“Perché abbiamo fallito così tanto?”. Chigozie Obioma racconta la sua Nigeria ne “I Pescatori”.


Chigozie Obioma

Chigozie Obioma

Lo scrittore nigeriano Chigozie Obioma è stato uno dei protagonisti della settima edizione della kermesse letteraria romana Libri come, già finalista del Man Booker Prize 2015. Classe ’86, grazie alla calda accoglienza di critica e pubblico per il suo libro d’esordio, “I Pescatori” (Bompiani, tradotto con cura da Beatrice Masini), è considerato dal New York Times l’erede di Chinua Achebe. Obioma racconta la vicenda di quattro fratelli, dai nove ai quindici anni – Ikenna, Boja, Obe e Ben – che nella Nigeria di fine anni Novanta, scoprono la libertà quando il Padre viene trasferito in una città distante. Ma conosceranno anche il male, incarnato nel mendicante Abulu, nella sua fosca profezia. Possiamo opporci al dolore, come possiamo restare legati alle persone scomparse senza farci sommergere dalla sofferenza? Al di là di ogni possibile paragone, oggi Obioma incarna una delle voci più interessanti e mature della letteratura africana, capace di raccontare la dura realtà senza bandire dalla pagina elementi fantastici, metaforici ed animisti. Una delle voci su cui scommettere in futuro.

Mr. Obioma, com’è nato “I Pescatori”?

«Da principio volevo scrivere sul significato di crescere, il fatto di fare affidamento sui fratelli maggiori per la saggezza e la visione della vita. Ma scrivendo, mi sono reso conto che avevo altre cose da dire. Ho vissuto nella parte turca di Cipro, uno stato non ancora riconosciuto eppure in grado di fornire servizi, strade, sicurezza ed elettricità ai suoi cittadini. Tutte cose che non si possono avere in Nigeria oggigiorno. Eppure la Nigeria è il sesto paese al mondo per abitanti e abbondano le risorse naturali. Così, d’un tratto ho pensato: “Perché abbiamo fallito così tanto?”. Volevo uscire dai cliché e ho iniziato a ragionare sulla famiglia come fosse un’entità, una vera e propria organizzazione. Cosa potrebbe rompere il legame di sangue? E se la causa della sua disgregazione venisse dal suo interno?»

415VoKPE9oL._SX350_BO1,204,203,200_Il libro inizia raccontando una saga familiare negli anni Novanta ma pagina dopo pagina diventa assai più complesso…

«Esattamente. Comincia parlando di come una famiglia possa disgregarsi e di cosa possa significare crescere in tal modo. Ma in realtà il romanzo racconta la situazione attuale della Nigeria e per quale motivo la sua crescita abbia subito un brusco stop».

Ben crede ci sia una forte connessione con gli animali, un punto di vista diverso per narrare la nostra stessa esistenza in relazione al rapporto con loro. È un elemento metaforico?

Volevo che Ben credesse in un universo parallelo, in una sorta di interdipendenza fra gli esseri viventi e le loro vite precedenti. Così, tutta la storia dell’umanità può essere narrata dalla prospettiva di un albero e la vita di una donna, attraverso gli occhi di un uccello o di una felce. Quando sei giovane, i tuoi ricordi non si formano in forma lineare, la mente lavora in modo diverso, spesso mediante le associazioni. Se riesci a raccontare la morte di un fratello dal punto di vista di un passero, tutto diventa meno tragico e in un certo senso, meno tragico».

Il Padre parla un forbito inglese, la Madre l’igbo, i figli lo yoruba. Questo melting pot culturale è un tesoro?

«Una delle cose buone che abbiamo ereditato dagli inglesi è la loro lingua. È meravigliosamente sintetica, malleabile, perfetta per poter dire tutto ciò che vuoi. Raccontare in pagina il miscuglio di lingue per era molto importante per rendere lo stato attuale della società nigeriana. I miei genitori parlavano Igbo, io lo Yoruba e di base, ogni nigeriano, è almeno bilingue. La lingua che parliamo dalla nascita forma la nostra mente; ciò finisce per avere evidenti ricadute politiche sul nostro agire. Ad esempio, nel libro, quando Padre e Madre litigano in inglese davanti ai figli, non fanno altro che creare barriere, usando la lingua straniera per allontanarsi».

A suo avviso, oggi l’Africa rappresenta una speranza o una fonte di problemi per il resto del mondo?

«Sinceramente? Entrambe le cose. Paesi grandi e popolosi come la Nigeria hanno dalla loro parte risorse naturali ricchissime. Tuttavia ci sono elementi negativi che complicano il quadro, soprattutto la vasta corruzione che ne rallenta la crescita, peggiorando enormemente la qualità della vita. Ciò significa che la maggior parte della popolazione fa di tutto per andare via dalla Nigeria, peggiorando la situazione».

I fenomeni di migrazione di massa possono essere una opportunità per il vecchio continente o saranno un problema da gestire?

«Ciascun paese dovrebbe essere capace di autogestirsi in libertà, nessuno dovrebbe essere costretto ad emigrare, a lasciare il proprio suolo per cercare un futuro. L’immigrazione di massa forzata non può giovare a nessuno».

FRANCESCO MUSOLINO®

FONTE: GAZZETTA DEL SUD, 29 MARZO 2016

Informazioni su Francesco Musolino

Francesco Musolino (Messina, 1981) è giornalista culturale e scrittore. Collabora con diverse testate nazionali, fra cui Il Messaggero, L’Espresso, Specchio e La Repubblica. Nel 2019 ha esordito con il romanzo L’attimo prima (Rizzoli, 2019), seguito dal saggio Le incredibili curiosità della Sicilia (Newton Compton, 2019) e nel 2022 pubblica "Mare mosso" (Edizioni e/o), un noir mediterraneo ispirato da fatti reali. Ideatore del no profit @Stoleggendo, membro del collettivo Piccoli Maestri, conduttore televisivo e docente di scrittura creativa.

Pubblicato il 2016/03/31, in Interviste con tag , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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