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Lisbona, la grande guerra e il desiderio di libertà. Intervista a David Leavitt

David Leavitt

David Leavitt

Dopo aver stupito pubblico e critica con “Il matematico indiano” (Mondadori, 2007), il ritorno dello scrittore americano David Leavitt al romanzo era molto atteso. Finalmente lo scrittore di Pittsburgh, in anteprima internazionale alla sedicesima edizione di PordenoneLegge e subito dopo al Taobuk, ha presentato “I due hotel Francfort” (Mondadori, pp.252 €22 tr. it Delfina Vezzoli) in cui racconta Lisbona nel giugno del 1940, invasa da migliaia di rifugiati in attesa dei visti verso gli Stati Uniti, verso la salvezza. In questa sorta di oasi surreale – fra alcool, giornali stranieri e cibo in abbondanza – Leavitt racconta la vita di due coppie statunitensi, Julia e Pete Winters ed Edward e Iris Freleng, sorpresi a Lisbona dall’evoluzione dei fatti e in attesa che giunga la nave per riportarli a casa, volenti o nolenti. Pete ed Edward sono travolti dalla passione che stravolge del tutto gli equilibri già precari nelle loro vite e si affacciano sull’orlo del precipizio mentre l’Europa sta per essere travolta dalla furia nazista. Un libro sui profughi dalla guerra oggi è più che mai attuale ma affonda anche nella storia familiare di Leavitt, «per salvarsi dai pogrom i miei nonni fuggirono da Lituania e Ucraina ma allora gli Usa avevano un’altra mentalità, molto più disponibile rispetto ai giorni nostri». Leggi il resto di questa voce

Andrea Bajani: «Il lutto è il tentativo di abitare il vuoto di qualcuno che si è perso».

Tre diversi omaggi celebrano l’anniversario della scomparsa di Antonio Tabucchi, lo scrittore d’origini toscane che morì il 25 marzo dell’anno passato nella sua amata Lisbona. Feltrinelli – che pubblicò quasi tutte le sue opere – lo celebra con “Di tutto resta un poco. Letteratura e cinema” (pp. 304, euro 20), una bella raccolta di scritti tematici cui lavorò sino agli ultimi giorni; Sellerio, pubblica “Racconti e romanzi” (pp.288, euro 16) una preziosa raccolta di scritti – “Donna di Porto Pim-Notturno indiano-I volatili del Beato Angelico-Sogni di sogni” – ed infine Emons:Audiolibri ha dato la voce dell’attore e regista Sergio Rubini al suo capolavoro, “Sostiene Pereira” (4h23’, euro 16,90). Ma l’omaggio più bello, in questa triste ricorrenza, prende vita da un aneddoto, difatti, a poche ore dalla sua scomparsa, Antonio Tabucchi non poté ne volle sottrarsi all’atto della scrittura. Quel racconto tutt’ora inedito, fu la scintilla che condusse il suo giovane e caro amico, l’affermato scrittore romano Andrea Bajani, a voler consegnare i suoi ricordi alle pagine di “Mi Riconosci” (Feltrinelli, pp.144, euro 12), un testo  dolce e profondo, capace di non scivolare mai nel declivio della morbosità. Qui l’amico scomparso, diviene personaggio letterario, realizzando la finzione letteraria per eccellenza. Bajani, raggiunto telefonicamente in un hotel parigino, risponde alle domande della Gazzetta del Sud, discutendo di Rilke, dell’amicizia e del potere della scrittura.

Perché questo libro? Il tono usato, oscilla fra riso e lacrime, dando l’idea di una dolorosa necessità.

«Nasce da un evento straordinario ovvero dal fatto che due giorni prima di morire, Antonio Tabucchi scrisse un racconto, dettandolo al figlio in un camera d’ospedale di Lisbona. Non fu una morte improvvisa. Progressivamente si stava spegnendo, eppure questo accadimento privato nascondeva una cosa più grande, la vera origine delle storie. Queste nascono soprattutto per affrontare l’ignoto e mi ha colpito che lui abbia sentito il bisogno di scrivere anche mentre si avvicinava la morte, riuscendo a far ricorso all’ironia, proseguendo questa sorta di danza scaramantica contro ciò che non conosciamo. Quando ho letto quel racconto ho subito pensato che dovevo narrarla, dovevo narrare la scomparsa di uno scrittore e la storia di un’amicizia».

Uno dei due amici che, scomparendo, diventa un personaggio d’un libro. Un’idea molto tabucchiana…

«Esatto. La letteratura ha fatto sempre i conti con i fantasmi e del resto lo scrittore ha a che fare, per giornate intere, con persone che esistono solo nella sua testa. Antonio Tabucchi ha sempre avuto un buon rapporto con i fantasmi perché intese la sua letteratura all’insegna del gioco del rovescio; come personaggio di finzione, fra le pagine d’un libro, ha potuto portarlo all’estremo, rovesciando la morte e la vita, immerso in una storia.

Vi siete conosciuti a Parigi, a casa di un amico comune, tanti anni fa. Tabucchi le aveva scritto una lettera pronta per essere spedita…

«Nel libro tutto è reale e tutto è finto ma la lettera c’era davvero e lui l’aveva già affrancata. Me la consegnò ma per anni non la trovai più. Ma appena terminai di scrivere questo libro, venni preso dal desiderio di sistemare i libri in casa mia e di colpo, riapparve, nascosta fra le pagine di un volume. Era la lettera di un grande scrittore che mi trasferiva l’emozione resagli dall’aver letto il mio libro, “Se consideri le colpe”. Quando uscì questo libro più persone mi chiesero di poter pubblicare questa lettera, però adesso sembra sia scomparsa daccapo. Ecco, queste sono le “tabuccate”».

Apre il libro con una significativa citazione di Rilke. Come mai?

«Non conosco scrittore che sia sceso con tanta grazia dall’altra parte, nel confronto con chi non c’è più, come Rilke ne “I sonetti a Orfeo” e soprattutto ne “Le elegie duinesi”.

Mi riconosci, il titolo scelto, significa stare ad ascoltare il fantasma, provare ad ascoltare chi non c’era più. Questo libro racconta come nascono e si raccontano le storie ma soprattutto come si possa essere amici, indipendentemente dalle età e da cosa ci riserva la vita».

Alla fine scrive, “il lutto è il tentativo di abitare il vuoto di qualcuno che si è perso”.

«Le persone abitano degli spazi dentro noi ma poi sono costretti ad andare via. O meglio, scompare la materialità, la concretezza della carne ma non tutto il resto. Il lutto è riuscire a far sì che ciò che resta di quella persona scomparsa, trovi il suo posto dentro noi».

Nel corso delle telefonate notturne emerge un rapporto tormentato con l’Italia.

«Con il nostro paese aveva un rapporto davvero difficile, d’amore e odio. Prima di tutto l’Italia era la lingua, che ha amato intensamente, ma questo paese lo faceva soffrire e citava Pasolini per sottolineare quanto fosse malandata. Il berlusconismo, per lui è stato davvero pesante, ha ricevuto diverse querele e ha cercato di difendersi come poteva, con le parole. L’Italia, per lui, era una ferita aperta».

Infine, a proposito di scrittura, cosa le ha insegnato Tabucchi?
«La lezione più importante è stata la sua volontà di stare con i piedi molto per terra e la testa molto nel cielo, la capacità raccontare le pieghe oniriche del mondo senza rinunciare a stare concretamente nella realtà socio-politico in cui viveva».

 

Francesco Musolino

Fonte: La Gazzetta del Sud, 25 marzo 2013

vedi anche http://www.marcovigevani.com/tag/antonio-tabucchi/