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«Riprendiamoci il nostro futuro». Federico Rampini racconta “All you need is love”.

Federico Rampini

Federico Rampini

«All You Need Is Love è un libro-terapia per costruire un futuro diverso. Anzitutto, riprendendoci l’economia». Il giornalista e scrittore Federico Rampini si è sempre distinto per l’estro delle sue idee. Così, dopo aver raccontato il mondo dei banchieri, dei giganti economici asiatici e recentemente, il potere della rete, con “All you need is love – l’economia spiegata con le canzoni dei Beatles” (Mondadori, pp.279 €17) interpreta la nostra crisi economica contemporanea creando un suggestivo parallelo con gli anni ’60 e uno dei loro simboli più forti, i Beatles. Possibile leggere l’economia partendo dalle canzoni dei FabFour di Liverpool? Decisamente sì e oscillando fra presente e passato, passa sotto la lente di ingrandimento la Germania che tira la volata europea ma soprattutto l’America del 1964 – quando vi sbarcarono i Beatles, destinati a divenire mito – e quella attuale, con la presidenza Obama ma anche le nuove sacche di povertà e le proteste di Ferguson contro la polizia violenta. Corrispondente estero di grande esperienza, dopo anni a Pechino, Rampini è tornato negli States e recentemente vi ha ottenuto la doppia cittadinanza. Non senza un curioso intoppo al sapore di guerra fredda… Leggi il resto di questa voce

Ildefonso Falcones non ha dubbi: «Oggi viviamo in una situazione economica paradossale».

Il suo romanzo d’esordio gli è valso milioni di copie vendute nel mondo eppure l’ha dovuto riscrivere ben nove volte prima che un editore spagnolo lo prendesse in considerazione. Era “La cattedrale del mare” con cui Ildefonso Falcones – già avvocato di successo – è divenuto famoso, bissando il successo con “La mano di Fatima”. Una trilogia degli esclusi che trova compimento con il suo nuovo romanzo, “La Regina Scalza” (Longanesi, pp.704 €19,90). Il sentimento principale di questo libro che ruota attorno alla musica e alla schiavitù, è certamente l’amicizia che lega le due protagoniste e narratrici – Caridad e Milagros – e andranno incontro ad un destino assai diverso, muovendosi su un palcoscenico storico davvero significativo come il tentativo di sterminio ai danni dell’etnia gitana, messo in pratica nel XVIII° secolo. Dopo aver parlato di ebrei e moriscos, Falcones torna a parlare dei reietti e dei perseguitati occupandosi di un popolo senza tradizione scritta e perennemente frainteso. Una lunga chiacchierata in un noto albergo milanese durante la quale si è discusso anche di scrittura, politica, economia e fortuna editoriale: “il talento è importante ma la fortuna è l’unica condizione necessaria per raggiungere il successo. Ma nonostante il successo non lascerei mai il mio studio: in tribunale incontro gente vera ogni giorno e questo mi permette di restare con i piedi per terra”. Leggi il resto di questa voce

L’economista italiano Francesco Daveri chiarisce: “L’euro è una strada a senso unico. Nessuno può esserne espulso”

Come possiamo orientarci in questa crisi economica che sta travolgendo l’Europa intera, fra le sirene mediatiche e le oscillazioni dei mercati? Il nostro futuro è davvero tetro come sembra oppure la situazione è meno grave di come appare?

In questi momenti la demagogia dei politici appare ancor più superflua e per questo motivo Tempostretto.it ha intervistato l’economista italiano Francesco Daveri – professore ordinario di politica economica all’università di Parma – e insegnante presso il progetto MBA della scuola di direzione aziendale dell’università Bocconi di Milano. In passato Daveri ha collaborato con le più prestigiose istituzioni economiche come la Banca Mondiale, la Commissione Europea e il Ministero dell’Economia. Daveri – che firma commenti per Il Corriere della Sera ed è fra i membri fondatori de LaVoce.info – ha scritto una chiara postfazione al libro “Fermate l’Euro disastro!” dell’economista Max Otte, appena edito da Chiarelettere (pp. 96, € 9).

Era possibile prevedere questa crisi della zona Euro?

Del senno di poi sono notoriamente piene le fosse. Con il senno di poi, l’idea di fare una grande unione monetaria tra paesi molto diversi, dotati di differenti istituzioni nazionali di supervisione dell’attività bancaria, senza un solido meccanismo di aiuti di emergenza e senza un insieme di vincoli fiscali credibili oggi ci sembra sia stato un imprudente salto nel buio. Sull’altro lato dell’Oceano Atlantico, peraltro gli americani ci avevano avvertiti che l’euro era uno strano animale. Ci avevano detto che che non si era mai vista un’unione monetaria tra paesi che mettono l’autonomia politica nazionale in cima alle loro agende politiche. In ogni caso in Europa abbiamo pensato che le Cassandre americane esprimessero semplicemente la legittima ma egoistica paura di perdere il monopolio del dollaro come valuta di riserva, la fonte ultima di finanziamento del loro tenore di vita. A farli parlare, si diceva, è il disappunto se non l’invidia di chi sta per perdere un privilegio, quello di pagare il conto stampando biglietti verdi. Non era solo quello.


Quanto è grave la situazione e cosa comporterebbe il crollo dell’economia italiana non solo nel paese ma per l’intera Europa?

Un default dell’Italia sul suo debito pubblico porterebbe a fondo anche l’euro. Quindi italini ed europei devono fare tutto il possibile perchè l’Italia non fallisca. L’Italia, come ha detto il nostro premier Mario Monti, deve fare i compiti a casa che ho descritto sopra, prima di tutto riducendo la spesa pubblica ma anche realizzando quelle riforme nel settore dei servizi professionali e dei servizi oggi pubblici che consentano di attuare la modernizzazione del paese di cui si parla da molto tempo e di cui c’è un gran bisogno per rendere l’Italia una società più aperta. Ma poi occorre ridare credibilità e fiducia alla costruzione di una casa comune europea. Serve che in Europa passi la linea tedesca di passare a sanzioni automatiche nei confronti di chi non rispetta le regole comuni. Sarebbe un primo passo verso una più compiuta unione fiscale. In parallelo, però, i tedeschi dovrebbero accettare che si emetta una qualche forma di Eurobond per garantire una parte (fino al 60 per cento) del debito esistente. Per tutto ciò ci vorrà tempo. Nel frattempo dovremo aggrapparci alla continuazione degli acquisti di debito pubblico europeo da parte della Bce.

Cosa si può fare per fermare l’euro disastro?

Il problema o la fortuna, a seconda dei punti di vista, è che, sulla base dei trattati, l’euro è una strada a senso unico. Sulla base dei trattati è ammessa solo l’uscita unilaterale e volontaria, non l’espulsione. I tedeschi non possono quindi cacciare la Grecia, deve essere la Grecia ad andarsene. Per uscire dal cul de sac in cui sembrano essersi cacciati una strada però ci sarebbe: potrebbe essere la Germania ad andarsene, presumibilmente portandosi dietro i paesi dell’Europa del nord. Ma chi ha provato a fare i conti del costo della disintegrazione dell’euro da nord (lo hanno fatto in modo un po’ sbrigativo tre economisti di Ubs) ha tirato fuori numeri da capogiro: hanno calcolato un costo di 6-8 mila euro per ogni tedesco solo nel primo anno, grosso modo il 15-20 per cento del Pil tedesco. Al di là dei numeri che sono solo approssimativi, conta la logica del ragionamento: già nella fase di transizione verso la nuova situazione, si verificherebbero massicce fughe di capitale verso la Germania e gravi insolvenze nei paesi più deboli dell’area euro orfana della Germania, con un drammatico apprezzamento della nuova valuta (il neo-marco, il tallero, come lo vogliamo chiamare?) rispetto all’euro. Le implicazioni più immediate per i tedeschi sarebbero almeno due: le aziende tedesche non esporterebbero più frigoriferi e automobili nel resto dell’Europa e nel mondo e le banche tedesche si troverebbero piene di titoli del debito denominati nella valuta sbagliata (l’euro). Se dunque fosse la Germania a lasciare l’euro, ogni cittadino tedesco si troverebbe a sborsare un sacco di soldi per ricapitalizzare il sistema bancario e per salvare tante aziende gioiello, magari anche la Miele e la Volkswagen. 

Che cosa rimane ai tedeschi e all’Europa allora? 

Solo una strada, quella di mettersi con pazienza e poco alla volta a rifondare “alla tedesca” il funzionamento dell’Unione Europea, non solo quella monetaria. Se la Germania e i paesi del nord riusciranno ad ottenere da tutti i partecipanti all’Unione l’adozione in tempi meno che biblici di riforme che mettano il continente nel suo complesso nelle condizioni di affrontare la duplice sfida dell’invecchiamento e della concorrenza dei paesi emergenti, a quel punto diventerà irrilevante la nazionalità di chi sarà a capo dell’Unione riformata e le resistenze dei contribuenti tedeschi potranno essere superate e la Costituzione tedesca opportunamente emendata in modo da consentire la predisposizione di strumenti come i tanto discussi Eurobond.

Fonte: www.tempostretto.it del 30 novembre 2011