Archivi Blog

Umberto Ambrosoli: «Mio padre, un eroe borghese»

«Sono convinto che in unʼItalia in cui si ha sempre più paura delle responsabilità, in un paese nel quale i furbi hanno sempre più potere, lʼesempio di mio padre possa essere utile». Umberto Ambrosoli è il terzo figlio di Giorgio, lʼavvocato che ebbe il compito di liquidare la Banca Privata Italiana ormai sommersa dai debiti ma protetta dai “poteri forti” e per tale motivo venne ucciso a Milano sotto casa, in via Morozzo della Rocca, nella notte tra lʼ11 e il 12 luglio del 1979 da un killer giunto dallʼAmerica e pagato da Michele Sindona. Quella notte i suoi figli avevano undici, dieci e otto anni. Oggi Umberto di anni ne ha 38: ha tre figli ed è avvocato come il padre e a 30 anni dalla sua morte ha scritto un libro toccante: Qualunque cosa succeda (Sironi editore; pp. 317, euro 18). Il titolo del libro prende spunto da una ormai celebre lettera trovata dopo la morte nella borsa del padre, quasi un testamento morale dedicato alla moglie: “Eʼ indubbio che pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata unʼoccasione unica di far qualcosa per il Paese (…). Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto”.

Oggi Umberto Ambrosoli, invitato dallʼAssociazione “Amici di Onofrio Zappalà”, incontrerà gli studenti del Liceo Classico di Santa Teresa di Riva e alle ore 18, presso i locali dell’Antica Filanda di Roccalumera, incontrerà i suoi lettori.

Un libro nato sei anni fa in sala parto.

«In un certo senso sì. In quel contesto è nato per la prima volta il pensiero di volontà di migliorarlo, di dargli lustro. Una parte dʼItalia che va valorizzata perché cʼè ma talvolta sembra messa da parte, debole, come se tutti fossimo obbligati da una forza maggiore ad accettare il compromesso, la rinuncia agli ideali. Ecco, questa storia ci mostra che non è così. Tutti abbiamo la possibilità di decidere, tutti abbiamo la possibilità di contribuire e di dare lustro al nostro ruolo di cittadini».

Perché ha voluto condividere questa storia?

«Perché secondo me lʼesempio di mio padre può essere utile allʼItalia di oggi. Può essere utile perché evidenzia il fatto che non si possa sempre delegare ad altri la risoluzione dei problemi e come ciascuno di noi abbia il potere di incidere nelle società in cui vive. Una storia fatta di assunzione di responsabilità avvenuta con forza e consapevolezza, con pretesa del rispetto della propria libertà, un gesto di grande amor verso il paese inteso come la collettività, la società nella quale si vive. Un amore che si traduce nella volontà di contribuire a fare in modo che il paese possa migliorare, attraverso la propria azione. La responsabilità è una bellissima esperienza. Eʼ il rovescio della medaglia della libertà dʼazione, è la sua complementarietà. Sono queste due cose che ci permettono di vivere pienamente in una comunità».

Corrado Stajano definì suo padre, un eroe borghese. Eʼ una definizione che le piace?

«Mio padre, a mio avviso, non aveva alcuna intenzione di porre in essere gesta eroiche né tantomeno di ribellione. Fece semplicemente ciò che riteneva giusto fare. La definizione di Stajano va contestualizzata nel libro dove sottolinea la definizione fra lʼeroe, inteso nellʼaccezione popolare e lʼeroe borghese. Non è una distinzione di classe, lʼeroe popolare è un eroe rivoluzionario mentre lʼeroe borghese è colui che crede nelle norme, crede nellʼordinamento, crede nello Stato e si uniforma alle sue norme ma proprio per tale motivo da quello stesso Stato viene considerato come un nemico».

Toccante la vicinanza della società civile – che si avverte anche nella prefazione scritta da Carlo Azeglio Ciampi – cui fa da controcanto lʼassenza dello Stato ai funerali di suo padre. Ma oggi ci sono segnali importanti dato che la scomparsa di suo padre viene ricordata nelle scuole e negli incontri pubblici.

«Da quando ho scritto il libro incontro tantissime persone che mi dicono che per la loro vita, per le loro scelte, lʼesempio di mio padre è stato determinante. Vedo che cʼè unʼItalia che crede in quei valori espressi da mio padre, cʼè chi crede nella capacità di assumersi delle responsabilità nellʼinteresse di tutti e di agire con amore nel contesto civile nel quale vive, con la volontà di migliorarlo, di dargli lustro. Una parte dʼItalia che va valorizzata perché cʼè ma talvolta sembra messa da parte, debole, come se tutti fossimo obbligati da una forza maggiore ad accettare il compromesso, la rinuncia agli ideali. Ecco, questa storia ci mostra che non è così. Tutti abbiamo la possibilità di decidere, tutti abbiamo la possibilità di contribuire e di dare lustro al nostro ruolo di cittadini».

Oggi la legalità è un valore nel nostro paese?

«Diciamo che il mondo mediatico fatica a sottolineare la legalità o perlomeno gli esempi di chi rispetta le regole fanno meno clamore. Eʼ un contesto su cui si può e si deve molto lavorare perché il nostro paese offre tanti esempi di chi ha creduto e crede nel bene collettivo che danno risultati importanti: ventʼanni fa sarebbe stato impensabile prendere la decisione di escludere da Confindustria chi paga il pizzo. Fino a poco tempo fa chi lo pagava era visto solo come una vittima, oggi si è capito che cʼè dellʼaltro, che anche se in modo involontario si sostiene la realtà criminale. Da questo punto di vista si è fatto un grande passo avanti».

Anche la politica nazionale non sembra lanciare messaggi positivi. Mi riferisco al recente scudo fiscale.

«Beh, quando il paese con i suoi soggetti di rappresentanza parlamentare, non mette le legalità al primo posto e con provvedimenti come lo scudo fiscale afferma che per lo Stato i soldi sono più importanti di come sono stati conseguiti, non trasmette un messaggio utile per la crescita del paese».

Che rapporti ha con la Sicilia?

«Purtroppo non conosco affatto il messinese dove di terranno gli incontri con il pubblico. Dico purtroppo perché mi sono stati descritti come luoghi colmi di fascino. Sono stato solo alcune volte a Palermo e Catania ma solo per lavoro. Però dei bellissimi ricordi mi legano allʼisola di Ustica, dove trascorsi una splendida vacanza».

Le tre parole simbolo di questa iniziativa sono “Memoria, verità e giustizia”.

«Una bellissima prospettiva per guardare il futuro».

La spaventa il fatto che sia stato necessario scrivere un libro anche per far chiarezza sul ricordo di suo padre, la cui morte veniva talvolta accostata alle B.R.?

«Mi spaventa ogni ignoranza, mi spaventa ogni superficialità nellʼanalisi dei fatti storici del nostro paese. Ma possono essere anche degli stimoli per coinvolgere e approfondire».

Lʼassociazione “Amici di Onofrio Zappalà”, che promuove lʼincontro, è nata in ricordo di una delle 85 vittime della strage di Bologna. Una ferita ancora aperta sulla quale ancora oggi non cʼè la parola fine.

«Non bisogna mai rinunciare a cercare la verità. A guardare bene gli atti dei processi, le verità si capiscono. Il problema è che talvolta la fatica per raggiungere la verità non comporta sempre la giusta punizione per i colpevoli e questo ha sempre il sapore della sconfitta».

 

Fonte: Centonove 15 gennaio 2010