«Quel che so è che la mancanza d’amore è sempre colpevole». Intervista a Daria Bignardi
Una città che viene riscoperta e diventa protagonista, una figlia cocciuta al pari della propria madre e una fine inspiegabile che per decenni condanna ai sensi di colpa, sino alle estreme conseguenze. Sono questi alcuni elementi del nuovo romanzo di Daria Bignardi – in questi giorni protagonista a BookCity2104 – ovvero “L’Amore che ti meriti”, edito da Mondadori (pp.247 €18). Giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva, la Bignardi racconta una storia d’amore sfaccettato – d’amore filiale, d’amore verso un nascituro, d’amore comprensivo verso il proprio partner – dentro un thriller esistenziale, denso d’atmosfera, silenzi, domande e attese. Ambientato quasi interamente nella “sua” Ferrara, la Bignardi omaggiando Giorgio Bassani e ci riporta indietro nel passato, prima alla fine degli anni ’70 – e poi molto più indietro sino agli anni delle leggi razziali – per svelare un mistero che gravita attorno ad Alma e suo fratello Maio, misteriosamente scomparso nel pieno della giovinezza e dato per morto, come logica ed estrema conseguenza della sua dipendenza della droga. Ma giunti ai giorni nostri sarà la testardaggine di Antonia – scrittrice di gialli e figlia di Alma – e la sua decisione di non voler mettere al mondo una figlia in una famiglia con un passato così oscuro, a smuovere le acque, indagando sino a portare alla luce segreti taciuti e diverse verità inconfessabili. Dopo aver esordito con il libro autobiografico “Non vi lascerò orfani” (Premio Elsa Morante, 2009), la Bignardi torna nel solco della memoria, con un libro dalla prosa sempre fluida, capace di celare e far risaltare ad arte, il senso del dolore e della sua rimozione, che lascia al lettore il compito di interrogarsi sul peso delle scelte compiute e sull’incapacità di reagire davanti alle disgrazie. Sul piatto, una volta girata l’ultima pagina, resta ancora una domanda cui forse è impossibile rispondere: l’amore dev’essere meritato o è nell’atto dell’amare fine a se stesso, libero e incondizionato, che vi si ritrova la sua pura essenza?
Ci sono diversi modi di vivere, di assorbire il dolore. C’è chi si stringe e chi ne viene travolto. Cosa succede a questa famiglia, inconsapevolmente felice, quando viene investita dal dolore?
«La famiglia di Alma e Maio viene letteralmente distrutta, non è assolutamente capace di reagire al dolore e dopo trent’anni Alma ancora non ha capito il perché. Sarà proprio sua figlia Antonia a scoprirlo».
Con la narrazione alternata, Alma ci porta alla fine degli anni ’70, un periodo di contestazione e droghe pesanti ma sono anche anni che porteranno al boom economico, alle mode dei paninari. Perché ha scelto proprio questo periodo?
«È il periodo della mia gioventù ed era pieno di contrasti molto forti, allora un ragazzo poteva scegliere tra sirene diversissime per trovare se stesso, ora è tutto più omologato, non so se più sereno, ma lo spero».
Cominciando la sua indagine improrogabile, Antonia sembra voler fare ordine, spianare la strada all’arrivo di Ada, convinta che la verità sia sempre la migliore arma. Cosa accade poi?
«Antonia, che è una scrittrice di polizieschi, parte per Ferrara per scoprire che cosa è successo trent’anni prima al fratello di sua madre, scomparso adolescente, ma le sue indagini la porteranno ancora più indietro nel tempo, in una storia che ha le radici nel periodo delle leggi razziali».
“Le morti tragiche sono il tessuto della storia”. L’Eneide aleggia su tutta la narrazione. Perché?
«Quando Alma è travolta da quel che accade alla sua famiglia. È una studentessa del Liceo Classico e sta studiando l’Eneide, dove ci sono accadimenti molto più tragici di quelli che accadono alla sua famiglia: questa lettura, che poi ritornerà come una costante nella sua vita, in qualche modo la consola e la fa sentire meno sola».
Il senso di colpa è come un tarlo nella mente di Alma. Siamo noi i più crudeli giudici di noi stessi?
«Il problema più grande di Alma forse è proprio quello di non essere mai riuscita a perdonarsi, ad amarsi, e quindi ad amare. Se non ci si merita nemmeno il proprio amore è difficile che poi si sappia accettare quello degli altri».
Ferrara è una vera e propria protagonista nel libro. Perché ha scelto Ferrara, alienante e distaccata, così diversa dalla caotica Bologna e dalla metropolitana Milano in cui vive?
«Ferrara è la città dove sono nata e cresciuta e dalla quale me ne sono andata a vent’anni, proprio come Alma. Ma Ferrara soprattutto è un luogo affascinante di silenzi, segreti, ritmi lenti. Il luogo ideale dove ambientare un thriller esistenziale».
L’amore, il vero amore, per molti è proprio il donarsi senza pretendere nulla in cambio e c’è “l’amor c’ha nullo amato amor perdona” di Dante. L’amore lo si deve meritare secondo lei?
«Non lo so! Continuo a chiedermelo anche dopo aver scritto questa storia. Quel che so è che la mancanza d’amore è sempre colpevole».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, 16 novembre 2014
Pubblicato il 2014/11/18, in Interviste con tag 2014, alma, anni settanta, bignardi, bookcity, dante, ebraismo, eneide, ferrara, francesco musolino, intervista, l'amore che ti meriti, maio, mondadori. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.
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