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“Perché abbiamo fallito così tanto?”. Chigozie Obioma racconta la sua Nigeria ne “I Pescatori”.
Lo scrittore nigeriano Chigozie Obioma è stato uno dei protagonisti della settima edizione della kermesse letteraria romana Libri come, già finalista del Man Booker Prize 2015. Classe ’86, grazie alla calda accoglienza di critica e pubblico per il suo libro d’esordio, “I Pescatori” (Bompiani, tradotto con cura da Beatrice Masini), è considerato dal New York Times l’erede di Chinua Achebe. Obioma racconta la vicenda di quattro fratelli, dai nove ai quindici anni – Ikenna, Boja, Obe e Ben – che nella Nigeria di fine anni Novanta, scoprono la libertà quando il Padre viene trasferito in una città distante. Ma conosceranno anche il male, incarnato nel mendicante Abulu, nella sua fosca profezia. Possiamo opporci al dolore, come possiamo restare legati alle persone scomparse senza farci sommergere dalla sofferenza? Al di là di ogni possibile paragone, oggi Obioma incarna una delle voci più interessanti e mature della letteratura africana, capace di raccontare la dura realtà senza bandire dalla pagina elementi fantastici, metaforici ed animisti. Una delle voci su cui scommettere in futuro. Leggi il resto di questa voce
«Gli Stati Uniti non sono il paese dei sogni». NoViolet Bulawayo si racconta
NoViolet Bulawayo è la prima donna di colore e africana ad essere stata finalista al prestigioso Man Booker Prize 2013, traguardo raggiunto con il suo romanzo d’esordio “C’è bisogno di nuovi nomi” (edito da Bompiani, pp. 265 €18). Un libro duro, doloroso ma anche ironico, narrato dal punto di vista di una bambina africana di dieci anni, Darling, e del suo colorito gruppo di amici (accanto a Darling ci sono Chipo, Bastard, Stina, Diolosa e Sbho) ogni giorno in strada a piedi scalzi e malandati, andando a caccia di guava per sopravvivere ai morsi della fame mentre il loro paese cade a pezzi. NoViolet Bulawayo racconta la durissima realtà dello Zimbabwe con il punto di vista candido, ironico e disincantato tipico dei bambini ma anche quando Darling finalmente andrà in America – nella seconda parte del libro – troverà una realtà difficile, molto lontana dal paese delle meraviglie e delle opportunità che le avevano imparato a far sognare. Ospite in questi giorni al Festivaletteratura di Mantova, NoViolet Bulawayo – nata in Zimbabwe e cresciuta negli Stati Uniti, ha cambiato il suo nome di battesimo per tributo alla memoria della madre, persa in tenerissima età – ha risposto alle nostre domande, senza lesinare i suoi personali dubbi in merito al valore degli interventi delle ONG del mondo occidentale nel Darfur, riportando in primo piano il dibattito sull’Aids, una catastrofe sanitaria troppo spesso relegata al silenzio dai mass media.
Questo libro è ispirato alla recente storia del suo paese, lo Zimbabwe. È stato un compito doloroso ma necessario?
«Assolutamente. Ha detto bene, questo è un libro doloroso e deludente perché è la storia di un paese che sta cadendo a pezzi. Ma era anche necessario raccontare una storia alternativa a quella narrata dai mass media, perché di alcuni aspetti non si era mai sentito parlare». Leggi il resto di questa voce
«Scrivere è il mio modo di guadagnarmi da vivere, di dare un senso al mondo». Will Self si racconta
Scrivere un libro mediante il flusso di coscienza joyciano e con un massiccio uso di corsivi al tempo dei social network, può sembrare un azzardo, una follia. Se poi il libro in questione trae spunto dal celebre “Risvegli” di Oliver Sacks per descrivere i pazienti colpiti da encefalite letargica e il dramma della generazione andata al fronte nella prima guerra mondiale, è chiaro che il reporter e scrittore britannico, Will Self, con “Ombrello” (ISBN pp. 368 €26,50 – traduzione di Gaja Cenciarelli, Andreina Lombardi Bom e Daniele Petruccioli) ha scritto un libro coraggioso. Ma soprattutto sorprendente, capace di una completa e straniante immersione in una narrazione sospesa. Protagonista è Audrey Death, prima operaia in una fabbrica di ombrelli, poi impiegata nell’industria bellica e suffragetta, colpita da encefalite letargica dopo la Grande Guerra; ma alla sua esistenza si mescolano quella dei fratelli Albert e Stanley e lo psichiatra Zack Busner che la prenderà in cura. Con queste premesse – il libro è stato finalista al Man Booker Prize 2012 –potremmo legittimamente aspettarci un libro accademico e invece Self riesce a portare in pagina il mondo là fuori, con in controverso amore fraterno, rifiutando di scrivere un libro per chi ha letto troppi libri… Leggi il resto di questa voce