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Ildefonso Falcones non ha dubbi: «Oggi viviamo in una situazione economica paradossale».
Il suo romanzo d’esordio gli è valso milioni di copie vendute nel mondo eppure l’ha dovuto riscrivere ben nove volte prima che un editore spagnolo lo prendesse in considerazione. Era “La cattedrale del mare” con cui Ildefonso Falcones – già avvocato di successo – è divenuto famoso, bissando il successo con “La mano di Fatima”. Una trilogia degli esclusi che trova compimento con il suo nuovo romanzo, “La Regina Scalza” (Longanesi, pp.704 €19,90). Il sentimento principale di questo libro che ruota attorno alla musica e alla schiavitù, è certamente l’amicizia che lega le due protagoniste e narratrici – Caridad e Milagros – e andranno incontro ad un destino assai diverso, muovendosi su un palcoscenico storico davvero significativo come il tentativo di sterminio ai danni dell’etnia gitana, messo in pratica nel XVIII° secolo. Dopo aver parlato di ebrei e moriscos, Falcones torna a parlare dei reietti e dei perseguitati occupandosi di un popolo senza tradizione scritta e perennemente frainteso. Una lunga chiacchierata in un noto albergo milanese durante la quale si è discusso anche di scrittura, politica, economia e fortuna editoriale: “il talento è importante ma la fortuna è l’unica condizione necessaria per raggiungere il successo. Ma nonostante il successo non lascerei mai il mio studio: in tribunale incontro gente vera ogni giorno e questo mi permette di restare con i piedi per terra”. Leggi il resto di questa voce
Yoani Sànchez: «Il mio posto non è altrove ma in un’altra Cuba».
Proprio come Phileas Fogg, il personaggio creato dal visionario Julius Verne, anche la giornalista e blogger cubana Yoani Sànchez ha deciso di compiere il giro del mondo in ottanta giorni. Tuttavia se viaggiare testimonia da sempre curiosità e voglia di superare i confini, tanto mentali che geografici, per Yoani questa esperienza ha un sapore diverso, ben più profondo. Difatti il suo peregrinare, cominciato il 18 febbraio scorso con prima tappa a Sao Paulo do Brasil, è la testimonianza di una riconquistata libertà di fatto ovvero il venir meno della necessità di ottenere il permesso di uscita dal paese (“permiso de salida”) che le era stato vietato per ben venti volte dal regime cubano sotto la guida di Fidel Castro. Incarcerata due volte, soggetta a soprusi e violenze dalla polizia di regime, Yoani ha narrato sul suo seguitissimo blog – Generaciòn Y – e su Twitter, la vita di tutti i giorni a Cuba, più forte persino della disperazione che la coglieva dinanzi alle morti premature e apparentemente inspiegabili, di altri colleghi giornalisti, considerati liberi almeno quanto scomodi. Già nel 2008 il celebre magazine Time l’ha inserita fra le 100 persone più importanti, premiandone la giornaliera denuncia circa le violazioni dei diritti umani e le sue inchieste giornalistiche. Ma Yoani è ben lungi dall’essere un’icona da tutti osannata. Difatti in ogni tappa è stata oggetto di proteste da parte dei filocastristi e non ha fatto eccezione la sua presenza al Festival del Giornalismo di Perugia. La sua colpa, secondo gli agguerriti contestatori, sarebbe quella di essere “corrotta, al soldo dell’imperialismo americano”. Anche stavolta ha assistito con stoica pazienza, sorridendo dinanzi agli insulti che le rivolgevano e augurandosi che «una libera protesta, un giorno, si possa compiere anche a Cuba». Proprio in occasione delle tappe italiane del suo viaggio, ha rilasciato questa intervista con l’ausilio del suo traduttore ufficiale, Gordiano Lupi, autore del libro “Yoani Sànchez – In attesa della primavera” (Anordest edizioni), in cui trovano spazio una ricca biografia della blogger cubana e l’intervista integrale che realizzò con Barack Obama, già aperto ammiratore del suo lavoro.
Cosa rappresenta per lei questa primavera che evoca il titolo?
«“In attesa della primavera” è un libro curato da Gordiano Lupi che si sforza di raccontare gli ultimi sei anni di vita a Cuba. Non solo, attraverso la ricostruzione della mia esistenza, narra trentasette anni di realtà cubana, la disillusione rivoluzionaria, l’utopia imposta, le prime contestazioni, il desiderio di fuga, il doppio sistema monetario, la totale mancanza di libertà e gli atti di ripudio. La primavera cubana dovrebbe partire da una presa di coscienza delle nuove generazioni che la soluzione ai problemi di Cuba non è la fuga, ma restare e lottare per cambiare il sistema dall’interno ».
Ha dichiarato che “senza un’educazione digitale le nuove generazioni non saranno davvero libere” e intanto i regimi asiatici dimostrano di essere sempre più attenti al web e ai social network. La lotta per l’informazione libera sarà sempre più ardua?
«A Cuba, il fatto che internet possa essere libero è un’utopia. Noi siamo l’isola dei non connessi. Nessuno, a meno che non faccia parte dell’apparato governativo, possiede una connessione internet domestica. La rete è molto importante per la circolazione delle idee, soprattutto in un paese come Cuba dove ogni media giornalistico è nelle mani del governo. Lottare perché internet sia libero equivale a lottare per la libertà».
I suoi tweet hanno squarciato un velo di ignoranza sul regime cubano ma la sua caparbia le è costata anche il carcere. Ha mai pensato di non farcela, di dover mollare?
«Ogni giorno mi alzo e cerco di vincere la paura, il timore di non farcela. Ogni giorno mi dico che devo continuare a lottare. Per mio figlio, per chi verrà dopo, perché quando sarò vecchia e porterò i miei nipoti a passeggio in un parco voglio avere risposte esaurienti da dare, invece di dire che non ho fatto niente per cambiare le cose. E poi non mi resta che agire per sentirmi protetta, la notorietà raggiunta è il mio ombrello protettivo nei confronti dei repressori».
Da sempre lei è contraria all’embargo americano contro Cuba. Ci spiega perché?
«Prima di tutto non ha raggiunto lo scopo ovvero far cadere il regime, piuttosto è servito solo a creare problemi di sussistenza per la popolazione. I gerarchi cubani, infatti, non risentono minimamente dell’embargo, mentre il povero abitante di Centro Havana soffre sulla sua pelle la penuria dei generi di prima necessità. Inoltre, l’embargo è da tempo la giustificazione migliore per il governo cubano per giustificare la mancanza di libertà e il disastro economico. Voglio che tutto questo finisca!»
Sorprende il fatto che i deputati della Izquierda Unida (coalizione politica spagnola di sinistra radicale e antieuropeista) abbiano rifiutato di incontrarla a Madrid. Ancora oggi il regime cubano è considerato un’entità utopica?
«Non c’è niente di sorprendente. Il governo cubano dispone di fiancheggiatori e sostenitori in tutto il mondo. Ha saputo costruire una rete importante per diffondere consenso e menzogne. L’utopia del sistema comunista egualitario viene propagandata con tutti i mezzi possibili e immaginabili. Qualcuno crede al mito in buona fede, altri meno… Inesistente, in realtà è l’idea di un capitalismo di Stato! »
Ha dichiarato che tornerà a casa per fondare un giornale libero ma se le chiedessero di impegnarsi politicamente in prima linea per una nuova Cuba?
«Il mio posto non è altrove ma in un’altra Cuba. Per questo tornerò. Fare politica non è il mio mestiere. Ci sono persone molto più adatte di me come Rosa Maria Payá ed Eliecer Avila. Il mio ruolo sarà sempre quello della giornalista. Il mio sogno è quello di fondare un giornale libero per controbattere le menzogne preconfezionate dalla propaganda».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud