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Fuggire ovvero la storia vera di Christophe André, disegnata da Guy Delisle.

L’artista francese Guy Delisle è stato fra gli ospiti più attesi alla neonata kermesse milanese “Tempo di Libri” presentando il suo nuovo lavoro, “Fuggire. Memorie di un ostaggio”, pubblicato da Rizzoli Lizard (pp. 432 euro 22). Artista di spicco nel panorama del graphic novel, Delisle (classe ’66) è un punto di riferimento del graphic journalism – reportage disegnati a fumetti – scegliendo di porsi al centro delle storie che disegna come in “Shenzhen” (2001), “Cronache Birmane” (2007) e “Cronache da Gerusalemme” (2012), tutti editi da Rizzoli Lizard in Italia. In questo nuovo lavoro, abbandona la sfumatura comico-surreale, scegliendo di raccontare la vicenda Christophe André, responsabile delle finanze e dell´amministrazione di Medici Senza Frontiere nel Caucaso, rapito l’1 luglio del 1997 e rimasto ben 111 giorni ostaggio di criminali ceceni, sino alla rocambolesca fuga finale. Questa intervista per Gazzetta del Sud è stata anche l’occasione propizia per poter parlare anche delle elezioni in patria e delle tensioni USA-Corea del Nord, del resto Delisle nel 2003 ha pubblicato “Pyongyang”, dove narrava la propria personale esperienza nel regime di Kim Jong-Un.

Come mai per raccontare la storia di Christophe ha scelto di sottrarsi, raccontando tutto dal punto di vista di Christophe?

«È stata una scelta difficile. Sin dall’inizio è stato necessario coinvolgere Christophe nel processo di lavorazione. Mettere delle parole nella bocca di qualcun altro era qualcosa di inedito per me, mi sentivo in difficoltà, soprattutto non volevo allontanarmi dalla verità. Ho iniziato a scrivere e via via gli mandavo le tavole. All’inizio lui correggeva qualcosa, aggiustavamo il tiro e piano piano ho capito il personaggio e quell’atmosfera claustrofobica che è la chiave della storia. Non volevo che avesse nessuna brutta sorpresa, per questo era fondamentale poter lavorare fianco a fianco con lui».

Perché ha scelto di raccontare la sua storia?

«Ho letto i fatti sul giornale e avevo degli amici in comune che facevano parte di Medici senza frontiere. Finché una sera ci siamo trovati insieme a cena. Pensavo non avesse alcuna voglia di raccontare ciò che gli era accaduto ma in realtà lui non si sente traumatizzato, perché si è riscattato riuscendo a fuggire. Lo ascoltavo parlare ed ero incollato ad ogni sua parola. Gli ho proposto subito di fare un fumetto e lui ha accettato subito».

Voilà?

«Sì ma non è stato così semplice iniziare a lavorare su questa storia. Ci ho messo del tempo per trovare il ritmo e la sintonia con una materia così delicata».

Dover raccontare una lunga prigionia ovvero la stessa stanza senza tracce di mobilio né elementi esotici, è stato arduo?

«Esattamente ma sapevo in che tipo di storia mi stavo imbarcando. Non avevo intenzione di aggiungere elementi stravaganti o inquadrature particolari. Tutta l’attenzione doveva essere centrata sul trascorrere del tempo durante la sua prigionia, sul senso di impotenza dell’ostaggio. Questa è una storia vera, non un film hollywoodiano. Avevo bisogno di sobrietà per riuscire a far percepire al lettore come si è sentito Christophe».

Christophe non era una pedina fondamentale in quella ONG. Il fatto che sia un uomo qualunque fa più paura?

«Ha ragione. È la storia vera di una persona normale che si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. La sua storia mi ha colpito subito perché è davvero molto facile proiettarsi al suo posto, immaginarsi su quel giaciglio, con il polso incatenato al termosifone, con un secchio per i propri bisogni e nulla da fare se non aspettare e ipotizzare scenari di fuga o la reazione al suo ritorno a casa».

Ad un certo punto Christophe potrebbe afferrare il fucile di un rapitore ma non coglie l’attimo. E lei, l’avrebbe fatto al suo posto?

«No. Lo so con certezza. E dopo quando si ritrova da solo deve convincersi d’aver fatto bene a non essere impulsivo».

Lei è stato a Pyongyang. Noi europei non sappiamo praticamente nulla di quella realtà, cosa dobbiamo aspettarci?

«Forse dovremmo chiederci se per noi sia più pericoloso Kim Jong-Un o Donald Trump. Del resto la settimana scorsa Trump ha scagliato missili su una base in Siria e poi ha puntato la sua attenzione sulla Corea del Nord ma oggi già pensa a qualcos’altro…».

FRANCESCO MUSOLINO®

FONTE: GAZZETTA DEL SUD