«Il lato oscuro insito in tutti noi mi ossessiona». Gianrico Carofiglio si racconta
Il passato torna a bussare nei modi più diversi a ciascuno di noi. Ad Enrico Vallesi, scrittore cinquantenne che ha assaggiato le gioie del successo troppo poco e troppo in fretta, basta sfogliare un quotidiano al bar per veder riaffiorare un passato che credeva sepolto e dimenticato, tanto da spingerlo a lasciare Firenze per tornare nella sua Bari, la stessa città da cui era fuggito ancora adolescente. Ne “Il bordo vertiginoso delle cose” (Rizzoli, pp. 320 €18,50), il nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio – ex magistrato da anni scrittore a tempo pieno – il lettore viene condotto in un viaggio narrativo su un doppio binario, da un lato i tormenti di Enrico e dall’altro le esperienze di vita di un adolescente, in bilico fra la tenera passione amorosa e la potente attrazione verso il lato oscuro della violenza. Un romanzo che è la storia di un ricongiungimento, ambientata nella Bari degli anni ’70, narrata parte in seconda e parte in prima persona, in cui Carofiglio disegna una trama che si ricollega idealmente ad un suo grande successo, “Il passato è una terra straniera” (Rizzoli, 2008), seguendo il destino del suo protagonista sino a cogliere una verità sottile. La sorte di noi tutti – di Enrico, scrittore senza ispirazione come del violento amico di infanzia, Salvatore Scarrone – sembra infatti segnata da un peregrinare quotidiano “sul bordo vertiginoso delle cose”, esplicito omaggio alla delicata poesia di Robert Browning da cui l’autore ha tratto il titolo per questo nuovo romanzo. Giunto in Sicilia per il tour promozionale del suo libro, ho chiacchierato con Gianrico Carofiglio spaziando fra la sottile linea che separa il successo dall’insuccesso, il potere della scrittura e la fascinazione verso il lato oscuro della vita…
Raggiunto da una brutta notizia e in piena crisi creativa, il suo protagonista decide di rientrare a Bari, la sua città natìa. Eppure “tornare sui propri passi può essere pericoloso…”
«Sì, perché si scoprono cose di cui non c’eravamo accorti quando stavamo facendo il viaggio d’andata e non sempre sono cose piacevoli. Quasi sempre si finisce per comprendere qualcosa su noi stessi che ci era sfuggito ma, pur essendo un’attività rischiosa, delle volte è necessario tornare sui propri passi per riuscire a ritrovarsi».
Questo libro sembra contenere due romanzi, oscillando fra il tempo presente e quello passato. Come mai questa scelta?
«È sempre molto difficile rispondere a questa domanda perché è arduo razionalizzare il processo di scrittura. L’idea originaria era quella di raccontare l’iniziazione alla violenza di un ragazzo normale, l’incontro tra Enrico Vallesi e un ragazzo più grande ed esperto dei fatti della vita e dei suoi aspetti più brutali. Partendo da questa idea si è sviluppato tutto il resto, compresa la storia che si svolge nel presente, poi divenuta centrale nel libro. A ben vedere, racconto la storia di un ricongiungimento».
Nel libro oscillano due punti di vista, la seconda persona alternata con la prima…
«E’ stato un accidente. Sono inciampato nel “tu” come forma narrativa, scrivendo una pagina intera in seconda persona senza accorgermene. Avrei dovuto scriverla in terza ma quando l’ho riletta ho pensato che dovevo provare ad andare avanti. Solo scrivendo mi sono reso conto che avevo trovato la voce che cercavo…».
Il combattimento e il tirocinio alla violenza sono metafore legati alla creatività ed è noto che lei pratica il karate. L’ha cambiata la pratica delle arti marziali?
«Le discipline di combattimento e gli insegnamenti ad essi legate, si prestano a potenti metafore, a patto di non esagerare. Ho praticato il karate sin da ragazzino e tuttora lo faccio con moderazione. Posso dire, senza enfasi, che mi ha cambiato la vita, mutando la mia routine e il mio modo di pensare. Sarei una persona diversa se non avessi praticato le arti marziali, non so dire se migliore o peggiore».
Il titolo originario del libro doveva essere un altro, poi cos’è accaduto?
«Sono inciampato in questo verso di Robert Browning, “a noi preme soltanto il bordo vertiginoso delle cose”, e ho subito pensato che volevo prendermelo, del resto l’impulso al furto è parte essenziale della creatività. Dopo qualche ora ho capito che semplicemente citarlo non sarebbe bastato, perché quelle parole coglievano appieno il senso del romanzo che riguarda il camminare sui bordi frastagliati e scoscesi, su dei precipizi di cui spesso non ci accorgiamo e su quali possiamo piombiare anche nella più banale quotidianità».
Il confine con il lato oscuro, con la violenza insita nelle nostre vite, era importante anche ne “Il passato è una terra straniera”. È un tema che la affascina?
«Sì, mi affascina molto e il riferimento a “Il passato è una terra straniera” è davvero appropriato perché in qualche modo questo romanzo è una sua prosecuzione tematica, condividendone anche alcuni aspetti. A ben vedere, il tema del lato oscuro insito in ciascuno di noi, è un tema che mi ossessiona più che affascinarmi semplicemente».
In Italia tutti, o quasi, sembrano avere l’ossessione di diventare famosi. Nel suo libro sottolinea come fra successo e insuccesso corra una sottile sfumatura…
«Esatto, è una sfumatura. Si tratta di cogliere quella sottile e assai sfuggente distanza di cui è assai difficile essere consapevoli».
Il suo protagonista è uno scrittore che incappa in un blocco creativo. Teme che possa accadere anche a lei?
«Credo che scrivere sia un fatto artigianale. Ovviamente è uno spauracchio per tutti gli scrittori ma credo che per evitare il blocco dello scrittore, molto semplicemente, mi limiterei a scrivere. Mi rendo conto che può sembrare una banalità ma, secondo alcuni manuali, può servire anche scrivere frasi senza senso o comunque non pertinenti con ciò che si vuole raccontare. Credo che il medesimo gesto fisico dello scrivere, possa attivare le dinamiche mentali del raccontare».
Scrivere cosa significa per lei? Può avere un potere terapeutico?
«C’è qualcosa di più del terapeutico. Noi viviamo immersi nelle storie, per cui raccontarle è un po’ come respirare. Magari non ne siamo consapevoli ma continuamente cerchiamo di dare un senso a quello che ci accade anche se spesso è indistinto o privo di razionalità. Ma noi dobbiamo provare a trovare un nesso e lo facciamo costruendo delle storie, sia nella vita quotidiana che creando racconti e romanzi».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, 18 dicembre 2013
Pubblicato il 2013/12/19, in Interviste con tag arti marziali, blocco dello scrittore, bordo, bordo vertiginoso delle cose, carofiglio, Enrico Vallesi, francesco musolino, gianrico, gianrico carofiglio, guerrieri, Il passato è una terra straniera, incipit, insuccesso, ispirazione, lato oscuro, passato, realtà, riti, rizzoli, Robert Browning, scrittura, successo, superficie, tagliente, terra straniera, vertigine, violenza. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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