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Marcello Fois si racconta: «La letteratura è un atto rivoluzionario»

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Marcello Fois

«Gli scrittori hanno la capacità di vedere sotto la superficie delle cose. Un dono e al contempo una maledizione». Esponente della nuova letteratura sarda e co-ideatore del Festival delle Storie di Gavoi, Marcello Fois è innanzitutto, una delle voci più complesse e autorevoli del panorama letterario italiano. Scrittore prolifico (già vincitore del Premio Italo Calvino e del Premio Dessì), nonché sceneggiatore e commediografo, con il suo nuovo romanzo “Luce perfetta” (Einaudi, pp.314 €20) ha concluso dopo un decennio di lavoro, la sua imponente trilogia (iniziata con “Stirpe” e proseguita con “Nel tempo di mezzo”) narrando la saga familiare dei Chironi lungo tutto il Novecento e con essa, la storia d’Italia e delle sue tante trasformazioni, centrando l’attenzione sul tema identitario, sulle radici dell’azione. Fermo sostenitore della necessaria tutela della lingua sarda, Fois non ha abbandonato l’utopica speranza che un giorno la Sardegna, spogliata di ogni sentimento nostalgico, possa essere indipendente, pur ammettendo che «la strada da compiere è ancora lunga». Leggi il resto di questa voce

Ildefonso Falcones non ha dubbi: «Oggi viviamo in una situazione economica paradossale».

Il suo romanzo d’esordio gli è valso milioni di copie vendute nel mondo eppure l’ha dovuto riscrivere ben nove volte prima che un editore spagnolo lo prendesse in considerazione. Era “La cattedrale del mare” con cui Ildefonso Falcones – già avvocato di successo – è divenuto famoso, bissando il successo con “La mano di Fatima”. Una trilogia degli esclusi che trova compimento con il suo nuovo romanzo, “La Regina Scalza” (Longanesi, pp.704 €19,90). Il sentimento principale di questo libro che ruota attorno alla musica e alla schiavitù, è certamente l’amicizia che lega le due protagoniste e narratrici – Caridad e Milagros – e andranno incontro ad un destino assai diverso, muovendosi su un palcoscenico storico davvero significativo come il tentativo di sterminio ai danni dell’etnia gitana, messo in pratica nel XVIII° secolo. Dopo aver parlato di ebrei e moriscos, Falcones torna a parlare dei reietti e dei perseguitati occupandosi di un popolo senza tradizione scritta e perennemente frainteso. Una lunga chiacchierata in un noto albergo milanese durante la quale si è discusso anche di scrittura, politica, economia e fortuna editoriale: “il talento è importante ma la fortuna è l’unica condizione necessaria per raggiungere il successo. Ma nonostante il successo non lascerei mai il mio studio: in tribunale incontro gente vera ogni giorno e questo mi permette di restare con i piedi per terra”. Leggi il resto di questa voce

«L’indipendenza della Sardegna è una necessità storica». Michela Murgia si racconta

Dopo il grande successo ottenuto con “Accabadora” – che le valse la vittoria del premio Campiello 2010 – la scrittrice sarda Michela Murgia torna in libreria con “L’Incontro”, edito da Einaudi (pp. 112 euro 10). Ancora protagonista il tema della comunità ma stavolta, grazie alla voce narrante di Maurizio – un bimbo di dieci anni in vacanza a Crabas dai nonni – la Murgia si concentra sui limiti e sulle barriere che possono allontanarci persino dagli amici di infanzia, complice la decisione di un prete di fondare una seconda parrocchia, fratturando in due la comunità stessa. In questo nuovo libro la Murgia, la quale esordì con un libro sul mondo del precariato (“Il mondo deve sapere”) e in seguito evidenziò il ruolo della donna nella religione cattolica (“Ave Mary”), ci riporta nella sua terra natìa per la cui indipendenza si batte attivamente…

Ne L’Incontro ritorna l’ambientazione della comunità che aveva già usato per “Accabbadora” ma stavolta la prospettiva è mutata.

«Più che i limiti ho posto l’accento sulle contraddizioni insite nella vita comunitaria. Si tende a credere che la comunità sia infrangibile ma è una credenza assai lontana dalla realtà dei fatti. Se volessimo traslare il discorso al mondo della politica potremmo prendere come punto di riferimento il concetto di comunità nell’accezione leghista, dove l’estraneo in senso lato non ha cittadinanza, non può esserne incluso nemmeno da un punto di vista antropologico. L’Incontro è nato dall’idea di raccontare una storia dove la grammatica dell’estraneità fosse invertita, nella quale l’elemento destabilizzante non è rappresentato da un nemico sconosciuto ma dal proprio vicino di casa».

Perché ha scelto il punto di vista narrativo di un bambino? Quali sfumature le ha permesso di cogliere e cristallizzare sulla pagina?

«C’è certamente un lato autobiografico in questo libro poiché la scintilla iniziale è riferita ad un fatto realmente accaduto che io ho vissuto in tenera età. Per tale motivo affidarsi al punto di vista di un ragazzino è stata una scelta legata tanto all’istinto che alla memoria. La voce narrante del libro è cresciuta con un’unica idea di comunità ma ad un certo punto, questa unicità entra in crisi quando il suo compagno di giochi si troverà a far parte di un’alterità escludente».

Ne L’Incontro è centrale anche il tema di un’idea di infanzia smarrita nel tempo visto che oggi l’unica avventura possibile sembra quella concessa dalla televisione…

«Oggi i bambini sembrano poter incontrare l’avventura solo per caso, senza alcuna programmazione possibile, invece io e mio fratello ogni pomeriggio uscivamo da casa e sapevamo che potevamo concederci un certo margine di rischio senza la vigilanza costante di un adulto. L’infanzia è uno dei momenti topici per eccellenza, è il periodo in cui si formano i criteri che utilizzeremo per leggere la realtà futura, in modo conscio o inconscio. L’idea di analizzare la nascita di un’amicizia o la fine di una comunità dal punto di vista di un bambino mi sembrava davvero allettante poiché la loro realtà è fatta soltanto di certezze assolute refrattarie a qualsivoglia flessibilità».

Anche il ruolo degli anziani è mutato nella comunità, prima erano saggi e oggi sono diventati dei reietti. Cos’è accaduto?

«La società del passato preferiva il concetto di appartenenza a quello di efficienza, tanto in voga nei giorni nostri. L’appartenenza non esclude nessuno, nemmeno quando non è più utile al sistema produttivo, invece oggi gli anziani e i bambini ma anche le donne, quando decidono di fare le mamme, sono considerati cittadini di serie b poiché la percezione della loro utilità alla produzione diretta viene a mancare».

È noto il suo impegno per il movimento indipendentista sardo.

«È la principale causa per cui impegno il mio tempo, la mia scrittura e le mie risorse. Capisco che dopo aver fatto una critica sull’idea leghista della sclerotizzazione dell’idea comunitaria, possa sembrare un controsenso ma ciò non fa altro che dimostrare come i leghisti siano stati bravi a raccontare le cose sino ad impossessarsi dell’unico paradigma di indipendentismo. Non è così. Esistono percorsi di autodeterminazione che non sono di matrice nazionalista e che non riconoscono l’Altro come un pericolo o una negazione di sé. Questo è certamente il caso della Sardegna che mai potrà essere accusata di razzismo o xenofobia».

Marcello Fois e Salvatore Niffoi sottolineano l’importanza della tutela della lingua sarda. Cosa ne pensa?

«La lingua sarda deve trovare i suoi primi difensori in Sardegna. Recentemente il governo Monti ha stabilito che il sardo non è una lingua, negando qualsiasi aiuto economico per il suo insegnamento, i sardi si sono indignati ma lo hanno fatto in italiano perché la maggior parte di loro ha rinunciato volontariamente alla lingua natìa, relegandola al mondo intimo e familiare. Per quanto mi riguarda io parlo e scrivo in sardo ma non è questo il punto. Piuttosto credo che non sia più il tempo di parlare di una lingua-una nazione: si tratta di un concetto con un retrogusto fascista».

Quando vinse il Campiello disse che sognava una Sardegna indipendente. Conferma tutto?

«La Sardegna è già autonoma alla massima potenza e ha esigenze molto diverse dall’Italia. Credo che l’indipendenza non sia una prospettiva per l’isola, ma una necessità storica».

Francesco Musolino®