Femminismo e magia: La Roma di Lipperini

Liberamente ispirato all’omonimo sceneggiato prodotto dalla Rai nel 1971, la giornalista e scrittrice Loredana Lipperini è tornata in libreria con il romanzo Il segno del comando (Rai Libri, pp.352 €16,90). Interpretato da Ugo Pagliai, Carla Gravina, Massimo Girotti e Rossella Falk (scritto da Giuseppe D’Agata, Flaminio Bollini, Dante Guardamagna e Lucio Mandarà, diretto da Daniele D’Anza), Lipperini riparte dal fascino del piccolo schermo, firmando una storia gotica – esperta del genere, ammiratrice di Shirley Jackson e Stephen King, già autrice di Magia nera (Bompiani 2019); La notte si avvicina (Bompiani, 2020); Le scrittrici della notte (Il Saggiatore, 2021) – con un intreccio ambientato negli anni Settanta, ricreando una storia di ribelli e cospiratori, alchimisti, streghe e imbonitori di vario tipo.

La scintilla è l’invito, giunto nelle mani del protagonista dello sceneggiato – Edward Forster, un professore di Cambridge – a recarsi subito a Roma, sulle piste del suo amatissimo Lord Byron. L’esca propiziatoria è proprio una fotografia giunta nelle mani del professore, in cui si vede una piazza romana, descritta nei minimi dettagli in uno dei diari di Byron. Una piazza che però, secondo Forster, non esiste, ma sarebbe solo un’invenzione dello scrittore. 

Partendo dalle atmosfere thriller e traendo forza dall’ambientazione romana, Lipperini riprende e rilancia la storia dello sceneggiato, inserendovi quelle sfumature soprannaturali che fanno parte del suo bagaglio culturale e facendone – con coraggio – una cartina di tornasole della condizione femminile negli anni Settanta; del resto, l’8 marzo 1972, a Campo de’ Fiori, è stata teatro della prima manifestazione femminista, una data da celebrare e ricordare, cambiando la prospettiva storica. Lipperini – giornalista sempre particolarmente attenta alle chiavi di lettura socioculturali – racconta la città di Roma da un punto di vista diverso; tutti conoscono la sfumatura magica di Torino, ma l’autrice ricorda che la capitale d’Italia ha una storia alchemica da celebrare, attraverso alcuni personaggi esoterici di grande caratura, fagocitati dall’oblio del tempo.

La Roma che rivive in queste pagine è lontanissima dalla cartolina dei turisti, è una città fatta di fantasmi e suggestioni, una prospettiva notturna e ammaliante che cattura il lettore e lo trascina nelle avventure di Forster, nella sua passione per la misteriosa Lucia, a zonzo per le vie della città, sui passi di Lord Byron a cavallo dei secoli. Così facendo, Il segno del comando, divenuto nel tempo un oggetto di culto, si rinnova e si trasforma con una nuova narrazione, entusiasmante quanto divertente che si rivolge anche (ma non soltanto) alle nuove generazioni, nella convinzione che le storie non muoiano mai. Anzi, continuano a rinnovarsi grazie all’amore dei lettori e di chi le sa raccontare. E senza timore d’osare e cambiare i paradigmi. Francesco Musolino

On Writing ovvero Stephen King si svela (ma non troppo) al Fedele Lettore.

9788888320861“La vita non dev’essere di sostegno all’arte, ma viceversa”. In questa frase c’è tanto di Stephen King, non a caso la giornalista Loredana Lipperini che firma la bella prefazione della nuova edizione di “On Writing” edita da Frassinelli, non esita a sottolinearne l’importanza: è “la biografia che si fa metanarrazione, ancora una volta”. Si dice spesso e sovente a sproposito, ma questa autobiografia – tradotta con cura da Giovanni Arduino – è davvero un libro necessario. Soprattutto per i veri lettori di King – cui decide di schiudere appena il suo antro creativo – e per chiunque desideri divenire scrittore. C’è una tesi di fondo in questo libro – che si apre con “Curriculum vitae” dove l’autore racconta la sua adolescenza piuttosto dolorosa fino al successo che giunge insperato e inatteso con “Carrie” – ovvero, non tutti sono destinati alla scrittura e per divenire scrittori si deve essere disposti a devolvere il proprio tempo alla causa, leggendo e scrivendo senza tregua. E bisogna farlo con gioia, altrimenti non servirà a nulla. Non a caso King confessa di scrivere ogni santo giorno – feste comprese – duemila parole, deciso a non alzare lo sguardo dal monitor prima d’aver assolto il proprio compito. E ciò accadeva anche quando abusava d’alcol, nicotina e sostanze varie. Eppure nonostante la devozione dei fan e i milioni di copie vendute nel mondo con libri cult come “It”, “Shining” o “Misery”, la critica continua a relegarlo in soffitta e non nell’olimpo degli autori come meriterebbe. Colpisce di questo libro la schiettezza con cui King si rivolge al Fedele Lettore, la motivazione iniziale (“Non ci chiedono mai del linguaggio” scrive nella prefazione) e il tema di fondo: si tratta di un libro breve perché “la maggior parte dei manuali di scrittura sono pieni di stronzate”. Dunque, cosa deve fare uno scrittore? Unire i puntini, ascoltare e osservare la gente intorno a lui, leggere e cercare di imparare soprattutto dai libri brutti cosa non fare e ovviamente esercitarsi a scrivere. In modo costante e servendosi della sua “cassetta degli attrezzi”: affinando il dizionario e il lessico utilizzato, usando i verbi in forma attiva, rifiutando gli avverbi ed eliminando tutto ciò che suona fuori posto. “Perché si scrive con la porta chiusa e si corregge con la porta aperta”, cercando di essere sempre onesti con il fedele lettore. “Non accostatevi alla pagina bianca con leggerezza” ribadisce King per poi aggiungere, “a costo di essere brutalmente sincero, se non avete tempo per leggere, non avete nemmeno il tempo (o gli attrezzi necessari) per scrivere. Punto e basta”.

On Writing. Autobiografia di un mestiere – Stephen King – Frassinelli, pp.283 €20 tr. it. Giovanni Arduino

Fonte: Gazzetta del Sud, 23 dicembre 2015

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