Archivi Blog
Antonio Scurati ammette: «i padri d’oggi? Somigliano a “madri mancate».
Riscoprirsi genitori ai nostri giorni può essere scioccante, rivelatorio, rivoluzionario. E non necessariamente in senso positivo, come dimostrano i numerosi romanzi e saggi che dominano le attuali classifiche editoriali, da “Gli Sdraiati” (Michele Serra, Feltrinelli) passando per “Geologia di un padre” (Valerio Magrelli, Einaudi) e “Le attenuanti sentimentali” (Antonio Pascale, Einaudi). Il nuovo romanzo di Antonio Scurati – napoletano, classe ’69 e vincitore del Premio Campiello nel 2005 con “Il Sopravvissuto” – trae spunto dall’assunto iniziale, ponendo al centro de “Il padre infedele” (Bompiani, pp.208 €17) Glauco Revelli, un laureato in filosofia che piuttosto di insegnare ha scelto di diventare lo chef di un blasonato ristorante milanese. Secondo Scurati i genitori d’oggi sono protagonisti di una rivoluzione socioculturale ma quando Giulia, sua moglie, gli si nega, in lui riesplode il desiderio selvaggio, travolto dai mai sopiti «demoni del sesso», scoprendosi infedele non alla coniuge, bensì alla piccola Anita, la figlia che ha cambiato tutte le carte in tavola.
Perché ha dichiarato che fare un figlio oggi è quasi una scelta epica?
«È un paradosso per raccontare la nostra realtà. Dopo un passato millenario in cui la filiazione era un atto naturale dell’esistenza, oggi fare un figlio in occidente è una decisione che riguarda la minoranza delle persone con un atto deliberato, sempre più raro e ragionato. Facciamo un figlio e ci sentiamo eroi, è grottesco ma è così».
Cosa significa che i padri d’oggi sono “madri mancate”?
«Glauco rappresenta l’emblema dei nuovi padri che vengono inclusi nell’accudimento della creatura sin dai corsi pre-parto. Il suo modo d’essere padre di Anita è improntato da un fondamento affettivo, lui impara ad amare la figlia in modo nuovo e inedito prima d’oggi, sino ad instaurare una relazione quasi materna con la figlia».
Perché il suo Glauco molla la filosofia per la cucina?
«Ho scelto di farne uno chef perché sono convinto che la ricerca di una nuova condizione paterna si inserisca in una più ampia crisi della società. Oggi vige il culto smodato del cibo, della cultura enogastronomica e dei suoi eroi, fino ad usurpare la letteratura e il mondo delle arti».
Pressoché in contemporanea al suo romanzo, sono stati editi numerosi libri sui “nuovi padri”. Ne è sorpreso?
«Si tratta di una questione epocale, centrale nella mia generazione. Ciascun libro ha affrontato il tema da una prospettiva diversa ma è una cesura storica ed è soltanto un bene che se ne sia scritto tanto».
Lei scrive “Se le lasci andare le persone se ne vanno”. Una frase semplice che mette davanti ad una fine inevitabile per le relazioni?
«Sembra una di quelle frasi che rasentano la banalità ma solo oggi è diventato ovvio. Questa frase sottolinea la tragicità a bassa intensità della nostra vita emozionale. Mentre una volta i rapporti con le persone erano sorretti da una possente impalcatura sociale che faceva pressione affinché le coppie e le famiglie rimanessero unite con obblighi e condizionamenti morali conseguenti; oggi tutto questo è venuto meno, siamo lasciati a noi stessi e tutto dipende dalla nostra capacità e volontà di coltivare le relazioni. E’ un’enorme fatica e anche un pò una vera e propria condanna. Gli individui da soli non uno straccio di possibilità di farcela».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, 29 marzo 2014
Massimo Carlotto: «Denunciamo la subalternità economica delle donne italiane»
Quattro donne per raccontare la condizione femminile odierna, fra violenza e subalternità al mondo maschile, in nome di una vendetta intesa come riscatto e rinascita. Con questo spunto, Massimo Carlotto e Marco Videtta hanno creato il ciclo de “Le Vendicatrici”, quattro libri editi da Einaudi Stile Libero, grande omaggio al feuilleton nonché ardita scommessa editoriale. In occasione della sua presenza alla kermesse letteraria Naxoslegge, abbiamo incontrato Massimo Carlotto a Messina (un evento organizzato dalla libreria Doralice e moderato da Katia Trifirò) dove ha annunciato l’uscita del terzo volume, “Sara” (pp.201 €15), prevista per l’8 ottobre. Massimo Carlotto cura una riuscita collana noir, Sabot/Age, per Edizioni EO, giunta alla decima uscita (Alcazar. Ultimo spettacolo, Stefania Nardini) e il suo prossimo anno professionale sarà tutto dedicato al teatro ma il grande traguardo cadrà nel 2015, quando compirà vent’anni di carriera letteraria. Per festeggiare, a grande richiesta tornerà anche il suo personaggio per eccellenza, l’Alligatore alias Marco Buratti, con due romanzi e tante novità…
Com’è nato il progetto delle Vendicatrici?
«Avevo già lavorato con Marco Videtta, con cui avevo scritto “Nordest” (Edizioni EO, pp.201 €15). Quattro anni fa cominciammo a pensare ad un progetto che riunisse Roma e la condizione femminile odierna».
Lei è un grande ritrattista della realtà del nordest italiano: perché avete scelto Roma?
«È una città dove stanno accadendo una serie di cose interessanti da un punto di vista criminale. Avevamo cominciato a lavorare ad un romanzo e alla fine ne sono venuti fuori quattro ma non volevo aspettare i tempi canonici delle uscite. Per questo ho proposto alla Einaudi quattro uscite ravvicinate e loro hanno subito accettato di pubblicarli nell’arco di sei mesi».
Una scommessa editoriale, un omaggio ai feuilleton…
«Esattamente. Volevo venire incontro alla fame del lettore, alla sua voglia di poter chiudere l’intero arco delle Vendicatrici. Il fatto di aprire e chiudere un ciclo in un breve tempo ha conquistato i lettori che amano anche le serie-tv, soprattutto americane, legate al concetto di serialità. Da questo punto di vista, invece, ho seri problemi con l’Alligatore, perché io non lavoro sui personaggi ma sulle storie e se non è adatta non posso farci nulla. Ma nel 2015 tornerò con due nuovi romanzi che avranno lui come protagonista, chiudendo un ciclo narrativo».
Avete osservato delle regole precise in questi quattro romanzi?
«Ogni romanzo è dedicato ad una figura femminile ma c’è anche una grande antagonista femminile, sfuggendo alla dicotomia “maschi contro femmine” e ciascun libro può essere letto in maniera disgiunta. Il primo, il secondo e il quarto sono romanzi corali, mentre il terzo è dedicato a Sara, il personaggio più misterioso: le è accaduto qualcosa quando aveva 11 anni, ha una tomba vuota su cui piangere e ha dedicato tutta la sua vita alla vendetta. Questa è Sara».
E le altre Vendicatrici?
«Ksenya è la classica sposa siberiana, sono donne disperate disposte a tutto pur di fuggire via. Luz è una prostituta di quartiere ed Eva è una signora perbene con una profumeria ma suo marito è un ludopatico… Per costruire questi personaggi in modo verosimile, io e Marco ci siamo fisicamente installati in un quartiere romano, cominciando ad osservare il tutto da un punto di vista esclusivamente femminile. L’idea era quella di raccontare la contemporaneità criminale, dall’usura al gioco d’azzardo, sino ai piani alti dove troviamo Sara».
La vendetta che portate in pagina ha un’accezione positiva o è mera rivalsa?
«La vendetta è sempre catartica ma le nostre Vendicatrici capiscono che tramite la vendetta possono raggiungere una vita degna. Infatti si alleano e non rinunciano ai grandi sentimenti della vita, come hanno fatto gli uomini che le hanno dominate e sottomesse. Sarà proprio questa consapevolezza a permettergli di cambiare vita».
La violenza contro le donne è un tema drammaticamente sempre più attuale in Italia…
«Quattro anni fa, quando abbiamo cominciato a lavorare, il termine “femminicidio” non esisteva nemmeno. Il nostro punto di partenza è stato che solo il 46% delle donne lavora nel nostro paese e in quel quartiere romano che ci faceva da base, ci siamo subito imbattuti nel lavoro nero al femminile. Una subalternità che si trasmette anche nei rapporti personali, più profondi».
A suo avviso cos’è che rende arduo la tutela della donna nella nostra società?
«Incidono molti fattori, quello legale e culturale senza dubbio ma è soprattutto una questione economica. Girando per i centri di protezione abbiamo visto che molte volte le donne tornano dagli uomini violenti perché non hanno i soldi per sopravvivere. Le donne dovrebbero allearsi, donne fra donne, per superare le situazioni molto difficili, come da tempo accade nel Maghreb».
Le piace il termine femminicidio?
«No».
Si è schierato contro il boicottaggio dei libri di Erri De Luca, proposto per le sue posizioni No Tav. La spaventano queste reazioni?
«Per aver firmato, moltissimi anni fa, un appello pro Cesare Battisti per questioni squisitamente francesi (con una lunga lista di intellettuali fra cui Daniel Pennac, Loredana Lipperini, Christian Raimo e Tiziano Scarpa) i miei libri furono banditi da alcune biblioteche venete. Accusare Erri De Luca di fomentare la rivolta terroristica è un’idiozia e la proposta di boicottare i suoi libri è ridicola, quanto pericolosa».
Ma in generale, quale crede che debba essere il ruolo dell’intellettuale? Deve essere impegnato politicamente o discosto?
«Un autore deve attraversare il proprio tempo occupandosene. Dire delle cose sulla No Tav è scomodo ma evidentemente necessario».
Nel 2015 compirà vent’anni di scrittura. Qual è il suo rapporto con l’ispirazione?
«Io ho bisogno di andare, vedere, scrivere la trama, pensarla e dopo vedere se viene fuori un romanzo. Credo che l’ispirazione sia una balla ottocentesca che gli autori amano raccontare e i lettori adorano credere».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud