Daša Drndić: «in che modo la vittima si trasforma in carnefice?». Grandi nomi al Festival Internazionale degli Scrittori a Firenze
Con “Il vestito dei libri” – la lectio magistralis del Premio Pulitzer Jhumpa Lahiri – e la premiazione del “Premio Gregor von Rezzori Giovani Lettori”, mercoledì 10 giugno a Firenze partirà la terza edizione del Festival degli Scrittori, la kermesse internazionale – realizzata da The Santa Maddalena Foundation, presieduta da Beatrice Monti della Corte, e curata da Alba Donati – che promuove l’incontro tra gli scrittori e il pubblico italiano, mediante incontri, reading e tavole rotonde sulla traduzione. Il Festival – che si concluderà venerdì 12 – vedrà la presenza di numerosi scrittori internazionali e italiani – fra cui segnaliamo Michael Cunningham, Andrew Sean Greer, Edmund White, Alberto Manguel, Antonio Scurati e Carmen Pellegrino (finalisti al Premio Campiello 2015), Aldo Nove, Alessandro Mari, Vanni Santoni e le giornaliste Rosa Polacco e Livia Manera Sambuy. Uno dei momenti più importanti sarà il recital “Casanova e dintorni: un viaggio nell’eros” con Alba Rohrwacher e Filippo Timi a dare voce all’eros libertino di Casanova (giovedì 11, ore 19) ma la kermesse è impreziosita anche dal Premio Gregor von Rezzori – Città di Firenze, giunto alla nona edizione. Quest’anno i cinque finalisti sono: Daša Drndić con “Trieste” (Bompiani – tr. di Ljiljana Avirovic); Andrew Miller con “Pura” (Bompiani – tr. di Sergio Claudio Perroni); Guadalupe Nettel con “Il corpo in cui sono nata” (Einaudi – tr. di Federica Niola); Vladimir Sorokin con “La giornata di un Opričnik (Atmosphere Libri – tr. di Denise Silvestri”); Tommy Wieringa con “Questi sono i nomi” (Iperborea – tr. di Claudia Cozzi e Claudia Di Palermo). Inoltre alla traduttrice Federica Aceto verrà assegnato il riconoscimento per la “migliore traduzione di un’opera di narrativa straniera”. La Gazzetta del Sud ha intervistato la scrittrice croata Daša Drndić autrice di “Trieste” (Bompiani). La protagonista principale del libro, Haya Tedeschi, è una donna anziana, che attende da 62 anni il ritorno a casa del figlio, un ufficiale delle SS entrato a far parte del programma segreto di Himmler: il progetto Lebensborn. La Drndić affronta con coraggio gli orrori del Novecento, ribadendo quanto sia attuale il pericolo della deriva ideologica con un libro che mescola ad arte lo stile del romanzo a quello saggistico.. Un romanzo indimenticabile. Forte e potente come un pugno allo stomaco.
Scrive per testimoniare, non per intrattenere, non per educare. Cosa significa?
«Non posso testimoniare quello che non ho vissuto, ma scrivo di eventi che accadono prima che io nascessi, perché tramite essi possiamo capire di più sulla nostra società, sul nostro modo di rapportarci alle persone, su noi stessi. Scrivo seguendo una sorta di musica interiore, credendo di avere qualcosa da dire. Tutto può essere messo in discussione, tranne la morte; per questo cerco di guardare gli eventi anche con una dose di umorismo».
Nel libro ci sono 44 pagine con i nomi dei 9.000 ebrei della cui morte l’Italia è responsabile. La rimozione delle colpe dell’Olocausto è ancora in atto?
«Le responsabilità dell’Olocausto oggi sono più o meno certe. Ma le domande sul male, sulla guerra, sulla nostra mancanza di sensibilità per l’altro, sull’ingiustizia, sulle paure dell’uomo e la sua viltà, sulla nostra esistenza in generale, beh, tutte queste domande rimangono sul piatto. L’Olocausto può servire come paradigma all’interno del quale potremmo sviluppare argomenti molto diversi.
Ad esempio?
«Per esempio, in che modo la vittima si può trasformare in carnefice? Forse è giunto il momento di osservare con più attenzione ciò che sta accadendo oggi con la Palestina».
Fra le pagine di “Trieste” ritorna più volte una domanda: come può il male di prendere possesso degli uomini?
«Questa è una domanda a cui molte menti di gran lunga più lungimiranti della mia, non sono stati in grado di rispondere in modo esaustivo. Ma lo scopo e il compito dell’arte è proprio quello di porre domande, non di imporre le risposte. Il dubbio è ciò che più conta di più. Come afferma Simone Weil, la guerra (tutte le guerre) ha la capacità di ridurre gli esseri umani a degli oggetti».
Per definizione, la Svizzera e la Croce Rossa sono emblemi di neutralità. Ma lei riporta la tragica testimonianza di Elvira Weiner che porta alla luce una tragica verità…
«Verissimo. Ma in definitiva, nessuno e niente in questo mondo può dirsi neutrale. Cosa significa neutrale? Neutro non ha odore né sapore né forma. Neutro significa nulla. Ma in alcune circostanze, tale “nulla” può diventare persino pericoloso. I media con la loro neutralità possono divenire mezzi di cieca obbedienza, servilismo e conformismo. E invece dovrebbero essere strumenti capaci di indurre il progresso o il cambiamento. La neutralità è una grande fan dello status quo».
Storicamente, le crisi economiche spalancano la porta alla deriva delle ideologie in Europa. Con la Libia almeno parzialmente in mano al califfato dell’IS, quanto è seria la situazione secondo lei?
«Penso che dovremmo essere molto preoccupati. Non è solo la Libia che è in pericolo, e non è solo l’Isis la causa della destabilizzazione in atto. Il mondo stesso è “on fire”. Pensiamo alle tante guerre in corso sino ai poteri invisibili e assai influenti, gestiti da coloro che detengono il potere monetario e politico. Oggi i partiti di estrema destra stanno alzando la testa – in tutto il mondo – le aziende multinazionali e la globalizzazione sono potenzialmente assai pericolosi. La povertà è in aumento mentre il consumismo sta consumando la mente umana e la capacità dell’uomo di pensare e decidere per se stesso».
Un recente sondaggio mostra che una gran parte del popolo tedesco non vuole ricordare la Shoah. Riusciremo a mantenere viva la memoria della Shoah, anche nelle generazioni future?
«Al contrario, la Germania ha fatto davvero tanto dal punto di vista del processo di denazificazione. Per oltre 60 anni, e non sempre con forte consenso, la Germania ha sistematicamente lavorato per sensibilizzare i cittadini sulle conseguenze della seconda guerra mondiale e sull’Olocausto. Tuttavia, diversi paesi hanno invece mostrato scarsi tentativi di chiarire il passato, di volerlo affrontare di petto facendo luce sulle responsabilità oggettive che queste stesse nazioni, e il loro popolo, hanno avuto rispetto all’Olocausto o ad altre guerre. Per esempio la Polonia, o l’Austria, o in Croazia o della Serbia, o la stessa Italia».
FRANCESCO MUSOLINO®
FONTE: GAZZETTA DEL SUD, 9 GIUGNO 2015
Pubblicato il 2015/06/10, in Interviste con tag aceto, alba donati, andrew miller, bompiani, campiello, carnefice, drndic, firenze, israele, livia manera sambuy, male, mari, novecento, olocausto, orrore, pellegrino, pincio, polacco, scurati, trieste, vittima, von rezzori. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
Lascia un commento
Comments 0