Jerker Eriksson e Håkan Axlander Sundquist: «Per stupire il pubblico bisogna essere sottili e far leva sull’immaginazione del lettore»

Jerker Eriksson e Håkan Axlander Sundquist sono l’asso nella manica firmatoCorbaccio, che vincendo un’asta agguerrita si è assicurata il loro romanzo d’esordio,La Stanza del Male (trad. di U. Ghdoni; pp. 463; €18,60). Al centro della narrazione gli scrittori svedesi pongono due donne molto diverse fra loro: l’ispettore di Polizia Jeanette Kihlberg e la psichiatra Sofia Zeltelund che coopereranno su un caso davvero truce finendo per trovarsi sulla traccia di un serial killer spietato e deciso ad infliggere sofferenza in modo quasi “scientifico”. Vittime che si tramutano in carnefici, terribili violenze su minori e lo spettro inquietante dei bambini soldato sono fra gli ingredienti di un libro cupo e dal grande ritmo narrativo che ha favorevolmente spiazzato i lettori europei.

I due autori hanno risposto alle mie domande dialogando su scrittura, violenza “narrativa”, catarsi e rivelando anche i loro assai interessanti progetti futuri.

Il vostro romanzo è piuttosto cruento ma non scade mai nel morboso, nella violenza compiaciuta. Qual è il limite quando si descrivono certe situazioni estreme?

Anche se il libro è abbastanza pieno di sangue, non scivola mai sul morboso, non indugia mai nella violenza. Una delle missioni dell’arte in generale è quella di riflettere il presente e per questo i confini saranno sempre mossi, poiché la realtà continuerà sempre a superare la fiction. A noi non interessa rivelare solo la violenza, anche se è una parte naturale del romanzo poliziesco moderno. Se si vuole colpire davvero il pubblico, è più efficace essere sottili e far leva sull’immaginazione del lettore.

La scrittura, a vostro avviso, può avere un potere terapeutico ed esorcizzante anche nell’affrontare le violenze quotidiane sui minori o la pedopornografia?

Difficile rispondere a questa domanda senza sollevare dei dubbi. Il problema è molto complesso. Le persone malate e bisognose di aiuto manifestano un problema che non può essere risolto scrivendo. Tuttavia una persona malata può certamente essere ispirata dai libri.

Voi date la voce a personaggi femminili molto sfaccettati e convincenti. Com’è stato portare sulla pagina delle donne e perchè avete fatto questa scelta?

No, non è stato affatto difficile. In realtà è stata una coincidenza. Noi frequentiamo maggiormente le donne che gli uomini e per questo è stato naturale scrivere da quella prospettiva. Inoltre pensiamo che molte storie con protagoniste femminili, scritte dagli uomini, partono da concetti stereotipati come quello che le donne e gli uomini siano sempre molto diversi fra loro.

Come avete costruito il personaggio di Sofia e le sue competenze professionali così definite?

Abbiamo svolto ricerche davvero molto approfondite con un ufficiale di polizia che, per molti anni, ha lavorato sui casi di abusi sessuali su minori. Inoltre Jerker per diversi anni ha convissuto con una psicologa che ci ha fornito davvero un grande aiuto.

Ciascuno di voi ha svolto un numero impressionante di lavori, più o meno stravaganti, nel proprio passato. Com’è nata l’idea di scrivere a quattro mani questo romanzo?

Insieme abbiamo più di dieci anni di sperimentazione con l’arte e la musica, per cui il passo verso la scrittura non è stato così grande. Inoltre tre anni fa siamo andati incontro a due crisi personali molto diverse ed entrambi abbiamo cominciato a far uso della scrittura come terapia.

Siete già al lavoro su un nuovo libro? Volete anticiparci qualcosa?

Per prima cosa finiremo la trilogia di Victoria Bergman. L’ultima parte è quasi pronta e verrà pubblicata in Svezia per la primavera del 2012.

First we will finish the trilogy of Victoria Bergman. The final part is almost ready and will be released in Sweden during spring 2012.‪ Abbiamo già diversi progetti in cantiere: uno script per la televisione e un nuovo romanzo che, pur non essendo una continuazione della trilogia, sarà parzialmente impostata nello stessa “realtà”.

Fonte: www.tempostretto.it del 16 ottobre 2011

Donato Carrisi: «Il serial killer non ha nessuna intenzione di farsi scoprire. É solo un falso mito creato per rassicurarci»

«Passo gran parte del mio tempo a fare ricerche perché credo che le storie migliori affondino dentro la realtà» e in tal modo, lo scrittore e sceneggiatore Donato Carrisi ha scoperto l’esistenza dei cacciatori del buio, dei cacciatori di anomalie, ponendoli al centro del suo nuovo romanzo Il Tribunale delle Anime (Longanesi; pp. 464; €18,60­). Conscio di essere atteso al varco dopo il grande successo internazionale de “Il Suggeritore”, Carrisi ha accettato la sfida e ha puntato anche su un mestiere poco noto ma fondamentalmente connesso ai delitti ovvero quello dei fotorilevatori della polizia scientifica, «che devono essere capaci di cogliere i minimi dettagli e ricostruire per intero, la scena del crimine».

Tornare a scrivere dopo il mirabolante successo de “Il Suggeritore” che sensazioni ti ha dato?

E’ stata un’esperienza difficile perché comunque tutti mi aspettavano al varco per l’esame del secondo libro. Quando riscuoti un grande successo con il libro d’esordio ovviamente le aspettative sono enormi e così le pressioni nonostante io sia uno scrittore da molti anni e avendo già firmato numerose sceneggiature.

Ma queste sensazioni sono state anche un grande stimolo perché non mi sono accontentato della prima storia che mi è venuta in mente, ho cercato una storia che fosse bella e avvincente almeno quanto quella de “Il Suggeritore”.

Hai scelto di portare sulla pagina Sandra e hai documentato con perizia il mestiere del fotorilevatore della scientifica. Perché hai scelto questa figura poco nota e come ti sei documentato?

I fotorilevatori sono importantissimi, fondamentali. Tramite l’occhio della macchina fotografica devono cogliere dettagli, anche minimi, che possono sfuggire all’occhio nudo degli investigatori ed inoltre devono essere capaci di ricostruire, come un puzzle, la scena di un crimine. Ovviamente, da buon scrittore di thriller, mi sono servito di una consulente della polizia che mi ha illustrato e svelato i segreti del proprio mestiere.

Marcus afferma che la verità è incisa sulla pelle ma spesso ci fa più comodo fermarci all’apparenza…

Questo è il modo più semplici per sentirci migliori, superiori. Quando ci troviamo dinnanzi a qualcuno indiziato di reato ci limitiamo a giudicarlo in base ai nostri sentimenti senza andare a fondo, né aspettare il processo. Questo atteggiamento è piuttosto diffuso e non deriva dal cinismo quanto dalla necessità di assolvere se stessi: posso puntare il dito contro un mostro e riconoscerlo e in tal modo quel mostro non sono io.

Nel libro sfati il mito secondo cui i serial killer ingaggerebbero una sorta di lotta con gli investigatori al fine, inconscio, di farsi catturare. Insomma, hai abbattuto uno dei pilastri alla base di molti film e serie-tv.

Certamente, perché non esiste il serial killer che voglia farsi scoprire. Se il tuo hobby è andare a caccia o a pesca, desideri tutto meno che ti facciano smettere. Allo stesso modo, se il tuo hobby è quello di uccidere è chiaro che non hai interesse a farti beccare perché vuoi continuare a fare quello che ti piace.

Il libro è talmente denso e curato nei dettagli che questi cacciatori di anomalie sembrano muoversi davvero su casi reali.

I casi di cui scrivo si rifanno a casi reali, anche perché è davvero difficile superare la crudezza della realtà e mi interessa che il lettore senta l’atmosfera concreta che solo un fatto di cronaca realmente accaduto è capace di evocare. I cacciatori di anomalie, del resto, esistono davvero e nella nota finale del libro spiego la loro funzione e le modalità con cui collaborano con le forze dell’ordine. Hanno un modo di investigare scevro da qualsiasi riferimento di polizia scientifica, è un metodo antichissimo ma totalmente “nuovo”.

Scrivi che l’istinto di conservazione ci spinge ad essere positivi, ad ignorare il male. Ma cosa accade quando siamo costretti a fare i conti con il male stesso?

La natura umana è prettamente ottimista ed è giusto che sia così perché altrimenti come potremmo vivere. Statisticamente il male è predominante e quando siamo costretti a farci i conti ci sentiamo spiazzati, avviliti.  

Donato Carrisi è nato nel 1973 a Martina Franca (Ta). Si è laureato in Giurisprudenza con una tesi su Luigi Chiatti, il «mostro di Foligno», per poi seguire i corsi di specializzazione in criminologia e scienza del comportamento. Nel 1999 ha iniziato l’attività di sceneggiatore per cinema e televisione. Fra le altre, ha scritto la sceneggiatura di Nassiriya – Prima della fine per Canale 5 ed è autore di soggetto e sceneggiatura della miniserie thriller Era mio fratello per Rai 1. E’ una firma del Corriere della Sera.

Sul web: http://www.donatocarrisi.it/

Fonte: www.tempostretto.it del 10 ottobre 2011