Intervista a tutto campo con Zerocalcare: «Gli zombie sono mostri proletari, senza troppe pretese, per questo li amo»
Pubblicato da Francesco Musolino
Sta per concludersi il 2011 quando Zerocalcare dà alle stampe il suo primo albo di fumetti “La profezia dell’Armadillo”, prodotto con il supporto di un altro grande fumettista italiano, Makkox. Zerocalcare – al secolo, Michele Rech – dopo numerose fanzine e collaborazioni fra quotidiani e magazine, entrava così nel circuito editoriale sfornando poi, uno dopo l’altro, una serie di albi di grande successo: “Un polpo alla gola”, “Ogni maledetto lunedì su due” e infine “Dodici” (tutti editi da Bao Publishing). Il nostro viaggio nel mondo di fumetti e graphic novel riprende con il purosangue Zerocalcare, capace di veicolare la propria comicità tramite le strisce sui magazine, diversi blog online e gli albi in libreria con grande – e apparente – semplicità. I fumettisti di norma non amano l’incontro con il pubblico e lo stesso vale per Zerocalcare ma il suo successo – oggi è di gran lunga il fumettista più noto in Italia – fa si che i suoi incontri diventino dei veri e propri eventi, con i fan in coda per ore “solo” per avere la sua firma, come avvenuto al Castello Sforzesco lo scorso novembre, in occasione dell’incontro per BookCity. Perché Zerocalcare piace tanto ed è capace di ampliare il suo pubblico anche ai non lettori di fumetti? Possiamo senz’altro sottolineare una serie di elementi che denotano le sue storie: l’ostentazione delle sue origini testardamente romane – emblematico il suo ultimo albo, “Dodici” in cui il “suo” quartiere di Rebibbia viene invaso da un’orda di zombie – il refrain di alcuni personaggi metaforici – su tutti l’amico Secco e l’Armadillo visto come una sorta di Io/SuperIo – e soprattutto, un tratto originale e unico unito a dialoghi surreali, cervellotici eppure immediati ed esilaranti. Un successo talmente ampio e trasversale che non stupisce l’annuncio della lavorazione di un film tratto da “La profezia dell’armadillo”. E’ stato lo stesso Zerocalcare a darne recentemente l’annuncio, sperando che si punti ad un’autonomia del prodotto cinematografico senza però rinunciare in toto al linguaggio del fumetto. Staremo a vedere.
In “Dodici” ti cali in una dimensione horror inedita per te e lo fai con un devoto uso di citazioni a pennello. Ma com’è nata la storia? E’ vero che consideri gli zombie dei mostri proletari a differenza dei vampiri…?
«La storia è nata da una mia esigenza di staccare dai miei soliti temi e di provare a cimentarmi con una storia di fantasia, non autobiografica, che mi divertisse e rilassasse. E gli zombie, mio grande amore sin dall’infanzia, erano perfetti per questo scopo. E sì, li considero dei mostri proletari, o meglio dei mostri qualunque: non hanno quell’aura di aristocratici belli e maledetti tipica dei vampiri, non sono esotici come gli extraterrestri, sono il mostro di tutti i giorni».
Sempre in “Dodici” ho notato una cosa interessante. Le tue figure femminili sono spesso forti e decise, come Katya. In generale sembra anche una scelta per non far ricorso ai facili stereotipi…
«Sì, in realtà uno dei paletti che ho sempre cercato di rispettare nei fumetti è quello di non ricalcare mai gli stereotipi di genere, le divisioni di ruoli classiche tra maschi e femmine, è una cosa a cui tengo molto. Però è anche vero che la donna forte tutta d’un pezzo è anch’essa una sorta di stereotipo, soprattutto nell’epica zombie. Per questo ho cercato di dargli alcune sfumature che la stemperassero un po’…»
Ci sono diversi fattori, come sempre accade, che motivano il tuo successo allargando il tuo pubblico esponenzialmente anche a chi non ama solitamente fumetti e strisce. Uno di questi fattori è la narrazione degli anni ’90. Si parla e scrive spesso degli ’80 ma dei ’90 poco o nulla… che ne dici?
«Fino a due anni fa, quando ho cominciato a fare questo tipo di fumetti, gli anni ‘90 erano ancora relativamente poco recuperati… adesso in verità mi pare che gradualmente la loro riscoperta stia prendendo piede. Anche se penso che la chiave non sta solo nell’evocare quelli che erano i miti culturali di quegli anni, ma anche le emozioni, le aspirazioni e il modo di vivere di chi era adolescente in quegli anni e oggi ha trent’anni. Aldilà delle mode, gli anni 90 sono stati gli anni che hanno completato una transizione antropologica, quell’aspetto ancora manca dall’essere raccontato».
Le tue opere sono piene di elementi personali, autobiografici. E’ difficile regalare al pubblico elementi privati della tua vita?
«E’ difficile stabilire cosa può essere dato in pasto ai lettori e cosa no. Ci sono alcuni paletti che io considero doverosi, ad esempio elementi eccessivamente privati di chi mi sta vicino, episodi della sfera intima, alcune fragilità molto profonde. Però al tempo stesso questi paletti non possono essere troppi, sennò significa che uno della vita deve fare altro. Magari alcune cose che racconto possono sembrare casuali ma in realtà dedico molta attenzione alla scelta delle cose da raccontare».
Tanti giovani sognano di lasciare il proprio quartiere, la propria città o magari l’Italia stessa. al contrario tu onori sempre Rebibbia e sembri davvero legato alle tue origini…
«Pur provando grandissimo rispetto per chi è costretto a lasciare casa propria per studiare o lavorare, io personalmente ho un rapporto viscerale col mio quartiere e dovrebbero veramente strapparmi gli occhi per convincermi ad abbandonarlo. Sicuramente sono stato fortunato, perché spesso sono le cose della vita a portarti lontano e non una scelta ben definita, ma dal canto mio ho sempre cercato di costruire la mia esistenza intorno a Rebibbia e di fare delle scelte che ruotassero intorno ad essa. Non per spirito di sacrificio, perché ho sempre avuto la consapevolezza che per la mia serenità il mio quartiere è imprescindibile».
In risposta ad un articolo di accuse su Lo Straniero hai scritto sul blog Minimaetmoralia, ribadendo l’importanza dei centri sociali poiché “l’universo degli spazi occupati è stato l’unico in grado di portare centomila persone in piazza per l’emergenza case”. Credi che i media tendano a disinformare o che siano semplicemente presi da un istinto moralizzatore su certi temi?
«Credo che i media, spesso tendano a semplificare le cose e a dare maggior risalto agli aspetti più folkloristici ed eclatanti di ogni fenomeno, per agganciare il maggior numero di lettori o di click su una notizia. Poi alcune testate in particolare rispondono ad interessi specifici, politici od economici (costruttori, finanzieri…), che in qualche modo dettano la linea del taglio degli articoli rispetto a certi argomenti (come la questione dell’emergenza abitativa). Mi dispiace che un giudizio così superficiale sui centri sociali sia apparso sulle pagine de Lo Straniero, che invece ho sempre apprezzato per gli approfondimenti di alcune tematiche. Dopodiché non ho nemmeno lo spauracchio dei media, significa solo che dovremo fare uno sforzo in più di comunicazione».
Nelle tue storie appaiono spesso personaggi del mondo dei cartoni animati giapponesi. Tempo fa era una realtà assai criticata per un presunto potere nefasto sulle giovani generazioni… Guardi i cartoni animati attuali odierni? Credi che siano migliori o peggiori di quelli con cui siamo cresciuti?
«Non conosco nulla dei cartoni animati attuali, le poche cose che ho intravisto mi sembrano orrende, e incapaci di trasmettere quei valori con cui siamo cresciuti noi. Però mentre lo scrivo mi sembra di stare ripetendo esattamente quello che dicevano le generazioni precedenti alla nostra, riguardo a quello che guardavamo noi. Credo che non si possano giudicare i cartoni di oggi con gli occhi dei trentenni. Cioè, io li odio e continuerò a odiarli, ma razionalmente so che gli unici giudici di quella roba devono essere i ragazzini seduti davanti alla TV».
Sei in viaggio fra fiere e presentazioni, hai molte collaborazioni, un blog seguitissimo e lavori alle pubblicazioni… Qual è il tuo rapporto con l’ispirazione? Hai difficoltà a concentrarti, a trovare nuovi soggetti, riuscendo a non zompare il turno e tenere sotto controllo il rosicometro?
«Non ho mai avuto problemi particolari con l’ispirazione, visto che attingo sempre dalla vita quotidiana e che ho una lista di cose che appunto man mano che succedono che è ancora lontanissimo dall’esaurirsi. Il problema semmai è il tempo, ogni argomento che tratto vorrei farlo con tutta la calma necessaria, perché una volta che l’ho disegnato è come se l’avessi bruciato, se l’avessi spuntato dalla lista. E se lo devo fare di corsa, senza potergli dedicare il giusto tempo, mi sembra di averlo sprecato».
Molti si domandano che aneddoto c’è dietro il tuo nick. E’ vero che è figlio della pubblicità? «Molto banalmente, mi serviva un nickname per un forum, in TV davano la pubblicità di quel detersivo, e ho buttato giù quella cosa che sentivo in sottofondo. Poi mi è rimasto attaccato».
Scegliendoti un nickname magari pensavi anche di non esporre il tuo viso, il tuo nome. Poi cos’è successo? Vivi bene tanta notorietà?
«La vivo malissimo. Per me l’anonimato era anche una scelta legata all’ambiente in cui vivevo, quello degli spazi occupati, era proprio fondamentale che il mio nome e la mia faccia non uscissero. Poi questa cosa è diventata incontrollabile, la presentazioni con i cellulari che riprendono e finiscono su youtube hanno reso ogni accortezza inutile. Tutto questo significa stare molto più attenti e prendere molte più precauzioni nelle situazioni in cui uno non vuole essere riconosciuto…»
Chiudiamo con una curiosità… E’ nota la tua passione per le serie-tv. Se dovessi scrivere una personale versione di Lost, quali personaggi vorresti sull’isola con te e il Secco?
«Ah, io io ce li porterei tutti. Ho amato così tanto Lost che non mi azzarderei a cambiarlo di una virgola…».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, marzo 2014
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Informazioni su Francesco Musolino
Francesco Musolino (Messina, 1981) è giornalista culturale e scrittore. Collabora con diverse testate nazionali, fra cui Il Messaggero, L’Espresso, Specchio e La Repubblica. Nel 2019 ha esordito con il romanzo L’attimo prima (Rizzoli, 2019), seguito dal saggio Le incredibili curiosità della Sicilia (Newton Compton, 2019) e nel 2022 pubblica "Mare mosso" (Edizioni e/o), un noir mediterraneo ispirato da fatti reali. Ideatore del no profit @Stoleggendo, membro del collettivo Piccoli Maestri, conduttore televisivo e docente di scrittura creativa.Pubblicato il 2014/03/22, in Interviste con tag anni '90, armadillo, bao publishing, blog, centri sociali, dodici, francesco musolino, fumetti, gola, internazionale, lost, makkox, polpo, secco, wired, zerocalcare, zombie. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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