Giulia Valsecchi: «Nella valigia del viaggiatore perfetto non c’è spazio per gli stereotipi»
«Il destino di una città può formare il carattere di una persona». Partiamo da questa frase per parlare di Istanbul. Dalla finestra di Pamuk (edizioni Unicopli; pp. 179; €12), allo stesso tempo una guida letteraria e un diario di viaggio che l’autrice, la bergamasca Giulia Valsecchi, ha dedicato ad una città troppo spesso schiava del pregiudizio occidentale: «mi piace sempre dire che Istanbul è un luogo difficile da scansare, un rombo che può scatenare solo reazioni forti. Ecco perché ritengo che certi cosiddetti rischi di ossessione islamica siano da commisurare alla sua varietà di luogo dolente e sublime».
Laureata in Lettere Moderne (e in seguito diplomata presso la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano), la Valsecchi ha speso parecchi mesi per ricercare fonti letterarie su Istanbul, costruendo un percorso a più voci lungo l’arco di due secoli. Il risultato è un diario di viaggio ma anche un omaggio ai Maestri della letteratura, da Brecht a Pamuk. Un libro da tenere sul comodino per viaggiare con l’immaginazione come Salgari o da mettere in valigia, con fiducia. Marta Ottaviani nella Presentazione, scrive che “non tutte le città meritano d’essere raccontate, è un privilegio che spetta a poche”.
Perché hai scelto di raccontare Istanbul?
Istanbul nasce dall’incontro felice con un editore fiducioso e attento, Unicopli, e una collana, Le città letterarie, che continua a mettere radici nel legame tra i luoghi e le finestre letterarie che li raccontano o li hanno raccontati mediando tra ricordi e immaginazione. La scelta si è poi mossa tra suggestioni e umori avvertiti da tempo, sfociati a più riprese nella lettura dei romanzi di Pamuk e nella visione, ormai qualche anno fa, del Bagno turco di Ferzan Ozpetek. E, in più, le stratificazioni di questa città tra due sponde da sempre hanno attratto la mia scrittura, oltre che il mio interesse verso i rapporti altrettanto oscillanti e contaminati tra le derive filo-islamiche e la questione femminile che però qui ho solo sfiorato.
Hai scelto di raccontare questa città mediante «tradizioni ed esperienze» sia proprie che altrui. Al vertice, sin dal titolo, si trova Pamuk e proprio “La valigia di mio padre” sembra aver giocato un ruolo particolare per la nascita di questo libro, vero?
Certamente, La valigia di mio padre è stato ed è tuttora per me un libriccino fondamentale come altro luogo d’origine. Mi spiego meglio: in quel breve saggio, Pamuk svela anzitutto una dichiarazione d’intenti rispetto al valore della parola in grado di penetrare nelle “fessure o crepe” meglio di ogni altra proposta rivoluzionaria o linguaggio. Descrive un’eredità cospicua da parte del padre e così la fatica dello scrittore, il suo attaccamento spasmodico alla solitudine creatrice. Per queste stesse ragioni, proporre una guida letteraria affacciandosi con la massima modestia alle finestre di uno più autori ha significato per me non solo un esordio attraverso Istanbul, ma una seconda valigia da lasciare in eredità al lettore proprio come fece il padre di Pamuk. Spero che questa volontà passi in ogni pagina ma, lo ripeto, da intendersi come tentativo, sforzo, scommessa dell’anima.
Il tuo libro è ricco di citazioni che arricchiscono, impreziosiscono il tuo resoconto personale. Come hai costruito questo racconto a più voci?
La prima parte del mio lavoro si è svolta per mesi alla ricerca dei materiali letterari, delle testimonianze da estrapolare e romanzi da scomporre per individuare una linea continua, anzitutto tra alcuni autori a cavallo degli ultimi due secoli. Se dunque Pamuk è stato l’albero maestro, le altre voci si sono insinuate o hanno preso il sopravvento per ribadire assonanze perlopiù percettive, fatte di immagini che volevo risultassero vivide al lettore. Mi piace non a caso paragonare questo viaggio a una traversata per mare: la consegna impervia che prevedeva di inserire già dai titoli dei percorsi chiave, mi ha aiutata a non disperdermi. E, in un secondo momento, è stato vitale mettere piede a Istanbul anche solo per pochi giorni. Meta e rapporto essenziale con la “terra” per riempire la prima pagina.
Mi incuriosisce molto l’epigrafe scelta per il tuo libro e del resto, il termine “Maestro” ritorna diverse volte nel testo…
Sì, è vero. E, dal momento che credo fortemente che nulla avvenga per caso, posso dare almeno due motivazioni della ricorrenza di questo termine. Una di carattere più strettamente autobiografico tocca appunto la dedica del libro e riguarda una figura centrale nella mia formazione e purtroppo venuta a mancare solo un anno fa. L’altra, di natura più universale, legata invece a come si possa interpretare un Maestro nel senso di una guida d’osservazione. Ho citato Brecht, ma per me Maestro è chiunque combatta per quelle fessure troppo deboli se lasciate sole a definire il mondo per inerzia. Provare a delineare la polifonia di una città richiede sempre delle braccia più forti cui affidarsi…
Nel 2010 Istanbul è stata la capitale europea della Cultura. Ma che città è oggi Istanbul? A tuo avviso che influenza avrà sul suo sviluppo la lotta fra il mondo laico e quello religioso?
«Credo che la presenza di Istanbul come Capitale europea della Cultura sia stato il prologo a un’accettazione necessaria delle contraddizioni che questa città immensa incarna e che, in misura minore, riflettono quelle mondiali. Sia l’onestà di veder dialogare senza indiscrezioni donne velate e giovani più sfrontate o, ai nostri occhi europei, semplicemente libere. Il privilegio di irrompere come doppia riva e storia molteplice da secoli è un monito perenne a non sottovalutare la sua ricchezza. A questo proposito, mi piace sempre dire che Istanbul è un luogo difficile da scansare, un rombo che può scatenare solo reazioni forti. Ecco perché ritengo che certi cosiddetti rischi di ossessione islamica siano da commisurare alla sua varietà di luogo dolente e sublime. Se sapessimo varcare anzitutto i nostri “terrori”nazionali, potremmo ammirare le dorature ed eviteremmo di farci pungolare tanto facilmente dagli stereotipi.
Francesco Musolino®
Pubblicato il 2010/11/05, in Interviste con tag brecht, islam, istanbul, padre, pamuk, pregiudizi, tempostretto.it, uniclopi, valigia, valsecchi. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
Lascia un commento
Comments 0