale per aumentare i click e i lanci a caratteri cubitali, salvo poi essere costretti a smentire tutto. Ma domani è un altro giorno, ciò che conta è non bucare lo scoop, no? La narrazione avvolge presto il lettore in un vortice e se la tragica fine della giovane ragazza è palese e ben presto nota – con tanto di torture e sevizie sul cadavere nascosto per giorni e giorni su una rupe – il vero dilemma è: sarà stata davvero Nora Beckford, figlia del noto artista, a compiere il misfatto? Era sotto gli influssi di alcool e sostanze o ha agito per motivi passionali? E i suoi presunti complici? Nora sta per uscire di galera e il presente si infiltra sotto il passato. Dopo la chiusura del magazine, Dario ha il conto in rosso, ha rotto con la moglie e deve fare i conti con un figlio adolescente con tendenze autolesioniste. È un uomo in caduta libera. Un libro-verità sul caso di Irene potrà sanare le sue finanze? Dovrà dunque riaprire i vecchi faldoni e mettere in dubbio tutto il processo, ribaltare la sentenza. Ma varrà la pena dare tutto in pasto ai media e alle telecamere? L’editore vuole farci un istant book, esige autofiction e così il nostro protagonista dovrà giocare sporco per poter pagare le bollette e recuperare l’onore perduto. Ma a quale prezzo? Simi riflette sul sistema mediatico senza moralismi. Perché dietro ogni scoop che affolla tg e carta stampata, si nascondono vite e segreti infranti e gettati in pasto alla pubblica piazza, affamata di crimini e vogliosi di un facile colpevole. Dov’è il confine fra la ricerca della verità e l’esigenza dello scoop?

FONTE: GAZZETTA DEL SUD, 2017

Goldfinger vs James Bond: chapeau mr. Fleming

Goldfinger – Ian Fleming – Adelphi, pp. 295 euro 20

FRANCESCO MUSOLINO

Grazie al cielo Adelphi prosegue nella ripubblicazione della collana 007 firmata da Ian Fleming. Maestro assoluto delle spy stories, leggendo i suoi libri – da “Il Dottor No” a “Moonraker”, da “Casino Royale” a “Dalla Russia con amore” – riscopriamo le tracce e gli spunti che avrebbero ispirato quasi tutti gli autori da allora in poi, fra best seller e titoli discutibili (proprio come accade per Agatha Christie e i giallisti). Scritto nel 1959 e tradotto con grazia da Matteo Codignola, “Goldfinger” (pp. 295 euro 20), è uno dei titoli più famosi di Fleming, il settimo del ciclo di James Bond, l’agente segreto doppio zero con licenza di uccidere più famoso al mondo. L’azione si svolge fra Miami, Londra, Ginevra e Fort Knox e, come sempre, Fleming tira fuori dal cappello un cattivo con i fiocchi, un uomo detestabile – Auric Goldfinger – emblema del male e colluso con i servizi segreti russi deviati, la SMERSH. L’incontro con Goldfinger è casuale, Bond lo smaschera come baro ingegnoso e così facendo lancia un guanto di sfida che, purtroppo per lui, verrà raccolto. Nel frattempo si consuma sul suolo inglese un traffico d’oro senza pari che sfugge al controllo della Banca d’Inghilterra, oro usato – si teme – per finanziare le manovre russe e proprio Goldfinger, con la sua Rolls-Royce blindata e un fido coreano al seguito, Oddjob, dalle movenze animalesche e la cieca fedeltà al padrone, è l’indiziato numero uno. Ad un passo dalla morte, Bond verrà graziato e arruolato dal super cattivo ma più non si può dire senza rovinare la lettura. Ma ciò che colpisce in Fleming è sempre la sua capacità di cogliere i particolari, l’ironia british tagliente e un po’ sessista, il consumo di alcool smodato di Bond, la bellezza atipica delle donne per cui perde la testa e la classe, ça va sans dire, con cui descrive e veste gli attori in scena in avventure sempre brillanti. Chapeau, mr. Fleming.

FONTE: GAZZETTA DEL SUD, 2017

Il grande ritorno di Harry Hole contro un serial killer assetato di sangue.

Jo Nesbø – Sete – Einaudi, pp. 640 €22 tr. Eva Kampmann

FRANCESCO MUSOLINO

Jo Nesbø non è solo uno scrittore best-seller noto in tutto il mondo. L’ideatore del detective Harry Hole, protagonista di una serie di grande successo, prima di darsi alla scrittura di fiction è stato un calciatore di Seria A in Norvegia, giornalista free-lance e broker di borsa. Ma forse la sua passione più grande è la musica e il suo gruppo “Di Derre”. Nesbø dà la sensazione di conoscere il mondo là fuori, oltre il proprio studio e lontano dalla tastiera del pc, nei suoi libri si avverte la passione per la narrazione e al contempo, traspare la percezione della realtà, della vita vera. Dalla sua prima crime-novel, “Il pipistrello” (pubblicato nel 1997) Hole è cresciuto e ha acquistato spessore e cicatrici, libro dopo libro (imperdibile “Il Leopardo”, Einaudi 2011). Lo ritroviamo in pagina sposato da tre anni con Rakel; Hole si è ritirato dalla vita in strada e adesso insegna all’accademia di polizia di Oslo. Ormai cinquantenne ha scelto di rinunciare agli orrori e alla violenza delle indagini, ha chiuso con l’alcool ma il male torna a cercarlo, inesorabile. “Sete” (Einaudi) ruota attorno al sito di dating online più famoso, Tinder, difatti tramite la app per il sesso occasionale, uno spietato serial killer dà la caccia alle sue prede e Nesbø gioca con il lettore seminando numerose false piste e facendo crescere la suspense ad arte. Tutto ha inizio con l’uccisione di tre donne in rapida successione nelle proprie case ad Oslo – il pericolo non è fuori ma dentro le mura domestiche – e su ciascuna c’è una macabra firma: morsi profondi sul collo, pelle lacerata brutalmente e il sospetto che il fondato sospetto che killer abbia bevuto il loro sangue. Spietato nel sospingere il lettore innanzi, Nesbø firma l’undicesimo libro della serie con protagonista Harry Hole (“Polizia” era uscito nel 2013 sempre per Einaudi e sembrava poter essere il capitolo finale), un eroe pieno di ombre, “forse il migliore, forse il peggiore, a ogni modo il più leggendario investigatore della polizia di Oslo”, molto amato dal pubblico femminile perché, nonostante tutto, mostra tutte le sue debolezze e non nasconde i propri sentimenti per Rakel e dovrà far scudo anche al proprio figlio, Oleg. Jo Nesbø, considerato il re del thriller scandinavo, danza sulla pagina e scatena la violenza del proprio serial killer, richiamando in causa il vampirismo, i giochi sadomaso e persino la tradizione nipponica, dando spessore ad un personaggio che non è soltanto cattivo, ma un vero incubo in carne ed ossa.

FONTE: GAZZETTA DEL SUD, 2017

Il piccolo Giovanni Falcone, eroe senza età nel racconto di Angelo Di Liberto.

«Un invito rivolto a tutti noi a compiere sino in fondo le nostre scelte, ad agire senza temere di essere troppo piccoli o deboli per stare dalla parte del bene». Con queste parole, Maria Falcone dona la propria benedizione al libro “Il piccolo Giovanni Falcone. Un ricordo d’infanzia”, pubblicato da Mondadori (pp. 92 euro 10). La sorella del magistrato barbaramente ucciso il 23 maggio 1992 con la strage di Capaci, firma la prefazione del suddetto volume, scritto dal palermitano Angelo Di Liberto, il tenace ideatore – con Carlo Cacciatore – della comunità facebook “Billy, il vizio di leggere” (che vanta oltre quindicimila membri e ha ideato “Modus Legendi”, una modalità d’acquisto consapevole per far leva sui lettori e la rete, riportando in auge libri meritori passati sotto traccia). La pubblicazione di “Il bambino Giovanni Falcone” è un successo perché questo libro era stato pubblicato nel 2014 dalla palermitana :duepunti edizioni (con il titolo “La stanza del presepe”) ma se ne erano perse le tracce. Oggi, ripescato dall’oblio editoriale, il titolo torna sugli scaffali, con una veste grafica accattivante, impreziosito dalle illustrazioni di Paolo d’Altan. Il tono del racconto voluto da Di Libero è intimo, aulico a tratti, ma non agiografico. Giovanni è ancora un bambino di sette anni con tutte le sue innocenti passioni, su tutte quella per i Tre Moschettieri, mettendo in scena duelli infiniti armato solo d’una spada di legno. E della propria fantasia. Finché la comparsa di un piccolo pastorello nel presepe dentro la sua stanza, lo mette di malanimo. È tutto vestito di rosso, sembra rievocare un delitto di mafia avvenuto a Palermo. E una volta girata l’ultima pagina, al lettore rimarrà l’amarezza per la sorte toccata al giudice Falcone (il volume si chiude con una appendice dedicata alla sua storia) e con essa qualche domanda retorica: in che momento si decide il nostro destino? Quando scegliamo da che parte stare nella lotta eterna fra il Bene e il Male? Di Liberto firma un libretto delicato e rivolto ai giovani lettori in cui si ribadisce l’importanza di ricordare il sacrificio dei tanti uomini giusti caduti per mano della mafia.

FRANCESCO MUSOLINO®

FONTE: GAZZETTA DEL SUD, MAGGIO 2017

Simona Lo Iacono racconta la Palermo d’antan. E la pazzia per amore.

Lucia Salvo è realmente esistita. Trattasi di una donna siciliana che visse nella seconda meta dell’800 e – come racconta Luigi Natoli in “Cronache e leggende di Sicilia” – ebbe il ruolo di portare messaggi ai detenuti reclusi a Palermo allo Steri, per volontà di una famiglia d’ispirazione antiborbonica. La ragazza per passare inosservata, si fingeva “babba” e i carcerieri la lasciarono sempre passare, interessati solo alla sua bellezza. Di fatto lei fu una delle artefici dei moti rivoluzionari del 1848 in Sicilia. Parte da questo spunto “Il morso” (edito da Neri Pozza) il nuovo romanzo dell’autrice siracusana Simona Lo Iacono che con il precedente, “Le streghe di Lanzavacche” (edito da E/O) era stata selezionata per la dozzina del Premio Strega 2016 e le è valso la vittoria del Premio Chianti. Lo Iacono torna sulla biografia di Lucia Salvo per raccontare un vivido spaccato siciliano, aprendo la narrazione sulla Palermo del 1847, a ridosso della rivoluzione che avrebbe messo in fuga Ferdinando II di Borbone. Lo Iacono immagina che Lucia faccia parte di una famiglia decaduta, offerta come serva alla casa dei Ramacca a Palermo e sua madre spera che il Conte figlio – erede del titolo e grandi ricchezze – possa invaghirsene. Lui è un dongiovanni senza scrupoli che sazia i suoi appetiti in attesa che la sua promessa sposa – la giovanissima Assunta degli Agliata – sia matura per l’altare. In una casa ricca di servitù – con tanto del nano Minnalò e di un castrato d’animo nobile – Lucia resiste alle avances del Conte finché accade “il fatto”. Lucia è epilettica e viene presa per pazza. Ma la sua salute precaria innescherà una serie di conseguenze che porteranno sino alla rivolta dei palermitani e ad un destino assai poco favorevole per la protagonista. Lo Iacono firma un romanzo storico dall’incastro lodevole, in cui narra le vicende di una donna dimenticata da tutti che ebbe un ruolo importante per il cambiamento. Lei e Assunta – in modo molto dissimile – tentano di riscattarsi dalle rigide regole imposte dalla società borbonica e dai casati e anche il Conte figlio si rivelerà essere un personaggio dall’inaspettata profondità, a caccia non solo di sottane ma del senso del tutto. Fra verità e finzione Lo Iacono ricostruisce anche la Palermo d’antan restituendocene i suoni, gli odori e il vivace vocio dei mercati.

FRANCESCO MUSOLINO®

FONTE: GAZZETTA DEL SUD, MAGGIO 2017

Chi sta male non lo dice. Antonio Dikele Distefano torna in libreria

Ventiquattro anni, nato nel varesotto da genitori d’origini angolane, Antonio Dikele Distefano ha raggiunto la notorietà con i social network, con determinazione e forte ambizione. Con il suo libro d’esordio nel 2015, “Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti?” ha raggiunto le centomila copie; un successo bissato appena un anno dopo, con il secondo libro “Prima o poi ci abbracceremo”. Da poche settimane Dikele è tornato in libreria con “Chi sta male non lo dice” (pp. 162 euro 12, tutti i suoi libri sono editi da Mondadori) in cui racconta la storia di  Yannick e Ifem, due giovani ragazzi che devono fare i conti con rinunce, abbandoni, sconfitte e speranze. È una storia di sogni infranti quella in cui Dikele conduce il lettore, in mezzo alle famiglie della periferia, fra razzismo e violenze domestiche, con le dipendenze – anche quelle lavorative e affettive – che diventano un’ancora a cui aggrapparsi mentre tutto il resto rischia di crollare in pezzi. La pelle scura dei due protagonisti Yannick e Ifem, (“non ci fermeremo finché non capiranno che non siamo neri che si sentono italiani, ma italiani neri”) è uno scoglio tagliente da affrontare quando basta “il taglio degli occhi diverso per sentirsi intruso, un cognome con troppe consonanti per sentirsi gli sguardi addosso”. Ifem prova a colmare il vuoto della sua vita – l’abbandono del padre e di un futuro che appare sempre troppo lontano – con l’amore per Yannick. Ma lui ha un’anima incapace di star ferma, inadatta a mettere radici, talmente rabbioso da essere incapace di accorgersi che Ifem – e non la cocaina in cui si rifugia sempre più spesso – potrebbe essere la chiave per la salvezza, per l’avvenire. E in un attimo ciò che era evasione dalla noia, diventa capriccio, poi dipendenza e infine una sentenza di condanna. Dikele non ha mai nascosto la sua ambizione e in questo libro affronta il tema dell’amore come possibile redenzione che si infrange sul razzismo e l’indifferenza, sulla rabbia autodistruttiva delle periferie italiane, spesso troppo lontani dai fari dei media.

FRANCESCO MUSOLINO®

FONTE: GAZZETTA DEL SUD 30 APRILE 2017

 

 

 

Il ritorno di Harry Hole inseguendo un killer su Tinder.

Jo Nesbø non è solo uno scrittore best-seller noto in tutto il mondo. L’ideatore del detective Harry Hole, protagonista di una serie di grande successo, prima di darsi alla scrittura di fiction è stato un calciatore di Seria A in Norvegia, giornalista free-lance e broker di borsa. Ma forse la sua passione più grande è la musica e il suo gruppo “Di Derre”. Nesbø dà la sensazione di conoscere il mondo là fuori, oltre il proprio studio e lontano dalla tastiera del pc, nei suoi libri si avverte la passione per la narrazione e al contempo, traspare la percezione della realtà, della vita vera. Dalla sua prima crime-novel, “Il pipistrello” (pubblicato nel 1997) Hole è cresciuto e ha acquistato spessore e cicatrici, libro dopo libro (imperdibile “Il Leopardo”, Einaudi 2011). Lo ritroviamo in pagina sposato da tre anni con Rakel; Hole si è ritirato dalla vita in strada e adesso insegna all’accademia di polizia di Oslo. Ormai cinquantenne ha scelto di rinunciare agli orrori e alla violenza delle indagini, ha chiuso con l’alcool ma il male torna a cercarlo, inesorabile. “Sete” (Einaudi, pp. 640 €22 tr. Eva Kampmann) ruota attorno al sito di dating online più famoso, Tinder, difatti tramite la app per il sesso occasionale, uno spietato serial killer dà la caccia alle sue prede e Nesbø gioca con il lettore seminando numerose false piste e facendo crescere la suspense ad arte. Tutto ha inizio con l’uccisione di tre donne in rapida successione nelle proprie case ad Oslo – il pericolo non è fuori ma dentro le mura domestiche – e su ciascuna c’è una macabra firma: morsi profondi sul collo, pelle lacerata brutalmente e il sospetto che il fondato sospetto che killer abbia bevuto il loro sangue. Spietato nel sospingere il lettore innanzi, Nesbø firma l’undicesimo libro della serie con protagonista Harry Hole (“Polizia” era uscito nel 2013 sempre per Einaudi e sembrava poter essere il capitolo finale), un eroe pieno di ombre, “forse il migliore, forse il peggiore, a ogni modo il più leggendario investigatore della polizia di Oslo”, molto amato dal pubblico femminile perché, nonostante tutto, mostra tutte le sue debolezze e non nasconde i propri sentimenti per Rakel e dovrà far scudo anche al proprio figlio, Oleg. Jo Nesbø, considerato il re del thriller scandinavo, danza sulla pagina e scatena la violenza del proprio serial killer, richiamando in causa il vampirismo, i giochi sadomaso e persino la tradizione nipponica, dando spessore ad un personaggio che non è soltanto cattivo, ma un vero incubo in carne ed ossa.

FRANCESCO MUSOLINO ®

FONTE: GAZZETTA DEL SUD, APRILE 2017

“La cucina felice”. Angela Frenda apre le porte del suo regno.

Il suo piatto preferito? Gli spaghetti al pomodoro, sempre. Dopo quindici anni da cronista politica, la giornalista napoletana Angela Frenda da tre anni è food editor al Corriere della Sera e le sue videoricette impazzano sul web in “Racconti di cucina”. Dopo l’esordio con “Racconti di cucina”, adesso torna in libreria con un libro manifesto, “La cucina felice. Le mie 76 ricette per stare bene” (Rizzoli, fotografie di Claudia Ferri e Beatrice Pilotto, illustrazioni di Felicita Sala) in cui racconta il suo personale rapporto con il cibo e la gioia di vivere. Una passione per i fornelli sbocciata prestissimo seguendo le ricette del Manuale delle Giovani Marmotte ma in questo libro la Frenda si sofferma soprattutto sugli stereotipi (una donna che ha appetito “mangia come un camionista”) che finiscono per svilire il nostro rapporto con il cibo, del resto, prosegue l’autrice “nessuna food writer confessa di essere a dieta”. Ma perché nascondersi? Perché abbiamo bisogno di etichettare tutto? Soprattutto, possiamo smetterla di usare un hashtag orrendo come #foodporn? La prima ricetta è Seppie e Piselli, poi la Gricia e la Torta Pasqualina. Ricette golose, colorite, genuine e soprattutto non estreme. Del resto, secondo la Frenda la vera trasgressione “non è provare una torta, ma cucinarla”. Il cibo che mangiamo porta con sé tracce della nostra cultura, “ogni morso è un ricordo” e giocoforza le donne ai fornelli da un lato voglio essere emancipate, dall’altro in pace con il loro aspetto fisico, apprezzate dalla società. È forse chiedere troppo? C’è spazio per la Sicilia, terra amata dall’autrice, con “Pane, pipi e patate”, i cannoli e la pasta ammollicata per poi approdare al mangiare in modo moderno. Ovvero “accanto ad una fetta di torta c’è posto anche per una ciotola d’avena”, seguendo anche i dettami di Michael Pollan. Per cui se possibile rinunciate al pane bianco, mangiamo meno carne rossa, ascoltiamo il nostro corpo e assaggiamo l’avocado. Dalla ricetta dell’Amatriciana alla zuppa thai, di volata sino all’insalata di carciofi e parmigiano (“la mia coperta di Linus”) tutto nel segno del volersi bene, passando per il cibo portato in tavola. E cucinato con le nostre mani.

La cucina felice. Le mie 76 ricette per stare bene”. Rizzoli, pp. 251 €16,90

FRANCESCO MUSOLINO

FONTE: GAZZETTA DEL SUD