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“I romanzieri devono superare tutti gli stereotipi”. Michael Cunningham si racconta

Michael Cunningham

Michael Cunningham

Subito dopo aver ricevuto l’ennesima delusione amorosa, una luce nel cielo, un’aura che ha del soprannaturale rapisce l’attenzione di Barrett Meeks. È questione di pochi secondi ma quella visione tormenterà questo uomo, ateo e considerato un tempo un genio, stravolgendogli la vita, spingendolo verso la religione. Così prende avvio il nuovo romanzo di Michael Cunningham, “La Regina delle Nevi” (Bompiani, pp.288 €18) è uno di quei libri difficili da riassumere in poche parole. Il romanziere americano – bestseller e vincitore del Premio Pulitzer con “Le Ore” – ha preso spunto dalla tetra fiaba di Hans Christian Andersen per raccontare la storia di Barrett e di suo fratello Tyler, un musicista che ricorre alla droga per varcare la soglia dell’ispirazione e riuscire a scrivere la canzone perfetta in vista del matrimonio con Beth, malata terminale di cancro. Le tre esistenze dei protagonisti, pericolosamente in bilico sulla linea fra successo e fallimento, fra tenebra e luce, sono narrate in pagina con dolcezza da Cunningham, capace di raccontare anche la recente storia politica del suo paese, a partire dal secondo, inaspettato, mandato presidenziale per George W. Bush

Il suo libro, con i piedi ben piantati nella recente storia americana, trae spunto anche dalla fiaba di Andersen…

«Sono partito dal titolo di questa fiaba di Hans Christian Andersen perchè ero particolarmente attratto dalle parole “neve” e “regina” ma non sapevo affatto dove tutto ciò mi avrebbe condotto. Posso senz’altro dire che la storia di questo bambino condannato a vedere il mondo attraverso uno specchio maledetto mi ha colpito perché è un racconto assai diverso dalla fiaba classica». Leggi il resto di questa voce

«Il mondo e la vita vanno troppo veloci: serve coraggio per fermarsi». Luis Sepúlveda si racconta

MILANO. Dopo averci fatto innamorare della sua gabbianella che non sapeva volare e di un gatto e di un topo che divennero amici, il celebre scrittore cileno Luis Sepúlveda torna in libreria con una nuova favola, “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza” (Guanda, p.95 €10), incentrata sul tema del tempo e dell’identità. Il giornalista, sceneggiatore e attivista sudamericano, naturalizzato francese, ha posto al centro della sua favola l’importanza della lentezza nella società odierna, valore scoperto anni fa insieme all’amore per la radio (tutti i lunedì ha una sua rubrica nella principale emittente radio spagnola). Possiamo fermarci, puntare i piedi e prendere il tempo necessario per capire cosa ci accade intorno? Questo si domanda Sepúlveda, esaminando una società in cui tutto è stato travolto dalla rapidità, dai sentimenti sino alla produzione e al consumo del cibo (a Milano ha incontrato Carlo Petrini di SlowFood). Sepúlveda era uno degli ospiti più attesi della terza edizione della kermesse letteraria BookCity, svoltasi la scorsa settimana a Milano, abbiamo parlato di favole e valori, società e futuro…senza perdere la speranza nel domani.

Una lumaca come protagonista di una favola per bambini. Una lumaca molto particolare, decisa a capire quale sia il proprio posto nel mondo…

«La mia lumaca si pone molte domande circa la propria identità, il rapporto con gli altri e il mondo intorno a se. Lei vorrebbe essere unica, irripetibile, tutti lo vorremmo in fondo. Poiché ogni cosa esiste dal momento in cui prende un nome, sente il bisogno di averne uno e subito dopo scopre che la sua grande particolarità è la lentezza. La lumaca va alla ricerca delle risposte e alla fine comprende che la lentezza e la sua fragilità non sono affatto dei difetti, fanno parte della sua natura e solo accettandosi potrà essere felice».

Perché ha scelto le favole? Era necessario un linguaggio semplice, non fraintendibile, per comunicare messaggi universali?

«Nella favola è più facile ridurre la distanza con il lettore, prendere le distanze dai comportamenti umani. Questo genere letterario mi ha sempre affascinato e interessato perché permette di narrare una storia che non sia solo un’avventura, consentendomi anche di parlare di sentimenti e valori».

Nelle sue fiabe il valore dell’incontro e della diversità è molto presente. Perché ha voluto concentrare qui il suo obiettivo?

«La vita è diversità, altrimenti non è vita. La stessa vita umana ci arricchisce mettendoci a contatto con le differenze culturali e razziali che ci circondano. L’unico punto comune è la giustizia, una società multietnica in cui essere umani diversi ed integrati, vivono rispettandosi l’un l’altro. La mia lumaca fa diversi incontri con altri animali e le sue necessità le permettono di abbattere ogni barriera: non c’è incomprensione, solo solidarietà ed amicizia».

Com’è il suo rapporto con il tempo? È scandito dalla lentezza anche nella sua quotidianità?

«Il rapporto con il tempo deve essere determinato solo dalle persone, dobbiamo essere capaci di dire “io decido il mio tempo, io decido come mi muovo, la mia velocità e la mia lentezza”. E’ un discorso culturale perché oggi l’unica forma possibile di movimento è la velocità vertiginosa, nutrita dal mito della comunicazione sempre più rapida. Ma, mi domando, questa velocità serve davvero? Prendiamo i rapporti umani. Quando due persone si incontrano, comunicando decidono se vogliono continuare a conoscersi e da lì in avanti, possono diventare sempre più intimi sinché nasce un amore o un’amicizia. Tutto questo è lento. Oggi invece abbiamo Whatsup che è velocissimo e fa degenerare tutto».

La lentezza gioca un ruolo anche nel suo processo creativo?

«Sono profondamente lento a scrivere. Molti miei editori sono arrivati vicino alla pazzia assecondando ai miei tempi biblici (ride). La lentezza è una parte del mio lavoro, passo dopo passo. Come diceva Enrico Berlinguer, andiamo piano piano ed arriviamo lontano».

È vero che lei ama scrivere con un sottofondo radiofonico?

«Certamente. Ho sempre avuto un rapporto particolare con la radio ma so bene che ai lettori più giovani questo può sembrare una stranezza. Quand’ero un bambino non c’era la tv, non c’era internet, né il videogioco e la radio era la grande finestra sul mondo. Ero ancora un ragazzino quando, una sera, cercando una stazione in lingua spagnola, raggiunsi le frequenze di Radio Netherlands e il fatto che a Santiago del Cile potessi ascoltare qualcuno che trasmetteva dall’Olanda, mi sembrava una vera e propria magia. Un giorno chiesero agli ascoltatori di spedire una lettera e raccontare com’era il proprio quartiere e un mese dopo, lessero la lettera di un bambino di 8 anni che scriveva dal Cile…Luis Sepúlveda».

Ha detto che la lentezza è la via per la salvezza. La lentezza è anche una forma di resistenza?

«Sì, è un modo di guardare la vita, una forma di resistenza senza dubbio. Il mondo e la vita vanno troppo veloce e serve coraggio per fermarsi, girarsi e uscire da questo flusso velocissimo che travolge tutto e tutti. Il potere più grande è poter decidere cosa fare del proprio tempo».

La lentezza gioca un ruolo determinante anche nell’alimentazione. Ma tutto questo sembra ormai pregiudicato dalle colture ogm, no?

«I contadini, in qualsiasi parte del mondo, per produrre il mais dovevano rispettare i tempi dettati dalla natura. Seminare, aspettare la crescita, vigilare perché non mancasse l’acqua e prendere le precauzioni contro i parassiti e solo fine potevano raccogliere i frutti del proprio lavoro, quando il mais era passato dal colore verde a quello oro brillante. Questa cultura era dettata dalla logica della natura ma oggi è andato tutto a rotoli per via dalle colture transgeniche che stravolgono completamente i ritmi. In un anno il prodotto è quintuplicato certo, ma a che prezzo? Viene meno l’antico rapporto con la terra solo in nome del guadagno, pregiudicando anche la qualità del cibo che portiamo in tavola».

Oggi fra televisione, tablet, videogiochi i bambini sembrano avere una paura mortale della noia, del tempo morto. È possibile spiegare ad un bambino l’importanza del tempo dell’immaginazione?

«È senza dubbio difficile ma è una grande sfida. Per me il momento più importante in una famiglia è quello della cena, tutti insieme attorno alla tavola, poter parlare e raccontarsi la giornata appena trascorsa. Ecco, questo tempo è di una grande lentezza ma è scomparso in molte famiglie, assorbito dalla fretta quotidiana e dalla tv magari. Ma se un bambino cresce con questa abitudine, con il desiderio di parlare e stare ad ascoltare, sarà capace di fermarsi e fare tutto con più lentezza anche da adulto».

Com’è nata la sua passione per le favole?

«Quando ero un bambino amavo che mi raccontassero delle storie prima di dormire. Tutto ciò mi ha avvicinato alla scrittura, alla cultura. Mi piace scrivere storie rivolte ai bambini ma sono conscio che devono rivolgersi ad una piccola persona non ad un piccolo cretino che non capisce nulla per via dell’età. Le favole devono essere costruite con rispetto, devono parlare di valori e solo così facendo si predispone il bambino all’ascolto, senza usare una morale banale che finisce per allontanarli».

Lei ha fiducia nel futuro?

«Dobbiamo essere molto preoccupati ma non dobbiamo perdere l’ottimismo. Il mondo lo vedo messo male, malissimo e da solo non posso cambiare le cose ma se uno ad uno ci avviciniamo, allora sì che le cose possono andare meglio…».

Come potremmo fare?

«Il grande problema è la mancanza di coraggio, la forza di avvicinare chi ci sta vicino e dire “così non va bene, facciamo qualcosa insieme per cambiare ciò che ci sta intorno”. Io credo nel coraggio civile, nel coraggio della gente, ci credo perché lo conosco e so che solo ricorrendo ad esso le persone possono prendere in mano il proprio destino e cambiarlo in meglio».

Francesco Musolino®

Fonte: La Gazzetta del Sud, 28 novembre 2013