Edoardo Albinati: «Ogni insegnante, a suo modo, è un insegnante di frontiera».
«Per indole non sono una persona né fredda, né ansiosa. Ma l’entusiasmo con cui Rizzoli sta affrontando la candidatura al Premio Strega mi ha sorpreso e contagiato». L’8 luglio potremo tirare le somme ma oggi il favorito per la vittoria della 70esima edizione del Premio Strega è proprio lui, Edoardo Albinati – stimato scrittore, traduttore e documentarista – che con il suo romanzo “La scuola cattolica” (Rizzoli), racconta l’Italia degli anni Settanta, centrando l’attenzione sul quartiere Trieste di Roma, quello della cosiddetta “Roma bene”. Albinati racconta vissuto di tanti alunni, cresciuti nel rigido alveo dell’educazione cattolica, della mortificazione dei corpi per elevare lo spirito. Fra i tanti ex alunni che frequentavano la scuola cattolica – ovvero l’Istituto romano del San Leone Magno – con stupore, l’autore riconoscerà quegli estremisti di destra – Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira – che compirono il brutale delitto del Circeo, abbordando due ragazze d’umili estrazioni – Rosaria Lopez e Donatella Colasanti – per violentarle e seviziarle. La Lopez morì in seguito alle violenze, la Colasanti, miracolosamente, sopravvisse. A lungo sopito, questo racconto, misto di fatti e finzione, è il cuore di un romanzo coraggioso che ha conquistato la critica. Albinati (nato a Roma nel ’66) apprezzato romanziere (autore fra gli altri di “Orti di guerra” e “Oro colato”) e sceneggiatore de “Il racconto dei racconti” per Matteo Garrone, da oltre vent’anni lavora come insegnante al penitenziario di Rebibbia.
Che valore ha l’insegnamento in carcere? Ha qualcosa a che fare con la redenzione?
«Redenzione di chi? Forse in parte mia. Con il mio lavoro punto a fare in modo che una piccola parte del tempo passato in carcere possa essere più utile e degna. Oggi nelle carceri italiane il 90% detenuti, per ventiquattro ore al giorno, non fa assolutamente nulla. Per questo spero che almeno nel tempo della scuola, possano ripensare al proprio ruolo, alla propria condizione umana. Faccio questo mestiere da oltre vent’anni, in parte è una fuga dal mondo e in parte un lavoro come altri».
«Credo che ogni insegnante sia a suo modo, un insegnante di frontiera».
Riguardo al valore della pena cosa ne pensa?
«In Italia, per larga parte, prevale il lato punitivo. E punire il detenuto, a mio avviso, somiglia ad una rappresaglia da parte della società. Purtroppo l’aspetto rieducativo in Italia è assente. Ciò significa che solo il detenuto può lavorare su stesso con il passare del tempo. Ma non sempre accade».
Perché ha deciso di raccontare tutta la vicenda solo adesso, come conseguenza del nuovo delitto commesso da Izzo nel 2005, in condizione di semilibertà?
«Avevo sempre scartato questo materiale come base narrativa ma la nuova violenza mi ha costretto a riflettere sulla necessità di raccontare quei fatti, ormai sepolti nel tempo. Ho pensato che potesse essere interessante raccontare non tanto quei delitti – su cui si è già scritto tanto e con minuzia – quanto l’ambiente borghese, la scuola cattolica dove tutto questo aveva lentamente preso forma. Se da un punto di vista letterario il delitto e la violenza mi ripugnavano, poter ricostruire l’atmosfera, gli anni dell’adolescenza, era una grande tentazione. Per questo motivo credo che uno dei protagonisti del romanzo sia proprio il quartiere Trieste di Roma, in cui tutto, o quasi, accadde».
Le dimensioni del suo romanzo sono imponenti.
«Eppure non l’avevo preventivato. Sapevo che sarebbe stato un romanzo corposo ma solo con la vera e propria redazione del libro ci siamo resi conto – non senza sgomento – della sua effettiva dimensione. Sgomento d’entrambi, tanto mio che dell’editore. Poi ho rifinito tutto e pensi che durante la revisione ho eliminato ben 2600 avverbi».
Il suo libro verrà presto tradotto in numerosi paesi, fra cui l’Olanda (da parte di Manon Smits per la Atlas Contact). Resterà invariato rispetto all’edizione italiana?
Nella versione italiana cartacea, i quaderni del professor Cosmo sono già stati ridotti di un terzo rispetto alla versione integrale digitale. Si tratta di una sorta di romanzo nel romanzo e in traduzione potrebbero essere ulteriormente ridotti. Piuttosto c’è un capitolo intraducibile, quello delle espressioni desuete che andrebbe riscritto in toto da ogni traduttore per il proprio paese».
Lei è considerato il favorito per il Premio Strega. Facciamo gli scongiuri?
«Sono calmo e tranquillo. L’agitazione relativa ricade in toto sul mio editore ma mi ha conquistato l’entusiasmo con cui il libro è stato accolto».
FRANCESCO MUSOLINO®
MAGGIO 2016, GAZZETTA DEL SUD
Pubblicato il 2016/05/21, in Interviste con tag albinati, atlas contact, circeo, frontiera, izzo, libertà, manon, rebibbia, rizzoli, roma bene, rossi, scuola cattolica, strega. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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