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Giovanni Fasanella accusa: “Siamo un paese che non ha bisogno di eroi, ma di verità”
«Ho la sensazione che basandosi solo su dichiarazioni di qualche pentito a scoppio ritardato e per giunta prive di riscontri, difficilmente scopriremo la verità su Via D’Amelio e le stragi del ‘92». E ancora: «Noi italiani dobbiamo fare i conti con il nostro passato, con la nostra storia».
Il giornalista Giovanni Fasanella – co-autore con il giudice Rosario Priore di Intrigo Internazionale. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute dire (Chiarelettere, pp. 208, €14) – è stato uno degli ospiti della kermesse culturale “Tabula Rasa” svoltasi a Reggio Calabria dal 19 al 22 luglio 2010: «E’ stata un’iniziativa molto incoraggiante soprattutto perché portata avanti da giovani quali Giusva Branca e Raffaele Mortelliti che vogliono scuotere le coscienze, pur sapendo che sarà un cammino molto difficile poiché il ceto politico attuale, nel suo complesso, si distingue per litigiosità e collusioni con la criminalità».
Tabula Rasa sta a significare un punto zero da cui ripartire, un nuovo approccio per far chiarezza?
Tabula Rasa è un titolo che trovo molto azzeccato che trovo in linea con l’obiettivo di questo libro che non è quello di far piazza pulita della memoria ma di tutti i luoghi comuni e le chiavi di lettura obsolete che, per diversi decenni, hanno condizionato un periodo buio della nostra storia.
Un altro input interessante potrebbe essere il titolo di un libro del magistrato Gherardo Colombo che indagò fra le tante cose anche sulla P2 e sul delitto Ambrosoli ovvero Il vizio della memoria.
Ha senz’altro ragione, dobbiamo ricostruire la memoria e il nostro passato per non ricadere negli stessi errori ma lo stesso deve valere per i magistrati perché, sino ad oggi, le ricostruzioni complessive fatte sino ad oggi sugli Anni di Piombo sono fragili e carenti. Per evitare di ricadere negli stessi errori bisognerebbe ricominciare con l’atteggiamento del giudice Rosario Priore il quale ammette, con grande umiltà, che i magistrati non hanno fatto sino in fondo il proprio lavoro, in parte perché non furono lasciati liberi di lavorare ma altri stettero al gioco e preferirono chiudere un occhio se non entrambi.
Priore ha dichiarato di essersi trovato innanzi, durante le sue indagini, “non muri di gomma ma muri di cemento”. E’ un libro che nasce da un bisogno personale?
Nasce dal bisogno di saldare un debito di verità contratto nei confronti dell’opinione pubblica perché Priore ha condotto molte delle inchieste più importanti sul terrorismo e sulla violenza politica sia di matrice interna che internazionale. Il suo lavoro e quello svolto da molti altri suoi colleghi hanno certamente prodotto dei risultati ma ci sono dei buchi neri che quei magistrati non hanno saputo o voluto colmare per cui Priore cerca di far luce demolendo alcuni luoghi comuni che hanno condizionato molte ricostruzioni giudiziarie e giornalistiche dell’ultimo trentennio.
Con Priore ricostruite la salita al potere di Gheddafi e il fatto che il famoso DC-9 venne abbattuto “per sbaglio” perché lo stesso corridoio era utilizzato dai libici.
Nell’inchiesta sulla strage di Ustica, come in quasi tutte le alte, vi furono dei depistaggi: prove sottratte, documenti contraffatti e testimoni morti nell’immediatezza delle deposizioni. Nel caso di Ustica certamente non conveniva agli italiani ammettere che Gheddafi era una nostra creatura, visto che non solo lo aiutammo a compiere il colpo di stato che venne pianificato in un albergo di Abano Terme ma gli indicammo anche corridoi aerei non rintracciabili dai radar della NATO per i voli da Tripoli verso il centro e in nord Europa. In pratica avevano indicato a Gheddafi i punti deboli del sistema radar, ad un uomo che era anche amico del nemico per eccellenza ovvero il mondo sovietico. Queste sono verità che non potevano non creare enormi conseguenze.
Il fil-rouge che lega il vostro libro sono le “guerre invisibili”. Chi le combatteva?
Questo libro cerca un approccio diverso non giudiziario, poiché tale metodo a suo tempo si rivelò inefficace. Abbiamo voluto rileggere alcuni fatti inquadrandoli nel contesto storico-politico. Le guerre invisibili combattute sul territorio italiano e con mezzi non convenzionali, dal 25 aprile 1945 in poi furono diverse e non potevano certo essere raccontate. Vi furono almeno due guerre civili – quella fra fascisti e anti-fascisti e quella fra comunisti e anti-comunisti – e almeno tre guerre internazionali che trasformarono l’Italia in un campo di battaglia, ponendola al centro dello scontro fra Occidente e Oriente e dello scontro arabo-israeliano. Tutti questi conflitti hanno creato una miscela esplosiva che sarebbe sfociata nel terrorismo.
Ma c’è stata soprattutto una guerra invisibile mediterranea.
Il punto di partenza fondamentale è la considerazione che l’Italia, pur avendo perso la seconda guerra mondiale ed essendo sottoposta al controllo delle potenze vincitrici, grazie alla propria classe dirigente dell’immediato secondo dopoguerra riuscì a divenire una potenza economica, merito di una politica mediterranea e terzo-mondista che aveva in Enrico Mattei e Aldo Moro, i suoi principali esponenti. Loro capirono che per riacquistare prestigio nel Nord Africa e nel mondo orientale era necessario pagare molto di più ai produttori di petrolio rispetto a quanto facessero inglesi e francesi ma ciò, inevitabilmente, incrinò le relazioni diplomatiche con questi paesi. La chiava di volta fu proprio la salita al potere di Gheddafi che, come primo atto espulse le basi inglesi dalla Libia. Successivamente l’Inghilterra perse l’Egitto, l’isola di Cipro e Malta.
Le dichiarazioni sulla scoperta imminente delle verità su Via D’Amelio, rese e poi smentite non le sembrano “strane”?
Mi sembrano strane e poco credibili. Ovviamente spererei che i magistrati avessero scoperto la verità su cosa avvenne in Via d’Amelio ma mi sembra che lo schema utilizzato per comprendere quegli eventi punti sempre sui servizi deviati e su uno Stato in combutta con la mafia, una chiave di lettura esclusivamente italiana insomma. Per carità c’è anche della verità in questo ma è difficile capire gli anni delle stragi senza tener conto del contesto geo-politico. In quegli anni crollava il muro di Berlino e finiva la Prima Repubblica, quali equilibri mutarono? Quali nuovi attori entravano in gioco? Ho la sensazione che basandosi solo su dichiarazioni a scoppio ritardato di qualche pentito e per giunta prive di riscontri non si possa andare molto lontano.
In un paese in cui il senatore Marcello Dell’Utri afferma che “Vittorio Mangano è un eroe”, abbiamo buone possibilità di arrivare alle “verità”?
Credo che complessivamente il ceto politico attuale sia di infimo livello, incapace di affrontare una fase delicata come il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica si tratta di una classe politica litigiosa e collusa con la criminalità. Per fortuna oggi abbiamo un’opinione pubblica attiva e responsabile e l’iniziativa “Tabula Rasa” rappresenta, in tal senso, un segnale molto incoraggiante. E’ un cammino difficile ma per riuscire a scuotere la politica è necessario che ciascuno, dal giornalista allo storico, faccia la sua parte: dobbiamo fare i conti con il nostro passato, con la nostra storia.
Per restare alla stretta attualità, cosa ne pensa della P3?
Si parla di una mera cricca affaristica molto ramificata, dall’editoria alle istituzioni statali. A mio avviso non è nemmeno lontanamente paragonabile alla P2, un’associazione segreta in cui si combinavano affari e si cercavano protezioni e promozioni, un fenomeno anomalo che si inseriva alla perfezione nel contesto della Guerra Fredda: gli uomini della loggia P2 erano uomini anti-comunisti sino al midollo. La cosiddetta P3 vorrebbe ricreare quel sistema ma in un contesto in cui non vi è più un nemico comune da combattere, solo soldi e appalti da ottenere.
Giovanni Fasanella, giornalista, sceneggiatore e documentarista, è autore di molti libri sulla storia invisibile italiana, tra i quali ricordiamo Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro (con G. Pellegrino, C. Sestieri, Einaudi 2000), Che cosa sono le BR. Le radici, la nascita, la storia, il presente (con A. Franceschini, Bur 2004), La guerra civile (con G. Pellegrino, Bur 2005) e I Silenzi degli innocenti (con A. Grippo, Bur 2006). er Chiarelettere ha pubblicato con Gianfranco Pannone il DVD+libro Il sol dell’avvenire (2009).
Rosario Priore, magistrato, per oltre un trentennio, fin dai primissimi anni Settanta, quando arrivò come giudice istruttore al Tribunale di Roma, ha seguito molti dei casi di violenza e terrorismo (interno e internazionale) più importanti della storia giudiziaria italiana: dall’eversione nera ad Autonomia operaia, dal caso Moro a Ustica, dagli attentati palestinesi al tentato omicidio di Giovanni Paolo II.
Umberto Ambrosoli: «Mio padre, un eroe borghese»
«Sono convinto che in unʼItalia in cui si ha sempre più paura delle responsabilità, in un paese nel quale i furbi hanno sempre più potere, lʼesempio di mio padre possa essere utile». Umberto Ambrosoli è il terzo figlio di Giorgio, lʼavvocato che ebbe il compito di liquidare la Banca Privata Italiana ormai sommersa dai debiti ma protetta dai “poteri forti” e per tale motivo venne ucciso a Milano sotto casa, in via Morozzo della Rocca, nella notte tra lʼ11 e il 12 luglio del 1979 da un killer giunto dallʼAmerica e pagato da Michele Sindona. Quella notte i suoi figli avevano undici, dieci e otto anni. Oggi Umberto di anni ne ha 38: ha tre figli ed è avvocato come il padre e a 30 anni dalla sua morte ha scritto un libro toccante: Qualunque cosa succeda (Sironi editore; pp. 317, euro 18). Il titolo del libro prende spunto da una ormai celebre lettera trovata dopo la morte nella borsa del padre, quasi un testamento morale dedicato alla moglie: “Eʼ indubbio che pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata unʼoccasione unica di far qualcosa per il Paese (…). Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto”.
Oggi Umberto Ambrosoli, invitato dallʼAssociazione “Amici di Onofrio Zappalà”, incontrerà gli studenti del Liceo Classico di Santa Teresa di Riva e alle ore 18, presso i locali dell’Antica Filanda di Roccalumera, incontrerà i suoi lettori.
Un libro nato sei anni fa in sala parto.
«In un certo senso sì. In quel contesto è nato per la prima volta il pensiero di volontà di migliorarlo, di dargli lustro. Una parte dʼItalia che va valorizzata perché cʼè ma talvolta sembra messa da parte, debole, come se tutti fossimo obbligati da una forza maggiore ad accettare il compromesso, la rinuncia agli ideali. Ecco, questa storia ci mostra che non è così. Tutti abbiamo la possibilità di decidere, tutti abbiamo la possibilità di contribuire e di dare lustro al nostro ruolo di cittadini».
Perché ha voluto condividere questa storia?
«Perché secondo me lʼesempio di mio padre può essere utile allʼItalia di oggi. Può essere utile perché evidenzia il fatto che non si possa sempre delegare ad altri la risoluzione dei problemi e come ciascuno di noi abbia il potere di incidere nelle società in cui vive. Una storia fatta di assunzione di responsabilità avvenuta con forza e consapevolezza, con pretesa del rispetto della propria libertà, un gesto di grande amor verso il paese inteso come la collettività, la società nella quale si vive. Un amore che si traduce nella volontà di contribuire a fare in modo che il paese possa migliorare, attraverso la propria azione. La responsabilità è una bellissima esperienza. Eʼ il rovescio della medaglia della libertà dʼazione, è la sua complementarietà. Sono queste due cose che ci permettono di vivere pienamente in una comunità».
Corrado Stajano definì suo padre, un eroe borghese. Eʼ una definizione che le piace?
«Mio padre, a mio avviso, non aveva alcuna intenzione di porre in essere gesta eroiche né tantomeno di ribellione. Fece semplicemente ciò che riteneva giusto fare. La definizione di Stajano va contestualizzata nel libro dove sottolinea la definizione fra lʼeroe, inteso nellʼaccezione popolare e lʼeroe borghese. Non è una distinzione di classe, lʼeroe popolare è un eroe rivoluzionario mentre lʼeroe borghese è colui che crede nelle norme, crede nellʼordinamento, crede nello Stato e si uniforma alle sue norme ma proprio per tale motivo da quello stesso Stato viene considerato come un nemico».
Toccante la vicinanza della società civile – che si avverte anche nella prefazione scritta da Carlo Azeglio Ciampi – cui fa da controcanto lʼassenza dello Stato ai funerali di suo padre. Ma oggi ci sono segnali importanti dato che la scomparsa di suo padre viene ricordata nelle scuole e negli incontri pubblici.
«Da quando ho scritto il libro incontro tantissime persone che mi dicono che per la loro vita, per le loro scelte, lʼesempio di mio padre è stato determinante. Vedo che cʼè unʼItalia che crede in quei valori espressi da mio padre, cʼè chi crede nella capacità di assumersi delle responsabilità nellʼinteresse di tutti e di agire con amore nel contesto civile nel quale vive, con la volontà di migliorarlo, di dargli lustro. Una parte dʼItalia che va valorizzata perché cʼè ma talvolta sembra messa da parte, debole, come se tutti fossimo obbligati da una forza maggiore ad accettare il compromesso, la rinuncia agli ideali. Ecco, questa storia ci mostra che non è così. Tutti abbiamo la possibilità di decidere, tutti abbiamo la possibilità di contribuire e di dare lustro al nostro ruolo di cittadini».
Oggi la legalità è un valore nel nostro paese?
«Diciamo che il mondo mediatico fatica a sottolineare la legalità o perlomeno gli esempi di chi rispetta le regole fanno meno clamore. Eʼ un contesto su cui si può e si deve molto lavorare perché il nostro paese offre tanti esempi di chi ha creduto e crede nel bene collettivo che danno risultati importanti: ventʼanni fa sarebbe stato impensabile prendere la decisione di escludere da Confindustria chi paga il pizzo. Fino a poco tempo fa chi lo pagava era visto solo come una vittima, oggi si è capito che cʼè dellʼaltro, che anche se in modo involontario si sostiene la realtà criminale. Da questo punto di vista si è fatto un grande passo avanti».
Anche la politica nazionale non sembra lanciare messaggi positivi. Mi riferisco al recente scudo fiscale.
«Beh, quando il paese con i suoi soggetti di rappresentanza parlamentare, non mette le legalità al primo posto e con provvedimenti come lo scudo fiscale afferma che per lo Stato i soldi sono più importanti di come sono stati conseguiti, non trasmette un messaggio utile per la crescita del paese».
Che rapporti ha con la Sicilia?
«Purtroppo non conosco affatto il messinese dove di terranno gli incontri con il pubblico. Dico purtroppo perché mi sono stati descritti come luoghi colmi di fascino. Sono stato solo alcune volte a Palermo e Catania ma solo per lavoro. Però dei bellissimi ricordi mi legano allʼisola di Ustica, dove trascorsi una splendida vacanza».
Le tre parole simbolo di questa iniziativa sono “Memoria, verità e giustizia”.
«Una bellissima prospettiva per guardare il futuro».
La spaventa il fatto che sia stato necessario scrivere un libro anche per far chiarezza sul ricordo di suo padre, la cui morte veniva talvolta accostata alle B.R.?
«Mi spaventa ogni ignoranza, mi spaventa ogni superficialità nellʼanalisi dei fatti storici del nostro paese. Ma possono essere anche degli stimoli per coinvolgere e approfondire».
Lʼassociazione “Amici di Onofrio Zappalà”, che promuove lʼincontro, è nata in ricordo di una delle 85 vittime della strage di Bologna. Una ferita ancora aperta sulla quale ancora oggi non cʼè la parola fine.
«Non bisogna mai rinunciare a cercare la verità. A guardare bene gli atti dei processi, le verità si capiscono. Il problema è che talvolta la fatica per raggiungere la verità non comporta sempre la giusta punizione per i colpevoli e questo ha sempre il sapore della sconfitta».
Fonte: Centonove 15 gennaio 2010