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Amanda Knox. Il documentario su Netflix.
Amanda Knox è una fredda psicopatica che ha assassinato brutalmente la coinquilina o un’ingenua studentessa all’estero intrappolata in un incubo senza fine? Dopo un lancio stampa che ha solleticato le attese, dal 30 settembre, è disponibile sulla tv on-demand Netflix, il documentario Amanda Knox, creato dai registi Rod Blackhurst (vincitore del Premio del pubblico al festival di Tribeca con Here Alone) e Brian McGinn (vincitore di un IDA Award con Chef’s Table) e dalla produttrice Mette Heide. La drammatica vicenda che la portò agli onori delle cronache – facendone giocoforza una celebrity – è la misteriosa e cruenta uccisione della studentessa inglese Meredith Kercher a Perugia, il 1° novembre del 2007. È un documentario ricco, composto lavorando con dovizia le immagini e le clip delle decine di sopralluoghi della Scientifica sul luogo del delitto, approfondendo i ruoli (presunti) di tutti i personaggi che a vario titolo sono entrati in gioco. La vicenda di Amanda Knox e del suo (ormai ex) fidanzato Raffaele Sollecito scosse l’attenzione e portò ad una vera e propria mobilitazione di massa mediatica da oltreoceano, fin quando la Knox e Sollecito – dopo essere stati condannati ad oltre vent’anni di carcere – furono infine assolti e ciascuno, in tempi diversi, diede la propria versione dei fatti in una autobiografia. In carcere attualmente resta solo l’ivoriano Rudy Guede. Amanda Knox è la figura centrale di questo documentario crudo e tagliente che si apre proprio con una sua dichiarazione: «C’è chi dice che sono innocente e chi dice che sono colpevole. Se sono colpevole, sono la persona di cui ti devi spaventare, perché sono la meno ovvia. Sono una psicopatica travestita da agnellino. Ma se sono innocente, allora sono te». E successivamente, nel bel mezzo del documentario, Amanda riprende la parola, occhi dritti alla telecamera: «Alla gente piacciono i mostri, li vuole vedere, proietta le proprie paure, vuole rassicurazioni che i cattivi non siano loro. Abbiamo tutti paura, per questo la gente diventa matta». Amanda Knox al di là del focus sulla macchina mediatica è soprattutto un capo d’accusa contro la farraginosa macchina della giustizia italiana e i suoi esecutori che devono giostrarsi fra le indagini e le norme di diritto. La linea di confine fra il necessario garantismo e la voglia di giustizia è l’elemento aggiunto del caso di Perugia, lasciando inevitabilmente un’ombra su tutti i protagonisti che si trovavano in quella casa di studenti quella maledetta notte del 1° novembre 2007 a Perugia in cui perse la vita Meredith Kercher.
FRANCESCO MUSOLINO ® – FONTE: GAZZETTA DEL SUD
Michele Giuttari: «Dopo trent’anni di indagini, vi racconto la mia vita da poliziotto scomodo».
Dopo aver trascorso trentadue anni in polizia, Michele Giuttari ha deciso di raccontare la sua intensa attività investigativa, ripercorrendo la recentissima storia d’Italia attraverso casi altisonanti sui quali ha indagato in prima persona. Giuttari ha ricoperto incarichi alle Squadre Mobili di Reggio Calabria e Cosenza, ha prestato servizio presso la Dia di Napoli e Firenze per poi divenire capo della Squadra Mobile di Firenze. Dal 1997, inoltre, si dedica con successo all’attività di romanziere, tanto che sta attualmente terminando il suo tredicesimo thriller. In “Confesso che ho indagato” (Rizzoli, pp.368 €18), il messinese Michele Giuttari (classe ’50) narra un racconto di vita senza omissioni sino a giungere in Toscana, sulle tracce del celebre Pietro Pacciani, il “Mostro di Firenze” e dei “Compagni di merende”, con la chiara consapevolezza che non tutta la verità sia ancora emersa. Leggi il resto di questa voce