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Erri De Luca: “Gli intellettuali devono stare con i sensi aperti per difendere la libertà di parola altrui”.

«Mi dichiaro mediterraneo», con queste parole si presenta Erri De Luca ai lettori. Lo scrittore partenopeo è da poco tornato in libreria con “Storia di Irene” (Feltrinelli, pp. 109 €9) dove raccoglie tre storie inedite suggeritegli dal vento che hanno nel il mare, il suo elemento più amato, il vero protagonista. Inoltre, nella veste di traduttore, Erri De Luca è in libreria anche con “La Famiglia Mushkat” (Feltrinelli, pp.104 €9) in cui traduce l’ultimo ed inedito capitolo del capolavoro del premio Nobel, Isaac B. Singer: un testo molto forte, che getta una nuova luce sull’opera di uno dei più importanti scrittori yiddish.

L’occasione dell’intervista è propizia per parlare anche della sua passione per le scalate e per la lingua yiddish, «imparata per spirito di contraddizione» ma non solo. Recentemente De Luca è stato pesantemente osteggiato per il suo impegno accanto al movimento No Tav, che qui ribadisce ancora e motiva con forza, cogliendo l’occasione per sottolineare il necessario ruolo dell’intellettuale ai giorni nostri, non struzzo indifferente ma vedetta contro i soprusi. E affinché la sua voce possa essere più forte, da qualche tempo, lo scrittore partenopeo  utilizza puntualmente i mezzi dei social network per interagire con la quotidianità ed evidenziarne le brutture, le idiosincrasie del potere pubblico, sensibile soprattutto al tema della cultura e al destino cui vanno incontro i migranti…

In questo nuovo libro il mare è il protagonista delle tre storie narrate. Lei ha detto d’essere grato al mare e al Mediterraneo in particolare. Perché?

«Perché da bambino d’estate sull’isola d’Ischia ho imparato la sua serietà sulla barca di un pescatore, un misto di severità e di generosità. Ho imparato la libertà che è andare scalzi, ispessire la pelle sotto i piedi e cambiare quella di città come un serpente che esegue la muta. E poi perché dal Mediterraneo è arrivata tutta la civiltà alla quale appartengo. Mi dichiaro mediterraneo anziché europeo perché l’Europa deve al mare tutto, pure il nome». Leggi il resto di questa voce

Sandro Veronesi: «Io sono un viaggiatore curioso»

Lo scrittore toscano Sandro Veronesi si auto-definisce un viaggiatore flaneur, un viaggiatore curioso, del resto, sin dall’adolescenza aveva sempre con sé un taccuino in cui annotava ciò che lo colpiva nel suo girovagare per il mondo. Pensieri, ricordi e riflessioni che hanno trovato spazio su una nota rivista specializzata in viaggi e che oggi giungono in libreria, racchiusi in uno sfizioso libro, “Viaggi e viaggetti. Fin quando il tuo cuore non è contento” (Bompiani pp. 224 Euro 17). Accanto ai testi già editi, qui trovano spazio anche degli inediti e il tutto è arricchito da pregevoli illustrazioni che completano le parole, come un filo d’inchiostro che si tramuta in immagini. Veronesi, noto al grande pubblico per il successo di “Caos Calmo” e per “La forza del passato” (già vincitore del Premio Campiello e tradotto in 15 lingue), attualmente sta scrivendo un nuovo romanzo e continua a farlo nel suo soggiorno, come sempre immerso nella confusione della sua vita familiare…

Cosa rappresenta per lei il viaggio?

«Il viaggio è sempre un privilegio, un momento emozionante nella vita di una persona. Personalmente leggere un libro di resoconti di viaggi mi ha sempre trasmesso la voglia di mettermi in cammino a mia volta e non necessariamente nei medesimi posti. Ma proprio come accade per le fotografie, è necessario che ciò che si narra, trasmetta l’energia, lo stupore proprio del viaggiare altrimenti finirà per annoiare».

«“Le proposte di viaggi strani sono lezioni di danza di Dio”. La citazione di Kurt Vonnegut jr. apre il suo libro e completa il titolo. Perché l’ha scelta?

«L’idea di associare il danzare e il viaggiare mi ha sempre colpito, specialmente in questa chiave ultraterrena. È un’immagine bellissima, nient’affatto ridondante e giustamente solenne per descrivere lo stato in cui si trova ogni viaggiatore, anche quello smarrito, colui che crede d’aver perso la via…».

È più bello tornare in un luogo che ci è rimasto nel cuore o scoprire un posto nuovo?

«Io sono un tipo romantico e tendo a voler tornare nei posti che amo mentre mia moglie, la mia compagna di viaggio, è più avventurosa e visto che la vita è corta, fa prevalere la curiosità. Alla fine si tratta di uno stato mentale perché un viaggio può essere felice o meno per tanti motivi. Nel libro racconto del viaggio a Serifos, nelle Cicladi, dove facemmo i conti con il meltemi, un vento da 40 nodi che fece star male mia moglie e invece a me dava grandi energie. Eppure fu proprio lei a scegliere quella destinazione, perché fosse stato per me saremmo tornati alle Eolie».

A Vezénobres si sentì come a casa. C’è un altro posto nel mondo dove ha provato la stessa sensazione?

«Mi è successo anche a San Francisco ma a Vezénobres, ciò che provai fu qualcosa di diverso perché si trattava di una similitudine paesaggistica. Improvvisamente, nel bel mezzo del suolo francese, trovai tutti gli elementi della mia Toscana. Forse accadde perché attraversandola a piedi, potevo sentire tutti gli odori e i suoni tipici della campagna e mi sentii proprio come a casa. Ma ho ritrovato casa anche nel quartiere di Miraflores, a Lima, poiché quei luoghi li ho imparati ad amare nei libri di Vargas Llosa».

Dunque lei consiglia di andare a visitare i luoghi narrati in un romanzo che abbiamo amato?

«Sì, ma è un viaggio da fare da soli perché è difficile trovare un compagno di viaggio che possa condividere la stessa passione e con la medesima intensità. Consiglio a tutti di viaggiare da soli quando si è giovani, io l’ho fatto in lungo e in largo e la prima volta che ho messo piede a Parigi, piuttosto che andare in albergo mi sono andato a sedere sui gradini della Madeleine proprio come fa Franz Tunda in “Fuga senza fine”, di Joseph Roth. Non sapevo nemmeno dovrei avrei dormito la notte e avevo ancora la valigia al mio fianco ma sapevo che il mio viaggio doveva partire proprio da lì».

Avendo a disposizione tre giorni e una modesta cifra da investire, che viaggio consiglierebbe ai lettori di questa intervista?

«Li inviterei ad andare a Vezénobres, un luogo rilassante ma anche ricco di cose insolite da vedere in Francia. Oppure Anversa, perché è la città perfetta per passarci un week-end tutto l’anno ma naturalmente in estate è ancora più bella e sorprendente».

Francesco Musolino®

Fonte: La Gazzetta del Sud, agosto 2013