Concita De Gregorio: «il dolore fa male ma noi dobbiamo saper tornare al mondo»
Irina Lucidi ha perso le tracce delle sue due gemelle di sei anni – Alessia e Livia – il 31 gennaio 2011. L’ex marito Mathias Schepp le rapisce e dopo 5 giorni di viaggio, attraverso la Francia e la Corsica, arriva a Cerignola in Puglia, posteggia l’auto, va in stazione e si fa travolgere dal treno. Nessuna notizia delle due bimbe, la cui sorte resterà sepolta nell’oblio. Mathias lascia però un biglietto che non lascia spazio alla speranza: «le bambine non hanno sofferto, non le vedrai mai più». Una vicenda che ha scosso l’opinione pubblica con un impatto emotivo fortissimo rivelando l’approssimazione delle indagini svolte dai gendarmi svizzeri, incapaci di ammettere la possibilità che un uomo stimato dalla comunità potesse macchiarsi di queste efferate colpe, tanto che alla fine proprio Irina, la vittima, è stata isolata e silenziosamente condannata. Oggi Irina ha quasi 50 anni e ha voluto raccontare la sua vicenda a Concita De Gregorio – giornalista, scrittrice e mamma di quattro figli – fortemente consapevole del potere terapeutico insito nelle parole. Il frutto di questo incontro è il libro “Mi sa che fuori è primavera” (Feltrinelli, pp.122 13€), un testo asciutto, empatico nel modo in cui racconta il dolore, nel pesare le nostre colpe per ciò che ci accade. Oggi Irina ha ritrovato l’amore e difatti questo libro racconta anche la possibilità di ricominciare un giorno anche ad essere felici, nonostante tutto.
Perché raccontare questa storia?
«Non volevo scrivere di fatti di cronaca nera ma Irina, ha fortemente voluto incontrarmi. Voleva parlarmi. Mi ha raccontato che in questi cinque anni ha provato ad attraversare il dolore in molti modi. La lettura l’ha aiutata a capire e “Così è la vita” – un mio libro in cui parlo della morte spiegandola ai bambini – l’ha condotta sino a me. La sua richiesta di parlarmi era dunque legata alla parola, alla forza dell’atto di raccontare ma Irina è stata chiara da principio: veniva da me per trovare ascolto, non per cercare le bambine».
«In questi anni l’unico tentativo che non aveva fatto era proprio quello di raccontare la vicenda, trovando qualcuno che potesse farlo per lei, trovando le parole giuste. Del resto la funzione della letteratura è proprio quella di narrare il mondo, la realtà, no?»
Cosa l’ha spinta a scriverne?
«I fatti sono noti e non avevo intenzione di svolgere un’indagine giornalistica; mentre Irina raccontava i fatti ho sentito sempre più forte la voglia di vestire i suoi panni, ripercorrendo l’arco della sua sofferenza con le parole. Mi sono convinta che questa storia raccontasse non soltanto la sofferenza di Irina ma quella di noi tutti, il perché di ciò che ci accade ogni giorno, eludendo ogni nostro possibile controllo. Le cose a volte le cose succedono e basta, senza riguardo per i nostri meriti e le nostre colpe. Ho ascoltato il suo racconto che per me ha avuto lo stesso effetto di una medicina, una di quelle amare che però riesce a farti guarire».
Questa storia infrange diversi stereotipi legati alle donne vittime di violenza. È venuto il momento di rompere anche i recinti mediatici?
«Questo è un punto molto interessante. Irina è un avvocato di fama internazionale, una donna forte che ha tutti gli strumenti necessari, dall’indipendenza economica a quella culturale. Irina è una donna che mi somiglia. Irina non ha debolezze materiali da colpire e proprio il movente ovvero cosa la metta in condizioni di non reagire ai soprusi psicologici del marito è uno dei punti chiave di questa storia. In fondo si tratta di una vita di coppia in bilico sulla normalità: una bellissima casa, due ottimi lavori, due belle bambine da crescere nella perfetta Svizzera, in una piccola comunità dove tutti si conoscono. Quante persone conosciamo che hanno un’ansia da controllo come Mathias? Lui è molto stimato dagli amici e sul lavoro tanto che alla fine è proprio Irina ad essere isolata…».
È un grande paradosso, no?
«Certo, ma lei è una donna italiana che lavora e non sta con i figli e un tassello alla volta finisce per esporsi al pregiudizio che scopriamo essere molto forte anche nella Svizzera senza apparenti difetti. Irina vorrebbe che le indagini partissero subito e nonostante abbia tutte le ragioni per essere terrorizzata circa la sorte delle proprie bambine, nessuna la ascolta, nessuno crede sia possibile che uno stimato professionista possa compiere questi efferati delitti. In questa vicenda anche la cieca burocrazia gioca un ruolo terribile».
Credo che la chiave del libro sia in fondo una domanda. È possibile superare un dolore così forte come la scomparsa di due figlie e tornare un giorno ad essere felici?
«Le vittime passano spesso per essere colpevoli perché se ne vergognano per via di una censura sociale. Del resto è capitato a chiunque di rendersi conto che pochi vogliono sentire il racconto dei nostri drammi, questo è un mondo in cui chi perde viene lasciato solo. Mettersi nei panni delle vittime significa rivivere l’isolamento e la condanna, proprio come è accaduto ad Irina. Nella nostra società perdere è diventata una colpa e così chi vince ottiene dalla propria parte anche la ragione, il consenso. Questa è la suprema ingiustizia, credo».
Ma è possibile venirne fuori, ricominciare a vivere?
«Certo, ma è davvero difficile. Bisogna riuscire a mettere da parte il proprio risentimento altrimenti questo finirà per macchiare ogni cosa. Solo così facendo sarà possibile vivere piccoli momenti di gioia in cui qualcosa succede. La felicità, la ricerca del benessere, ci spinge ogni giorno ad andare avanti anche inconsapevolmente. Ma non esiste una felicità solitaria e solo chi riesce a rimettersi in pista può sperare di tornare a sorridere e un giorno, forse, ritrovare l’amore. Perché il dolore fa male ma non ti uccide e noi dobbiamo essere capaci di saper tornare al mondo».
FRANCESCO MUSOLINO®
Fonte: La Gazzetta del Sud, 25 agosto 2015
Pubblicato il 2015/09/20, in Interviste con tag amore, concita, de gregorio, dolore, feltrinelli, intervista, irina lucidi, premio strega, primavera, repubblica, schepp, scomparse, svizzera, unità, vendetta, vincitori, vinti. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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