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Michael Connelly: «Leggere è come mettere benzina nel serbatoio della creatività»
Con oltre 45 milioni di copie vendute nel mondo Michael Connelly è considerato uno fra gli autori thriller più importanti al mondo. Per anni i fan hanno invocato un libro che portasse in pagina i suoi eroi principali, Hieronymus “Harry” Bosch e Mickey Haller – rispettivamente un detective privato e un avvocato penalista – e finalmente Connelly li ha soddisfatti con La Svolta (Piemme, pp.372 Euro 19,90), un thriller molto intenso che non viene meno alla consueta attenzione verso l’evoluzione psicologica dei personaggi. Ha un passato felice nel giornalismo potendo vantare anche la candidatura al Pulitzer per un reportage sui sopravvissuti di un disastro aereo e nonostante il successo raggiunto – i suoi libri sono tradotti in 35 lingue – trova l’ispirazione per la strada e continuando a leggere tutto ciò che trova, giorno dopo giorno. Proprio come profetizzava Cervantes. Mr. Connelly perché ha scelto di portare in pagina contemporaneamente Bosch e Haller?
Considero i miei libri come una sorta di storia continua che si dipana per cui è naturale che i personaggi principali possano attraversarsi la strada reciprocamente. Dando vita al ciclo di Haller ho sancito che lui e Haller fossero fratellastri e in questo libro volevo concedermi la possibilità di tornare indietro ed esplorare le pieghe del loro rapporto».
Bosch e Haller hanno personalità “ingombranti”. È stato difficoltoso trovare il giusto equilibrio a livello narrativo?
«Ammetto che è stato complicato perché volevo che fossero proprio loro due a costruire la storia, bilanciandola alla perfezione. Credo che abbiano due “voci” molto caratteristiche e diverse per cui non avevo paura che il lettore potesse confondersi, piuttosto volevo essere certo che fossero entrambi capaci di portare avanti la storia in modo autonomo».
Parliamo di Hieronymus “Harry” Bosch, il personaggio a lei più vicino. Com’è nato?
«Harry è il risultato di molti differenti detective che ho conosciuto facendo il giornalista e insieme il frutto di tante influenze letterarie e cinematografiche. Proprio per l’aver mescolato tante cose insieme, sia reali che fittizie, spero che il mio Harry Bosch sia un personaggio davvero unico.
È vero che comincia ogni giornata ascoltando “Lullaby” di Frank Morgan in suo onore?
«Sì mi piace molto ascoltare “Lullaby” di Frank Morgan, la considero l’inno di Harry. È una canzone malinconica ma anche piena di speranza. Proprio come Harry».
Ha dichiarato che “la giustizia trionfa solo nel mondo del thriller perché nel mondo reale i casi irrisolti sono davvero numerosi”. Scrive anche per fare giustizia, per mettere le cose a posto?
«Anche per questo motivo. Del resto ho usato più volte reali casi irrisolti come punto di partenza ma almeno nella fiction, venivano risolti».
Le manca qualcosa della sua esperienza giornalistica al Los Angeles Times?
«Non mi manca il lavoro da reporter piuttosto ho nostalgia della vita di redazione e del cameratismo fra colleghi. Mi manca la prospettiva giornalistica, il fatto che al termine della giornata sapevi davvero cosa stava accadendo nella tua città».
Quando ha capito che sarebbe diventato uno scrittore?
«A 19 anni lessi i libri di Raymond Chandler e ciò mi mise su quel sentiero. Da allora ho voluto diventare uno scrittore».
Dopo tanti successi letterari qual è il suo rapporto con l’ispirazione? La sua voglia di scrivere è cambiata nel tempo?
«Devo andare in giro per trovarla, l’ispirazione. Trascorro molto tempo con avvocati e poliziotti e ascolto molte storie diverse, aspettando di sentire quella che mi colpirà e farà scattare la scintilla. Nei miei primi anni ero più affamato e desideroso di dimostrare qualcosa. Adesso sono più interessato al lavoro vero e proprio e ai miei personaggi e non mi interessa più cosa si dice lì fuori, nel mondo».
Ha detto che un giovane scrittore deve leggere ogni giorno per tenere viva la fiamma.
«Credo che leggere serva a mettere benzina nel serbatoio. Se sei in procinto di scrivere una crime fiction allora devi certamente leggerne una ma non bisogna limitarsi a questo. Bisogna leggere anche saggistica, arte e opere in lingua originale. Insomma, leggete ogni singola cosa che vi capiti a tiro. Per quanto mi riguarda ultimamente sto leggendo da Charles Bukowski a Dennis Lehane sino a Donato Carrisi ».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, 27 aprile 2013
Donato Carrisi: «Il serial killer non ha nessuna intenzione di farsi scoprire. É solo un falso mito creato per rassicurarci»
«Passo gran parte del mio tempo a fare ricerche perché credo che le storie migliori affondino dentro la realtà» e in tal modo, lo scrittore e sceneggiatore Donato Carrisi ha scoperto l’esistenza dei cacciatori del buio, dei cacciatori di anomalie, ponendoli al centro del suo nuovo romanzo Il Tribunale delle Anime (Longanesi; pp. 464; €18,60). Conscio di essere atteso al varco dopo il grande successo internazionale de “Il Suggeritore”, Carrisi ha accettato la sfida e ha puntato anche su un mestiere poco noto ma fondamentalmente connesso ai delitti ovvero quello dei fotorilevatori della polizia scientifica, «che devono essere capaci di cogliere i minimi dettagli e ricostruire per intero, la scena del crimine».
Tornare a scrivere dopo il mirabolante successo de “Il Suggeritore” che sensazioni ti ha dato?
E’ stata un’esperienza difficile perché comunque tutti mi aspettavano al varco per l’esame del secondo libro. Quando riscuoti un grande successo con il libro d’esordio ovviamente le aspettative sono enormi e così le pressioni nonostante io sia uno scrittore da molti anni e avendo già firmato numerose sceneggiature.
Ma queste sensazioni sono state anche un grande stimolo perché non mi sono accontentato della prima storia che mi è venuta in mente, ho cercato una storia che fosse bella e avvincente almeno quanto quella de “Il Suggeritore”.
Hai scelto di portare sulla pagina Sandra e hai documentato con perizia il mestiere del fotorilevatore della scientifica. Perché hai scelto questa figura poco nota e come ti sei documentato?
I fotorilevatori sono importantissimi, fondamentali. Tramite l’occhio della macchina fotografica devono cogliere dettagli, anche minimi, che possono sfuggire all’occhio nudo degli investigatori ed inoltre devono essere capaci di ricostruire, come un puzzle, la scena di un crimine. Ovviamente, da buon scrittore di thriller, mi sono servito di una consulente della polizia che mi ha illustrato e svelato i segreti del proprio mestiere.
Marcus afferma che la verità è incisa sulla pelle ma spesso ci fa più comodo fermarci all’apparenza…
Questo è il modo più semplici per sentirci migliori, superiori. Quando ci troviamo dinnanzi a qualcuno indiziato di reato ci limitiamo a giudicarlo in base ai nostri sentimenti senza andare a fondo, né aspettare il processo. Questo atteggiamento è piuttosto diffuso e non deriva dal cinismo quanto dalla necessità di assolvere se stessi: posso puntare il dito contro un mostro e riconoscerlo e in tal modo quel mostro non sono io.
Nel libro sfati il mito secondo cui i serial killer ingaggerebbero una sorta di lotta con gli investigatori al fine, inconscio, di farsi catturare. Insomma, hai abbattuto uno dei pilastri alla base di molti film e serie-tv.
Certamente, perché non esiste il serial killer che voglia farsi scoprire. Se il tuo hobby è andare a caccia o a pesca, desideri tutto meno che ti facciano smettere. Allo stesso modo, se il tuo hobby è quello di uccidere è chiaro che non hai interesse a farti beccare perché vuoi continuare a fare quello che ti piace.
Il libro è talmente denso e curato nei dettagli che questi cacciatori di anomalie sembrano muoversi davvero su casi reali.
I casi di cui scrivo si rifanno a casi reali, anche perché è davvero difficile superare la crudezza della realtà e mi interessa che il lettore senta l’atmosfera concreta che solo un fatto di cronaca realmente accaduto è capace di evocare. I cacciatori di anomalie, del resto, esistono davvero e nella nota finale del libro spiego la loro funzione e le modalità con cui collaborano con le forze dell’ordine. Hanno un modo di investigare scevro da qualsiasi riferimento di polizia scientifica, è un metodo antichissimo ma totalmente “nuovo”.
Scrivi che l’istinto di conservazione ci spinge ad essere positivi, ad ignorare il male. Ma cosa accade quando siamo costretti a fare i conti con il male stesso?
La natura umana è prettamente ottimista ed è giusto che sia così perché altrimenti come potremmo vivere. Statisticamente il male è predominante e quando siamo costretti a farci i conti ci sentiamo spiazzati, avviliti.
Donato Carrisi è nato nel 1973 a Martina Franca (Ta). Si è laureato in Giurisprudenza con una tesi su Luigi Chiatti, il «mostro di Foligno», per poi seguire i corsi di specializzazione in criminologia e scienza del comportamento. Nel 1999 ha iniziato l’attività di sceneggiatore per cinema e televisione. Fra le altre, ha scritto la sceneggiatura di Nassiriya – Prima della fine per Canale 5 ed è autore di soggetto e sceneggiatura della miniserie thriller Era mio fratello per Rai 1. E’ una firma del Corriere della Sera.
Sul web: http://www.donatocarrisi.it/