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“Una storia d’amore al tempo della crisi”. Silvia Avallone si racconta

Dopo il grande successo riscontrato con “Acciaio”, la scrittrice Silvia Avallone era certamente attesa al varco, tanto dai suoi lettori che dal mercato editoriale. L’Italia che porta in pagina nel suo secondo romanzo, “Marina Bellezza” (Rizzoli, pp. 528 Euro 18,50) è quella dei figli degli anni ’90, una generazione cresciuta davanti alla tv con il mito del successo e della fama. Marina ha vent’anni e una bellezza assoluta che la porterà a lasciare la natìa Valle Cervo in cerca di fortuna mentre Andrea, come un salmone controcorrente, desidera tornare alla terra per fare il margaro, colui che alleva il bestiame. Ispirato alla storia d’amore dei suoi nonni ma declinato in chiave moderna, Marina e Andrea si respingeranno e si attrarranno nel corso dell’intero libro, sino a giungere ad un finale aperto. Sullo sfondo si muove una generazione di ragazzi insoddisfatti, privati del futuro, convinti che se la vita fosse giusta dovrebbe risarcirli…

Marina Bellezza nasce nel 1990 e cresce davanti alla tv. Poi cosa accade?

«La tv le tiene compagnia durante la sua infanzia e la sua adolescenza mentre la sua famiglia va in pezzi. Diventa per lei un punto di riferimento, una via di fuga possibile; nello stesso tempo, il mondo della televisione, rappresenta la meta per il suo rancore e il sentimento di ingiustizia per il trattamento riservatole dalla famiglia».

Proprio il supposto diritto ad una forma di risarcimento è un punto focale del libro…

«Sì, è il suo grande errore. Anche quando la vita ti tradisce non è affatto detto che ti debba risarcire. Ma lei ne è convinta».

Perché ha voluto che la bellezza fosse il tratto più evidente della sua protagonista?

«Desideravo un personaggio femminile molto scomodo da giudicare. Mi piaceva che, scrivendone, fosse capace sia di farmi arrabbiare sia di provare tenerezza nei suoi confronti. Per trarre ispirazione ho iniziato a pensare alle grandi cantanti americane come Britney Spears e Rihanna; sono convinta che dietro queste vite ci siano traumi e ferite che fungono da benzina per ottenere un successo colossale. Così, ho immaginato una Britney Spears di provincia con una carica da leonessa ma anche molto fragile».

Il fatto di superare degli ostacoli se non addirittura dei traumi, può dare uno slancio permettendo di lanciare il cuore oltre l’ostacolo?

«Se penso a questo momento storico e alla difficoltà che incontrano i miei coetanei nel mondo del lavoro, voglio sperare che il coraggio possa aiutare a tirare fuori le proprie qualità, rendendoci non solo più forti ma anche più lungimiranti. Non avere la strada spianata davanti a sé può permetterci di trovare dei sentieri inaspettati da intraprendere».

“Storia d’amore al tempo della crisi”: poteva essere questo il sottotitolo del suo libro?

«Sì! Decisamente sì».

Andrea, proprio come un salmone controcorrente, sembra voler tornare alla terra, ad una vita molto slow…

«Marina è una rockstar arrabbiata nata in provincia, invece Andrea è ispirato ai margari che facevano la transumanza del gregge, figure silenziose che mi hanno sempre affascinato. Ma per scrivere il libro sono andata a caccia di storie di miei coetanei, con una mentalità da anni ’80 e con alle spalle degli studi, che decidono di tornare alla terra, di recuperare anche il proprio territorio. Di storie simili ne ho scovate tante, da nord a sud».

La provincia che porta in pagina sembra molto diversa da ciò che siamo abituati a leggere. Come mai?

«Volevo che in questo libro ci fosse uno spirito da pionieri, che rivivesse il mito della frontiera da conquistare. Oggi mancano i far west ma abbiamo le nostre provincie, piena di tesori e di bellezze incolte, abbandonate, impoverite per decenni. Si tratta di un recupero essenziale, qualcosa di simile alla ricostruzione post-bellica per importanza. La mia provincia non è rifugio ma luogo di conquista».

Se la sentirebbe di lanciare un appello ai giovani italiani per indurli a non lasciare il paese, a giocare qui la battaglia del proprio futuro?

«Sia chi rimane sia chi va all’estero è un piccolo eroe, in entrambi i casi serve davvero molto coraggio per affrontare le difficoltà odierne. Io sono stata anche fortunata. Diciamo che sento un forte legame con la mia lingua, con il mio paese e mi fa rabbia che il nostro enorme potenziale, il patrimonio culturale e paesaggistico, il Made in Italy e le eccellenze siano sprecate, lasciate a se stesse se non addirittura osteggiate. Mi sento dire che dobbiamo ripartire da noi stessi, riprenderci le ricchezze del nostro paese, farle rivivere. Vorrei ci fosse un’alternativa, invece, andar via è spesso una necessità».

Tornare a scrivere dopo il successo di “Acciaio” è stata una liberazione o un esame da superare?

«Ho cercato di dimenticare completamente la pressione e quando ho cominciato a scrivere per fortuna, è accaduto. Mi piace alternare la fase della scrittura – che consiste nello stare chiusi per uno, due anni senza fare nient’altro – per poi condividere il libro per diversi mesi, viaggiando in giro per l’Italia».

Per lei cosa rappresenta l’atto della scrittura: più simile ad una necessità fisica o ad una forma di piacere?

«Non mi hanno mai posto questa domanda, almeno in questi termini. Ho bisogno di vivere ma sento la necessità di raccontare il mondo, quello che mi sta a cuore, per salvaguardare certe province, certe storie. È un bisogno di liberta soprattutto: il mio tempo storico è denso di difficoltà e non posso cambiarlo ma scrivendo posso reagire, sovvertire tante cose che non mi piacciono».

Almeno nella scrittura le cose possono andare come dovrebbero?

«Sì, scrivere significa dare ordine ad un caos spesso indecifrabile. Un modo per ridare importanza a ciò che conta davvero».

Francesco Musolino®

Fonte: La Gazzetta del Sud, 26 ottobre 2013