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«Un libro testimonianza dedicato alle donne che soffrono e si vergognano». Katherine Pancol racconta le sue “Muchachas”

Katherine Pancol

Katherine Pancol

«Io non potevo intervenire, l’unica cosa che potevo fare era scriverne. Sono una scrittrice, è questa la mia forza». Così la scrittrice Katherine Pancol racconta la sua reazione, umana e comprensibilmente terrorizzata, davanti alla scena di violenza contro una madre incinta che per anni le ronzò nella mente prima di dar vita al suo nuovo libro, “Muchachas” (Bompiani, pp.340 €10). In realtà si tratta di una trilogia, (dal 1° ottobre è in libreria il secondo volume, pp.320 €17) con protagoniste principali tre giovani donne assai diverse – Hortense, Josephine e Stella – rimbalzando fra Parigi, Londra, New York e Miami, fra il mondo dell’alta moda e quello delle acciaierie della Borgogna, tessendo una rete di intrecci che finirà per legare i loro destini così, apparentemente distanti. Al centro del primo volume – che, con un abile gioco di prestigio, comincia con la leggerezza della voce di Hortense Cortés – c’è la storia crudele di Léonie e del suo marito/carnefice Ray che la tiene in scacco e ne fa la preda delle sue vessazioni violente e mortificanti. Stella, giovane madre e figlia di Léonie, lotterà per tutto il primo volume per salvarla dalle continue percosse ma le sorprese sono dietro l’angolo. E se oggi il femminicidio è protagonista di numerosi libri, il merito della Pancol – già autrice best-seller con “Gli occhi gialli dei coccodrilli” – è quello d’aver saputo ricreare con una prosa sempre fluida, il clima di tensione della vita di provincia parigina, in cui tutto sanno cosa avviene in camera da letto con il perenne timore di farsi avanti. Del resto, il primo ad essersi accorto del talento di questa autrice nata a Casablanca nel 1954, fu un certo Romain Gary

Madame Pancol alla fine del libro lei racconta cosa la spinse a scrivere Muchachas.

«Ero in un caffè a Nizza, l’estate di un paio d’anni fa, quando vidi un uomo sedersi con una donna incinta e due bambini al seguito. Lui la rimproverava duramente finché la schiaffeggiò con forza, più volte. La raggiunsi in bagno, volevo offrirle aiuto ma lui ci raggiunse, mi disse di andarmene altrimenti l’avrebbe picchiata ancora proprio lì. Ma ciò che mi colpì fu lo sguardo di quella donna. Mi supplicava di andare via, come se pensasse di meritare quella punizione, la crudeltà del proprio uomo. Io non potevo intervenire, l’unica cosa che potevo fare era scriverne. Sono una scrittrice, è proprio questa la mia forza». Leggi il resto di questa voce