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Michael Cunningham: «Scrivere è un atto di speranza nel futuro».
Raperonzolo sta perdendo i suoi meravigliosi e lunghi capelli, Hansel e Gretel sono due teppisti senza scrupoli nei confronti della casa di marzapane di “una vecchia pazza solitaria”, la Bestia si prende la sua rivincita sulla Bella e il figlio di un re di un paese molto lontano, dopo essere stato tramutato in cigno, torna alle sembianze umane ma non del tutto. Memento di una diversità che lo segnerà per sempre, rendendolo tragicamente unico, inarrivabile. “Il cigno selvatico” (edito da La Nave di Teseo, tr. it. Carlo Prosperi) è il nuovo libro del noto romanziere Michael Cunningham – già premio Pulitzer con “Le ore” (edito da Bompiani, 1999) – in cui opera una rilettura, dark e irriverente delle fiabe della tradizione, da Biancaneve a Cenerentola, contaminandole con ossessione e ogni genere di malvagità, affiancata dalle pregevoli illustrazioni di Yoko Shimizu. Del resto già ne “La regina delle nevi” (edito da Bompiani, 2014), Cunningham aveva compiuto un proprio omaggio ad Hans Christian Andersen, mescolando atmosfere oniriche e realtà, illuminazioni e incubi. Michael Cunningham, fascinoso classe ’52, era senza dubbio uno degli ospiti più attesi alla 29esima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino e il suo incontro, svoltosi nella Sala Azzurra con tutto lo stato maggiore della neonata casa editrice, La Nave di Teseo – a partire da Elisabetta Sgarbi – traboccava di lettori entusiasti. Leggi il resto di questa voce
«La letteratura non può avere una funzione civile». Tony Laudadio si racconta
Un attore che scrive romanzi o uno scrittore che recita da anni? Leggendo il noir “Come un chiodo nel muro” (Bompiani, pp.361 €18) può legittimamente sorgere il dubbio che Tony Laudadio avesse potuto scegliere la carriera dello scrittore, riscontrando il medesimo successo ottenuto sul palco. Casertano, classe ’70, Laudadio si è formato alla Bottega di Vittorio Gassman, per poi avviare nel 1993 un lungo periodo di collaborazione con Toni Servillo e successivamente fondare, con Enrico Ianniello, la compagnia “Onorevole Teatro Casertano”. Dopo il successo ottenuto con “Esco” (Bompiani, 2013) Laudadio porta in pagina l’avvocato penalista Giustino Salvato, grande sportivo e lettore appassionato, con una rigida scala di valori morali. Ma in un ambiente in cui il Male ha la personificazione della camorra, nessuno può dirsi veramente innocente e Giustino nasconde un terribile segreto che emergerà indagando su un omicidio che scava nel suo passato amoroso. Presto sarà al cinema diretto da Nanni Moretti in “Mia Madre” e in questi giorni è in scena al teatro Vittorio Emanuele di Messina con “I Giocatori” (ultime repliche sabato 28 alle 21 e domenica 29 alle 17.30).
Ci racconta di cosa parla “I giocatori”?
«“I giocatori” è uno spettacolo di Pau Mirò, diretto da Enrico Iannello. Sul palco siamo quattro disperati (Renato Carpetieri, Enrico Iannello, Tony Laudadio e Luciano Saltarelli) che si ritrovano a casa di uno di loro, un professore di matematica che sta affrontando un processo per lesioni. Si autodefiniscono falliti ma a ben vedere, posseggono una forza e un’energia vitale quasi insospettabile. E in scena, oltre a strappare risate, emergono riflessioni assolutamente contemporanee sul disagio esistenziale di questi tempi». Leggi il resto di questa voce
Librai al tempo del Kindle: Filippo Nicosia e Massimiliano Timpano si raccontano
Umberto Eco in “Non sperate di liberarvi dei libri” (Bompiani, 2009) afferma profeticamente che il libro è un oggetto finito, perfetto, per questo insuperabile. Ma è davvero così? Da anni le librerie devono fare i conti con un calo costante delle vendite eppure l’offerta editoriale – complice una scriteriata produzione online – è in costante aumento. Insomma, se scrivere libri è diventato un must, acquistarli e per giunta leggerli, sembra sempre più un’utopia. A ciò si aggiunga che da anni l’ossessiva ricerca del fenomeno editoriale spinge i gruppi editoriali a “lanciare sul mercato” decine e decine di progetti con prezzi e formati editoriali diversi (in questi giorni Mondadori lancia i “flipback”, i libri che si leggono in orizzontale…) ma tutto ciò fa sì che il ciclo vitale di un libro sia sempre più breve: di fatto il passaggio dal banco novità allo scatolone delle rese si compie nel giro di un paio di mesi appena. In questo scenario in divenire in cui ebook ed ereader sono ancora attori marginali destinati a diventare protagonisti, La Gazzetta del Sud ha scelto di compiere un viaggio fra le librerie e i lettori, fra editori e trend editoriali, offrendo una bussola ai nostri lettori. Leggi il resto di questa voce
Intervista esclusiva a Vittorio Sgarbi: «Il vero tesoro artistico è italiano, quello di Hitler è una bufala».
«L’Italia è un paese ricco, con un tesoro di inestimabile valore disperso ogni due kilometri quadrati di cui gli italiani sanno poco, o nulla. E dunque finiscono per sciuparlo». O peggio, svenderlo. Il nuovo libro di Vittorio Sgarbi, critico e storico dell’arte di chiara fama, è un vero e proprio viaggio nel tesoro artistico del nostro paese, condotto con minuziosa cura, spaziando per tutta la penisola, da nomi eccelsi a talenti ingiustamente sconosciuti. L’amore dell’arte passa per la conoscenza e contro il disamore dovuto all’ignoranza, al pressapochismo degli studi, negli anni passati Sgarbi ha risposto portando l’arte in televisione – dunque rendendola di fatto nazionalpopolare – e, in seguito, con numerose pubblicazioni. La più recente (in libreria da domani, 13 novembre) è “Il Tesoro d’Italia. La lunga avventura dell’arte” (Bompiani, pp. 300 €22 con prefazione di Michele Ainis). Con Vittorio Sgarbi abbiamo parlato in esclusiva di un progetto editoriale destinato a diventare una trilogia, senza dimenticare i temi legati all’attualità e l’imminente partenza del reality Masterpiece (17 novembre su RaiTre), fortemente voluto dal direttore editoriale di Bompiani, Elisabetta Sgarbi.
Professor Sgarbi, a suo avviso, gli italiani, sono consapevoli del tesoro artistico del proprio paese?
«Affatto. Tant’è vero che si parla del tesoro di Hitler ma è una bufala perché quelle erano opere che detestava. In realtà, Hitler aveva in mente un solo tesoro ed era quello d’Italia e tramite il benestare di Galeazzo Ciano e Giuseppe Bottai, l’allora ministro della cultura, ottenne di poter trasferire in Germania un cospicuo numero di quadri dei musei italiani fra il ‘400 e il ‘500. I tedeschi sapevano bene che il tesoro artistico era il nostro e non quello ritrovato in questi giorni, quadri minori che Hitler avrebbe voluto buttare via».
Ieri, il ministro dei beni culturali, Massimo Bray, ha inaugurato il progetto della “Strada degli Scrittori”, 30 km che uniranno Racalmuto a Porto Empedocle. Le piace questa idea?
«Sì, perché la letteratura italiana fra la fine dell’800 e il ‘900, nonostante l’antagonismo leghista, è prevalentemente siciliana. Da Verga a Sciascia, i grandi scrittori italiani vengono da qui e questo progetto si lega perfettamente nella scia del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Il problema semmai è che questo progetto include la stessa Racalmuto che, in modo arbitrario e fascista, ha visto lo scioglimento del proprio comune su presunzioni infondate. Esiste, evidentemente, uno stato dal doppio volto: da una parte c’è la figura competente di Massimo Bray che sente la priorità dei beni artistici e letterari come fondamentale da un punto di vista pedagogico, come liberazione da ogni mafia; ma purtroppo c’è anche una visione fortemente retorica che svilisce il ruolo stesso delle istituzioni».
A proposito di lingua, lei sottolinea come il Cristo Pantocratore del duomo di Cefalù e i primi poeti siciliani di lingua italiana siano sostanzialmente contemporanei…
«Nel libro i riferimenti letterari sono associati esclusivamente per contestualizzare al meglio le immagini. Il Cristo Pantocratore è bizantino, risale al 1145 e ha una potenza inedita che sembra parlare una lingua nuova; allo stesso modo e nei medesimi anni, Ciullo d’Alcamo e Giacomo da Lentini, in Sicilia prima che altrove, scrivono in lingua italiana. Ciò è emblematico d’un cambiamento in atto».
Il Tesoro d’Italia è un lungo cammino nel mondo dell’arte italiana, un progetto ambizioso davvero ambizioso…
«Studiando e commentando opere d’arte non ho mai pensato che fosse possibile intendere la storia dell’arte come necessità di un progresso espressivo, si tratta di una teoria positivista ormai superata. “Il Tesoro d’Italia”, invece, è il primo di tre volumi che si spingeranno sino al ‘600, narrando in modo organico e rispettoso, la storia dell’arte del nostro paese. Tuttavia è ancora in ballo l’ipotesi che l’opera possa essere composta da cinque volumi e in quel caso si può immaginare che vi sarà una maggiore connotazione saggistica, interpretativa e letteraria».
Che ne pensa del fatto che l’insegnamento della storia dell’arte sarà praticamente abolito nelle scuole italiane?
«Ad essere onesti elimineranno la storia dell’arte da molti corsi di studi per essere potenziata solo nei licei classici, come accade per il greco e il latino. In questo modo si finisce per considerarla un insegnamento di settore, forse a ragione, ma l’arte italiana è viva e fortemente legata all’economia, come evidenzio nel libro».
Ma, senza insegnarla a scuola, non sarà ancor più arduo far innamorare gli italiani dei propri tesori?
«Non c’è dubbio però, temo, che insegnarla a non basterebbe. Occorrerebbe magari che venisse spiegata in tv, premiando la potenza delle immagini contro tante schifezze presenti nei palinsesti. Questa potrebbe davvero essere una didattica di più ampia gittata. Del resto, sebbene sia molto amata, nemmeno la musica viene insegnata in Italia e d’altra parte si studia letteratura ma nessuno legge più Parini e Alfieri… Chi fa la battaglia per insegnare l’arte nelle scuole forse dovrebbe essere più coerente e battersi anche perché si insegni la musica e la storia dei suoi illustri protagonisti nostrani, da Verdi a Puccini».
A proposito di tv, partirà a giorni Masterpiece, il reality sui libri in onda su RaiTre. Che ne pensa di questo progetto voluto da Elisabetta Sgarbi?
«Mi piace molto. È un altro tassello dell’incrocio dei nostri destini. Quando ho cominciato la mia attività, mia sorella era una ragazza disciplinata e avrebbe voluto fare la farmacista ma adesso, forse per stimolo diretto della mia esperienza, farà la televisione, anche se un tempo la considerava lontana da se. Se io reso popolare l’arte in televisione, mi sembra bello e utile, che lei adesso faccia lo stesso con la letteratura».
C’è anche un chiaro auspicio politico che emerge dal suo libro.
«Mostrando il patrimonio artistico italiano si giunge a suggerire l’idea di giungere ad una riforma dello stato in cui il ministero dei beni culturali e dell’economia possano coincidere, creando un ministero del tesoro dei beni culturali. Così il patrimonio spirituale e artistico sarà davvero considerato anche materiale, qualcosa di cui l’economia deve tener conto come una ricchezza, non come un peso».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, 12 novembre 2013
Sandro Veronesi: «Io sono un viaggiatore curioso»
Lo scrittore toscano Sandro Veronesi si auto-definisce un viaggiatore flaneur, un viaggiatore curioso, del resto, sin dall’adolescenza aveva sempre con sé un taccuino in cui annotava ciò che lo colpiva nel suo girovagare per il mondo. Pensieri, ricordi e riflessioni che hanno trovato spazio su una nota rivista specializzata in viaggi e che oggi giungono in libreria, racchiusi in uno sfizioso libro, “Viaggi e viaggetti. Fin quando il tuo cuore non è contento” (Bompiani pp. 224 Euro 17). Accanto ai testi già editi, qui trovano spazio anche degli inediti e il tutto è arricchito da pregevoli illustrazioni che completano le parole, come un filo d’inchiostro che si tramuta in immagini. Veronesi, noto al grande pubblico per il successo di “Caos Calmo” e per “La forza del passato” (già vincitore del Premio Campiello e tradotto in 15 lingue), attualmente sta scrivendo un nuovo romanzo e continua a farlo nel suo soggiorno, come sempre immerso nella confusione della sua vita familiare…
Cosa rappresenta per lei il viaggio?
«Il viaggio è sempre un privilegio, un momento emozionante nella vita di una persona. Personalmente leggere un libro di resoconti di viaggi mi ha sempre trasmesso la voglia di mettermi in cammino a mia volta e non necessariamente nei medesimi posti. Ma proprio come accade per le fotografie, è necessario che ciò che si narra, trasmetta l’energia, lo stupore proprio del viaggiare altrimenti finirà per annoiare».
«“Le proposte di viaggi strani sono lezioni di danza di Dio”. La citazione di Kurt Vonnegut jr. apre il suo libro e completa il titolo. Perché l’ha scelta?
«L’idea di associare il danzare e il viaggiare mi ha sempre colpito, specialmente in questa chiave ultraterrena. È un’immagine bellissima, nient’affatto ridondante e giustamente solenne per descrivere lo stato in cui si trova ogni viaggiatore, anche quello smarrito, colui che crede d’aver perso la via…».
È più bello tornare in un luogo che ci è rimasto nel cuore o scoprire un posto nuovo?
«Io sono un tipo romantico e tendo a voler tornare nei posti che amo mentre mia moglie, la mia compagna di viaggio, è più avventurosa e visto che la vita è corta, fa prevalere la curiosità. Alla fine si tratta di uno stato mentale perché un viaggio può essere felice o meno per tanti motivi. Nel libro racconto del viaggio a Serifos, nelle Cicladi, dove facemmo i conti con il meltemi, un vento da 40 nodi che fece star male mia moglie e invece a me dava grandi energie. Eppure fu proprio lei a scegliere quella destinazione, perché fosse stato per me saremmo tornati alle Eolie».
A Vezénobres si sentì come a casa. C’è un altro posto nel mondo dove ha provato la stessa sensazione?
«Mi è successo anche a San Francisco ma a Vezénobres, ciò che provai fu qualcosa di diverso perché si trattava di una similitudine paesaggistica. Improvvisamente, nel bel mezzo del suolo francese, trovai tutti gli elementi della mia Toscana. Forse accadde perché attraversandola a piedi, potevo sentire tutti gli odori e i suoni tipici della campagna e mi sentii proprio come a casa. Ma ho ritrovato casa anche nel quartiere di Miraflores, a Lima, poiché quei luoghi li ho imparati ad amare nei libri di Vargas Llosa».
Dunque lei consiglia di andare a visitare i luoghi narrati in un romanzo che abbiamo amato?
«Sì, ma è un viaggio da fare da soli perché è difficile trovare un compagno di viaggio che possa condividere la stessa passione e con la medesima intensità. Consiglio a tutti di viaggiare da soli quando si è giovani, io l’ho fatto in lungo e in largo e la prima volta che ho messo piede a Parigi, piuttosto che andare in albergo mi sono andato a sedere sui gradini della Madeleine proprio come fa Franz Tunda in “Fuga senza fine”, di Joseph Roth. Non sapevo nemmeno dovrei avrei dormito la notte e avevo ancora la valigia al mio fianco ma sapevo che il mio viaggio doveva partire proprio da lì».
Avendo a disposizione tre giorni e una modesta cifra da investire, che viaggio consiglierebbe ai lettori di questa intervista?
«Li inviterei ad andare a Vezénobres, un luogo rilassante ma anche ricco di cose insolite da vedere in Francia. Oppure Anversa, perché è la città perfetta per passarci un week-end tutto l’anno ma naturalmente in estate è ancora più bella e sorprendente».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, agosto 2013