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Joe Lansdale: «È il denaro a governare il mondo, non il buon senso»

Joe-R.-LansdaleOrmai da diverso tempo i lettori italiani sono affascinati dal cosiddetto “stile Lansdale”. I romanzi nati dalla penna di Joe Lansdale, scrittore texano sino al midollo, sono ricchi di ritmo in cui gli elementi più disparati si coniugano alla perfezione: dalla passione per le arti marziali al fascino per le ambientazioni western (che troveremo nel romanzo che sta attualmente scrivendo), senza dimenticare la passione per il noir, la fantascienza, l’horror e ovviamente quella per il genere pulp che l’hanno definitivamente consacrato, dandogli caratura internazionale. Assiduo lettore, Lansdale si dedica alla scrittura ogni giorno sin dal 1981 ovvero subito dopo l’uscita del suo primo romanzo, “Atto d’Amore”. Il suo Texas – vive nella cittadina di Nacogdoches sin dalla tenera età – è parte integrante dei suoi romanzi, soprattutto delle avventure dei suoi due protagonisti preferiti, i detective Hap Collins e Leonard Pine – uno bianco e democratico, l’altro di colore, gay e repubblicano – talmente strambi da funzionare alla perfezione insieme. Per celebrare l’uscita di “Una coppia perfetta” (Einaudi, pp.200 Euro 16), una raccolta di tre lunghi ed esilaranti racconti con Hap e Leonard protagonisti, Joe Lansdale è stato felice di rispondere alle domande della Gazzetta del Sud e l’amore per il nostro paese è talmente vivo che già quest’estate vi farà ritorno, magari per ambientarci il prossimo libro…

Com’è nato questo libro-tributo dedicato ai lettori italiani?

«Un libro di Hap e Leonard nasce in modo particolare. Quando sento di avere il giusto stato d’animo mi siedo, Hap inizia a parlare e la storia decolla. Mi piacciono questi due ragazzi e sono felice quando mi fanno visita con le loro avventure. I miei lettori sanno che queste storie puntano proprio sui loro caratteri, tutto viene fuori in modo spontaneo, hanno la capacità di attirare problemi come veri e propri magneti».

Facciamo un passo indietro. Com’è nata questa stramba coppia di detective?

«Fatalità. Ho iniziato un libro intitolato “Savage Season” (Le Stagioni Selvagge, Einaudi). Volevo scrivere di qualcuno che mi somigliasse, che vedesse le cose come la maggior parte della gente nata nel Texas orientale. Ho cominciato a lavorare su alcune delle mie esperienze passate mischiando tutto con una tempesta di ghiaccio assai rara che ha colpito la cittadina texana di Nacogdoches. Ma volevo anche scrivere degli anni Sessanta, come li avevo attraversati e del tipo di persone che ha prodotto, nel bene e nel male. Appena ho iniziato a scrivere, si è presentato Hap e ha preso la parola. Così è cominciata. Poi è arrivato Leonard ma non sapevo che fosse gay finché il libro ha preso una direzione e comunque non era il punto focale perché io volevo scrivere di quelli come Hap che erano contro la guerra in Vietnam e sono andati in galera per protesta e di chi come Leonard, al contrario, è andato a combattere. Leonard era certamente un repubblicano ma oggi come potrebbe esserlo? Insomma, sono partito con queste premesse e queste influenze e tutto ciò si è mescolato in pagina».

Leonard è lontanissimo dagli stereotipi legati all’omosessualità cui ci hanno abituati le serie-tv e i film. Una scelta controtendenza.

«I gay hanno personalità e atteggiamenti variegati, proprio come tutti. Ma la gente tende a sviluppare una visione dell’omosessualità basata su stereotipi e atteggiamenti facilmente etichettabili, per semplice comodità. Però quando stavo scrivendo la prima avventura di Hap e Leonard, gli omosessuali negli States non erano affatto considerati “normali”, non erano ancora stati accettati dalla collettività».

A proposito, il problema del razzismo negli States è migliorato con la presidenza Obama?

«In un certo senso è peggiorato poiché ha portato alla ribalta la questione e molti di quelli che cercano di far cadere Obama lo fanno per pregiudizi razziali. Ovviamente non tutti i suoi detrattori sono razzisti ma è sconvolgente quanti di essi lo siano. La realtà è che io vedo del razzismo in Italia, Germania e Inghilterra e solo dove la convivenza fra diverse etnie è minore sono lievi anche le tensioni razziali. Credo che ovunque subentrino la paura e la disoccupazione alla fine si finisca, fatalmente, per ricadere sulla questione razziale. Ma nel complesso la situazione è migliorata, c’è più consapevolezza della questione».

Ancora riguardo Obama, come crede che andrà a finire la sua battaglia contro le armi? Quant’è forte la loro presenza nel suo Texas?

«È una questione complessa. In primo luogo sarebbe utile che i paesi che giudicano eccessiva la presenza delle armi negli States, non vendessero armi al nostro paese, come accade per l’Italia con le pistole Beretta (il modello 92-FS è in dotazione a tutti gli agenti di polizia americani, ndr). Abbiamo bisogno di leggi migliori però io non sono contrario in assoluto alle armi e difatti ne posseggo ma non sono armi d’assalto o semi-automatiche. Sarebbe giusto che la produzione d’armi venisse limitata ma non accadrà perché è il denaro a governare il mondo, non il buon senso».

Secondo Michael Connelly, i thriller sono best-seller perché lì, a differenza della realtà, la giustizia trionfa sempre. È d’accordo?

«Sì, nei suoi libri la giustizia trionfa sempre e forse per questo sono best-seller ma nei miei libri non è così. Hap e Leonard non sono degli eroi e ricorrono spesso alle cattive maniere per risolvere i guai. Ne escono bene semplicemente perché sono animati da buone intenzioni ma non per questo Hap non ha rimorsi circa l’uso delle armi e circa il loro modo d’agire, anche se a fin di bene».

Dica la verità Joe, quanto si diverte a scrivere di loro due?

«Alcuni dei miei migliori libri non li vedono protagonisti ma Hap e Leonard sono senza dubbio i miei personaggi preferiti».

Non crede sia il momento di portarli via dal Texas, magari proprio in Italia?

«Ci penso da un po’ ma non appena mi siedo a scrivere una loro storia, questa si sviluppa in modo naturale nell’East Texas. Però potrebbe succedere, anzi credo che accadrà, staremo a vedere. Quest’estate potrei venire in Italia proprio con quest’obiettivo».

Francesco Musolino®

Fonte: La Gazzetta del Sud

Lisa Edelstein: «Ricordatevi sempre che siete unici»

TAORMINA. Attesissimo, si è svolto stamane l’incontro con l’attrice statunitense Lisa Edelstein. Bellissima ed elegante, la Edelstein – protagonista di Dr. House nei panni della dr.ssa Cuddy – aveva già attirato l’attenzione dei paparazzi giunti numerosi nella perla jonica e stamane, nell’incontro condotto dal direttore artistico del Taormina Film FestivalMario Sesti, ha colpito il numeroso pubblico di appassionati e studenti “Campus”, predicando semplicità, impegno e divertimento, tanto nel lavoro che nella vita privata. Il fatto che l’attesa fosse grande è testimoniato dal fatto che Lisa Edelstein è stata protagonista per la prima volta di un incontro con collegamento internet in tempo reale con community di appassionati che sono intervenuti con domande e curiosità. Ma c’è stato spazio anche per sottolineare l’impegno civile dell’attrice, schierata a favore dell’aborto e dei diritti delle donne, degli omosessuali e dei transgender.

Che rapporto hai con la celebrità?

«Non mi reputo famosa. Ho sempre voluto fare l’attrice, sin da quando ho memoria e aver partecipato al Dr. House è stata davvero una grande opportunità. La celebrità non è un mio obiettivo, piuttosto lo considerato un frutto del lavoro. Meglio fare ciò che piace senza pensare al successo che potrebbe scaturirne».

Con la dr.ssa Cuddy hai raggiunto una grande popolarità. Qual è il suo punto di forza?

«E’ una donna potente e coraggiosa, veste sempre in tailleur e ha molte responsabilità. Eppure non vuole rinunciare all’amore né alla maternità. Perché dovrebbe del resto? Ma vorrei che si divertisse di più…».

La dr.ssa Cuddy e House hanno, da subito, un rapporto di amore/odio. Difficile tenere alta la tensione nelle varie serie?

«Sono convinta che le serie tv ambientate in ospedale abbiano grande successo perché si muovono sempre sulla dualità vita/morte e per tale motivo tutti i personaggi guardano la vita in modo diverso, più profondo. Il rapporto con House è ricco di problemi e alti e bassi, certo, ma è una relazione coraggiosa che ha dato una svolta alla serie».

E il tuo rapporto personale con Hugh Laurie?

«Ci rispettiamo molto e questo permette di recitare e stare sul set in modo naturale. Hugh sostiene molto non solo me ma l’intero cast e l’ho sempre sentito dalla mia parte».


Ma perché sei uscita da Dr.House? Anche la serie ne ha risentito…

«E’ stata una scelta necessaria, personale, dolorosa anche. La vita e il lavoro non dovrebbero incrociarsi e quando accade…bisogna agire subito».

I protagonisti delle serie tv pluri-stagionali rischiano di venire identificati con il proprio alter-ego sullo schermo. Accade lo stesso per te?

«Non credo sia affatto un problema ma so che per alcuni è così. Dopo Dr. House ho recitato in The Good Wife ed è stato fantastico e ora sto anche scrivendo un pilot per la tv ma chissà se si realizzerà».

Sei molto impegnata a livello civile per diverse cause come l’aborto e i diritti delle donne. La FOX ti ha mai ostacolata?

«Assolutamente. La FOX è di destra ed è cosa risaputa ma mi hanno sempre lasciata libera di svolgere le mie campagne mediatiche in favore dell’aborto, dei diritti per le donne, dei gay e dei transgender. Un microfono acceso, oggi, dà incredibili opportunità di diffondere un messaggio e questa potenza mediatica credo che debba essere utilizzata nel miglior modo possibile».

Infine una curiosità: il tuo sorrisetto laterale è ormai celebre. Ti sei allenata a lungo?

«No (ride) è totalmente naturale!»

Francesco Musolino