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«Io sono un poeta». Maria Attanasio presenta il suo nuovo romanzo a Messina
Un editore che presenta un libro edito da un altro editore, sogno o son desto? Qualsiasi lettore potrebbe reagire con legittimo stupore all’iniziativa organizzata dalla casa editrice messinese Mesogea, con cui si è omaggiata la poetessa e scrittrice calatina, Maria Attanasio, in occasione della pubblicazione del romanzo “Il condominio di via della notte” (Sellerio, pp.204 €14). In realtà, come Caterina Pastura e Ugo Magno hanno chiarito, così come il cammino della loro casa editrice è intrecciato con il catalogo della palermitana Sellerio – dalla contesa per pubblicare Danilo Dolci alla meritoria scoperta di Fabio Stassi – anche il percorso creativo della Attanasio ha avuto una significativa tappa targata Mesogea, culminata con la pubblicazione del libro “Della città d’argilla” (2012, pp.96 €6). Proprio partendo da questo testo, considerato “una fondamentale bussola”, la giornalista Anna Mallamo ha illustrato con rigore ed entusiasmo l’opera «della più grande scrittrice siciliana, dove l’essere siciliana è un valore aggiunto». Introducendo il romanzo “Il condominio di via della notte”, la Mallamo non ha mancato di sottolineare ai numerosi presenti presso la piazzetta Sabir (allo stesso tempo luogo di incontro e non-luogo), i tanti punti di contatto con il celebre “1984” di Orwell, «in un romanzo che narra di un presente cieco a se stesso, che non si percepisce, condannato a vivere un tempo in cui tutto è contemporaneo, tipico del tempo televisivo, in cui siamo sommersi da un flusso di notizie che non danno alcuna notizia, da un tempo senza tempo. Si tratta – ha continuato la Mallamo – di un romanzo storico che si svolge nel futuro prossimo, laddove arriveremo se non daremo peso agli avvertimenti ricevuti». La giornalista ha poi sottolineato quanto le somiglianze fra la città creata dalla Attanasio, Nordìa, e la più oscura delle città invisibili di Calvino, Zobeide, siano lampanti e con essi, il forte senso di angoscia che ne permea le pagine: «si tratta di un libro necessario, che solo di questi si dovrebbe parlare. Proprio come in “1984” ci troviamo dinnanzi ad un romanzo distopico, un libro diverso dai precedenti pur inserendosi alla perfezione nella produzione letteraria della Attanasio».
«Io sono un poeta, non una poetessa», così ha esordito la scrittrice, convenendo con la Mallamo sul fatto che la vera scrittura non abbia sesso ma debba aspirare solo alla qualità; d’accordo anche sul fatto che questo libro fosse frutto «di un dovere morale, della necessità d’essere scritto, come fosse un vero e proprio avviso ai naviganti. Con questo libro – ha affermato la Attanasio – vorrei poter dire “stiamo attenti perché il futuro cui andiamo incontro è assai preoccupante”». La scrittrice è poi tornata sulla cifra stilistica: «questo libro, non essendo storico è un’eccezione per me, o meglio, si tratta di un libro di storia presente, in divenire». E infine, rispondendo al pubblico circa la scrittura e scelta dei nomi dei protagonisti ovvero Mauro Testa e Rita Massa, ha così concluso: «le parole sono venute per caso ma per caso, si sa, che non viene nulla. La mia è una scrittura che pensa e anche le immagini, le metafore scelte per la mia poesia, riflettono il nostro tempo e ciò che vi accade dentro».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, 10 novembre 2013
Vedi anche http://www.gazzettadelsud.it/news//68094/Benvenuti-a-Nordia–citta-infelice.html
Elena Valdini racconta: «Le parole di De André ci aiutano a capire le nostre cose e anche quelle del mondo»
Fabrizio De André, le sue passioni, le sue parole e soprattutto la sua vena ispiratrice sono al centro del libro Ai Bordi dell’Infinito(Chiarelettere, pp.256), a cura della giornalista e scrittrice, Elena Valdini per la Fondazione De André Onlus. Un libro composto da una ricchissima raccolta di saggi e testimonianze che ruotano attorno alle parole e al pensiero di Fabrizio De André, rilasciate da grandi esponenti della società civile e del mondo culturale, da Marco Revelli ad Erri De Luca, da Padre Alex Zanotelli a Don Gallo. Proprio la Valdini ha chiarito quale sia la prima peculiarità di questo libro ovvero una celebrazione fine a se stessa per quanto pregevole «ma la volontà di sottolineare come come le sue parole, i suoi versi, le sue idee hanno in parte contribuito alla nascita di progetti che vanno oltre le sue parole».
Dopo il ricchissimo volume Tourbook, la Fondazione De André e Chiarelettere tornano a braccetto in libreria con Ai bordi dell’infinito. Come nasce questo progetto? Perché questo titolo?
Il progetto in realtà risale ai tempi della lavorazione del nostro primo libro, Volammo davvero (Rizzoli/BUR, 2007), un’antologia in cui sono state raccolte le “parole dette” e dedicate all’opera di Fabrizio De André dal 2000 al 2005. Pubblicato Volammo davvero, da subito ci siamo ripromessi di lavorare a una seconda antologia che sarebbe arrivata cinque anni dopo, Ai bordi dell’infinito è nato anche così. Dico anche, perché questa nuova raccolta si differenzia molto rispetto alla prima: in questo caso si tratta infatti di saggi e testimonianze che si muovono intorno al pensiero di Fabrizio De André, dalle cui parole sono nati anche progetti concreti come testimoniano i laboratori condotti per esempio con i detenuti e gli studenti. Ai bordi dell’infinito è uno sguardo su quanto si è mosso in questi anni intorno alla giustizia sociale. Parla di questo perché in molti su questo hanno voluto confrontarsi, magari partendo proprio da un verso o da un pensiero di Fabrizio De André.
Perché questo titolo?
Il titolo è tratto dal “Cantico dei drogati” proprio con lo slancio di guardare oltre quel “confine stabilito/ che qualcuno ha tracciato /ai bordi dell’infinito”.
Da curatrice come ti sei districata fra i numerosissimi contributi raccolti? C’è una testimonianza, un ricordo, che ti ha colpito di più?
È un lavoro che richiede tempo perché si tratta di recuperare registrazioni e interventi che magari non è così ovvio poter trovare anni dopo. È però bellissimo ricostruire percorsi e dialoghi e provare a far sì che possano poi essere conosciuti anche da chi magari non ha avuto occasione di partecipare a questo o quell’altro incontro o dibattito. Così com’è bellissimo vedere il naturale lavoro del tempo. Voglio dire che se i primissimi anni, penso per esempio ai primi anni Duemila, ci si concentrava in particolare a omaggiare l’uomo e l’artista, ora è splendido vedere come le sue parole, i suoi versi, le sue idee hanno in parte contribuito alla nascita di progetti che, pur lavorando sui concetti espressi da De André nella sua opera, vanno oltre le sue parole.
Quanto è durata la costruzione del libro e, a tuo avviso, il sentimento prevalente nei contributi è il rimpianto per la scomparsa di Fabrizio De André o la celebrazione di ciò che ha fatto?
Credo che ora più del rimpianto e della celebrazione sia più forte la tensione a “impastare” sempre più i suoi versi con ciò che ci sta più a cuore. Nel libro si racconta come da qui sono sbocciati laboratori con i detenuti, con gli studenti, con i disabili. E ancora, anche nei Gruppi AMA, quelli dell’Auto Mutuo Aiuto, come racconta Gabriele Gatania, psicoterapeuta all’ospedale Luigi Sacco di Milano. Credo sia un libro che parla di noi non solo per le testimonianze di chi lavora o si espresso sui temi di De André, ma perché sono parole che provocano il sentire di tutti, perché sono i temi dell’uomo e, purtroppo, molte problematiche sono ancora attuali.
Dopo la tua introduzione, segue la cronaca del tuo incontro con Don Andrea Gallo. Ti hanno sorpreso la forza delle sue parole e il suo personale ricordo di De André?
È stato un incontro denso, in ogni sua sfumatura. Non si tratta tanto di rimanere sorpresi, ma di essere profondamente colpiti dalla sua potenza e dalla sua intensità. Sono molto affezionata a don Andrea Gallo, è forse la persona, tra quelle vicine alla Fondazione, che in questi anni ho più spesso avuto occasione di incontrare e ascoltare. Nel libro ci parla di giustizia sociale, quindi di uguaglianza. Di amore, amore a perdere. Quindi di gratuità, non di premi. La sua analisi di Laudate hominem è molto intensa così come quando ricorda di quando Fabrizio De André richiamò Archimede: «Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo». E ci spiega così bene che il punto d’appoggio è dentro di noi «ecco perché bisogna mettere al centro l’uomo». Così come quando alle voci “speranza” e “indignazione” spiega che a entrambe devono seguire proposte concrete.
Infine vorrei chiederti: navigando sui social network ti sorprende la grande nostalgia che c’è verso Fabrizio De Andrè? Ti sorprende il fatto che le sue canzoni siano amate e capite anche dalle nuove generazioni?
Da un lato non smette di sorprendere perché è molto potente che ciò avvenga anche da parte di chi non ha avuto occasione di conoscerlo quando era in tour o quando uscivano i suoi dischi. Dall’altro lato mi vien da dire che non dovrebbe sorprenderci se all’opera di De André accade ciò che accade a quella di altri grandi classici: essere lette e rilette perché ci tengono compagnia e perché ci sembra che ci aiutino un po’ a capire le nostre cose, e anche quelle del mondo.
(FRANCESCO MUSOLINO)