Stefano Piedimonte: «Dobbiamo imparare a ridere della camorra»
I maestri dell’ironia, da Charlie Chaplin a Ennio Flaiano senza dimenticare P.G. Wodehouse e Woody Allen, ci hanno insegnato che si può sorridere di tutto, soprattutto delle tragedie umane, basta trovare la giusta chiave di lettura. E allora perché non si dovrebbe ridere anche della camorra? Partendo da questo assunto, gli scrittori Roberto Saviano e Stefano Piedimonte – entrambi campani doc – saranno in scena alla rassegna Pordenonelegge, sabato 21 settembre con l’incontro-dibattito “Comicamorra. Come i clan non vogliono essere raccontati”. L’amicizia fra i due autori oggi è solida, galeotto fu proprio il libro d’esordio di Piedimonte, “Nel nome dello zio” che Saviano recensì felicemente su Facebook. La Gazzetta del Sud ha intervistato Stefano Piedimonte, appena tornato in libreria con “Voglio solo ammazzarti”, anche questo edito dalla casa editrice Guanda, guidata da Luigi Brioschi (pp. 256 Euro 16). Si tratta del brillante seguito delle avventure delle grottescamente-comiche dello Zio, un boss della camorra con una passione per il Grande Fratello, che ritroviamo rinchiuso nel carcere di Poggioreale, affettuosamente ribattezzato “Poggi-Poggi” da Piedimonte.
Stefano c’è grande interesse per Comicamorra, ma com’è nata l’amicizia con Roberto Saviano?
«Dopo l’uscita del primo libro, decidemmo di farlo avere a Roberto Saviano e lui rispose con un sincero e forte apprezzamento. A quel punto colsi la palla al balzo e, in buona sostanza, gli chiesi di combattere la mia battaglia al mio fianco. A distanza di pochi giorni, scrisse un lungo pezzo su Facebook e devo dire che le sue parole mi hanno quasi commosso. Oggi fra noi c’è uno splendido rapporto e così è nato anche questo incontro che si terrà a Pordenone».
Di cosa si tratta?
«Nel tempo abbiamo raccolto storie che parlano di boss e criminali da strapazzo e abbiamo pensato di montarci dei dialoghi. Siamo molto curiosi di vedere come reagirà la gente, se sarà disposta a ridere della camorra, in fondo la nostra è anche una scommessa, un salto nel buio».
Pensi che si possa ridere della camorra?
«Sì, anzi, penso che si debba farlo. La considerazione di cui godono questi personaggi è basata tutto sul timore che infondono ma se si riesce a far capire che oltre ad essere capaci delle più basse nefandezze sono anche dei coglioni sarà anche più facile non subirne alcuna fascinazione».
Dopo dieci anni da giornalista, come hai vissuto il passaggio al mondo del romanzo?
«In realtà ho messo piede per la prima volta in una redazione giornalistica con il preciso scopo di diventare un romanziere. Sin da piccolo ho sempre scritto brevi racconti e pensavo che diventando giornalista, piano piano, avrei potuto allacciare contatti con editori e case editrici. Ovviamente dopo dieci anni non conoscevo proprio nessuno…»
«Scrissi un libricino per un editore locale ma gli chiesi di pubblicarlo anche in ebook. Avevo ben chiaro che solo così c’era qualche chance che fosse letto al di fuori della sua catene di librerie. In poco tempo scalò le classifiche di BookRepublic e venni notato da un agente letterario, Maria Cristina Guerra, che mi propose di rappresentarmi. All’epoca lavoravo ancora al giornale e dopo appena dodici giorni dalla consegna del manoscritto di Nel nome dello Zio, lei mi richiamò e mi disse “Stefano, da quale editore vorresti essere pubblicato?”. Credevo scherzasse e invece erano arrivate ben cinque proposte di pubblicazione…e così scegliemmo Guanda».
C’è un consiglio che vorresti riservare agli aspiranti scrittori?
«Pochi considerano il fatto che la cosa più importante non è l’editore che ti pubblica ma quanto crede e decide di investire nel tuo libro. Se manca la promozione stampa, se mancano la spinta e la fiducia, tutto il resto non conta nulla».
Il tuo secondo libro, “Voglio solo ammazzarti” è uscito ieri in libreria. Ma c’è un curioso antefatto…
«Ancor prima che “Nel nome dello zio” venisse pubblicato, avevo già cominciato a scrivere questo libro, il suo sequel. Appena il mio agente lo seppe, rimase senza parole, perché poteva essere tutto tempo perso. E invece, a mio avviso, il suo tratto vincente è il fatto che sia ancor più spontaneo. Certamente nessuno potrà accusarmi di aver fatto un’operazione di marketing».
In pagina porti personaggi grottescamente unici come Stiv Ciops – un curioso programmatore – e Gennaro detto Marelièr, che di professione fa il degustatore di mare. Ma soprattutto ritorna il boss, lo Zio…
«Ho cominciato subito a scrivere questo secondo libro perché convinto che lo Zio avesse ancora delle cose da dire e su pagina lo ritroviamo rinchiuso a Poggioreale, a Poggi-Poggi. Lui è “libero” anche in carcere grazie ai suoi soldi ma deve evadere per andare a regolare dei conti in sospeso con chi l’ha tradito e lungo la strada incontra una serie di personaggi stravaganti…».
Ma se un giorno trovassero un tuo libro in un covo di un boss, saresti sorpreso?
«Certo, credo che sarebbe più facile trovarci i libri di Saviano o magari dei saggi, insomma libri basati su fatti reali. Non perché sono dei lettori accaniti ma perché immagino che siano incuriositi di cosa si scrive di loro».
Stefano sei già tornato al lavoro?
«Sì, sto scrivendo un nuovo libro ma stavolta la camorra e la criminalità organizzata non ci saranno affatto. Ho affrontato la sfida di creare un luogo di fantasia, con strade negozi e persone inventate da me, un luogo in cui c’è tanta solidarietà ma anche molta cialtroneria e forti rancori…».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, sabato 21 settembre
Pubblicato il 2013/09/30, in Interviste con tag brioschi, camorra, ciops, comicamorra, guanda, guerra, ironia, marelier, piedimonte, pordenonelegge, saviano, zio. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.
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