Massimiliano Pieraccini: «La scienza è spesso illusoria come un quadro di Escher»

Prendete il tema attualissimo dell’energia nucleare e delle emergenze planetarie, mescolatelo con cura e senza scivolare in tecnicismi eccessivi, con digressioni scientifiche e aggiungete una suggestiva descrizione del borgo medievale di Erice. Infine aggiungete tutti gli elementi del thriller, compresi sospetti e il corpo di una vittima. Il risultato è il primo thriller scientifico ovvero L’Anomalia (Rizzoli; pp.331 €19) firmato dallo scienziato Massimiliano Pieraccini.

Un libro d’esordio avvincente che colpisce sia per la cura dei particolari con cui si rende omaggio ad Erice e al Centro Studi Ettore Majorana presieduto dal professore Zichici – che è un personaggio del libro – ma soprattutto per la cura con cui Pieraccini ha costruito la trama, dosando le digressioni scientifiche che interessano anziché stufare e spolverando un tema scottante come Chernobyl. Non senza suscitare polemiche. Il protagonista, il professore Massimo Redi è invitato a partecipare ad Erice ad una convention prestigiosa sulle emergenze planetarie e qui la sua strada si incrocerà di nuovo con un suo ex allievo, Fabio Moebius, e Giulia Perego, un suo amore del passato. Ben presto l’atmosfera accademica quasi fuori dal tempo viene interrotta dal ritrovamento del cadavere del fisico ucraino  Alexander Kaposka e Pieraccini, pagina dopo pagina, ci invita ad osservare più da vicino le teorie scientifiche che spesso celano un’illusoria circolarità, «proprio come i disegni di Escher».

Il liet-motiv del suo libro potrebbe essere l’invito a non aver paura della scienza?

«Sono d’accordo. La scienza può essere pericolosa perché è potente ma non bisogna averne paura a prescindere, bisogna usarla perché i problemi si risolvono con tecnologia, non boicottandola»

Perché ha scelto Erice per ambientare il suo primo romanzo?

«Erice è un luogo che ho conosciuto negli anni in cui ero ricercatore. Quando ho cominciato a scrivere il romanzo, ho contattato il professore Zichici che è subito stato disponibile per farmi compiere tutti i sopralluoghi, addirittura hanno voluto ospitarmi nel convento e mi hanno fatto visitare numerose stanze chiuse al pubblico, fra cui lo studio personale di Zichichi, posto in cima ad una torre. Quel cunicolo di cui si parla, però, io non l’ho visto…ma dicono ci sia davvero. Erice è un luogo talmente mistico che è senza dubbio un’ambientazione perfetta per un giallo, uno dei posti più belli al mondo senza dubbio».

Come mai ha intitolato il suo romanzo così?

«Il primo titolo scelto era l’anomalia di Escher. Credevo fosse importante per dimostrare come la logica della scienza fosse circolare, un po’ come i disegni di Escher che sembrano perfettamente coerenti ma osservandoli con attenzione ci si rende conto che qualcosa non quadra. La scienza è come un quadro di Escher perché l teorie scientifiche più complesse, spesso, sono circolari. Tuttavia dopo il lancio fatto con i librai, la Rizzoli chiese il permesso alla fondazione Escher che curiosamente fece un sacco di storie. Ci fu un momento di empasse e alla fine decidemmo di scegliere “L’Anomalia”».

Abbiamo fatto bene a rinunciare al nucleare?

«Nel 1987 abbiamo fatto malissimo. Facciamo un passo indietro per evidenziare che nel 1946 abbiamo cominciato a sviluppare l’energia nucleare e nel 1963 avevamo ben 3 centrali nucleari. Pensate che in tutto il mondo le avevamo solo noi, l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Abbiamo avuto uno sviluppo nucleare di altissimo livello ma dopo Chernobyl e il referendum, abbiamo detto addio a questa energia. Fu una decisione affrettata che gettò al vento il lavoro di migliaia di persone. Oggi però non è il caso di tornare al nucleare perché servirebbero altri 20/30 anni di studi e sviluppo per essere competitivi. Ma investimenti energetici sono necessari e imprescindibili, magari verso le rinnovabili. Tuttavia credo che i francesi facciano benissimo a credere ancora nel nucleare».

A proposito di Chernobyl, scrive che il “tarlo della paura”, le fobie insomma, uccisero più delle radiazioni stesse. Una provocazione?

«E’ tutto verissimo. Ho raccolto moltissimo materiale su Chernobyl per poterne parlare con cognizione di causa nel mio romanzo. Tutto ciò che non fa parte del filone thriller nel mio libro, ha solide radici radicate nella realtà poiché fa parte della mia forma mentis da scienziato. Per questo mi sono documentato a lungo leggendo moltissimo e confrontando le diverse testimonianze: volevo scrivere un thriller scientifico, non fantascientifico».

Sorge un dubbio spontaneo: l’inventore del thriller scientifico mollerà il lavoro da scienziato per dedicarsi alla scrittura in toto?

«Bella domanda. La scrittura mi piace molto ma insegnare e fare ricerca sono le mie prime passioni. In realtà mi sono accorto che insegnare è un’ottima palestra per la scrittura perché una lezione va concepita proprio come la costruzione del capitolo di un libro: bisogna attrarre l’attenzione, tenere il ritmo alto e non deludere le aspettative, senza lesinare spiegazioni e digressioni. E alla fine, la conclusione deve invogliare alla prossima lezione, al prossimo capitolo insomma».

MASSIMILIANO PIERACCINI (Arezzo, 1968), laureato in Fisica, insegna presso l’Università di Firenze. Scienziato attivo nel campo delle microonde, è autore di numerosi articoli su riviste internazionali.

Fonte: www.tempostretto.it del 27 luglio 2011

Sul web: http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/anomalia/

http://anomalia-blog.rizzoli.eu/

http://www.mcescher.com/

Silvia Bergero: «Vi presento le mie Galline»

Dei ventenni sappiamo già tutto. E anche i trentenni non sono più un’incognita. Quelle generazioni X e Y le abbiamo lette in tutte le salse e viste al cinema in tutte le varianti possibili. Le quarantenni sono al centro dei nuovi serial tv americani ma in una società gerontocratica, che non lascia spazio ai giovani nel mondo del lavoro, le vere protagoniste devono essere le cinquantenni. Ma chi sono? «Sono quelli che hanno fatto in tempo a crearsi una carriera in un ambito di lavoro scelto e non subito; quelli che hanno messo su famiglia senza troppi patemi (e magari l’hanno anche disfatta) e ora hanno figli più che ventenni, la casa al mare e poche preoccupazioni finanziarie. Sono anche quelli che hanno potere d’acquisto e quindi determinano il mercato più dei “trentenni-mille euro”. E vivono un segmento di età di grande cambiamento, il che significa che gli toccherà reinventarsi». Parola di Silvia Bergero, giornalista d’esperienza nonché autrice dell’ironico ma profondo Galline (Rizzoli; pp. 252; €17,90), il primo libro che vuole aprire uno squarcio su donne benestanti e apparentemente a loro agio fra glamour, lusso e amanti vari ma «con molte crepe sotto il vestito». La Bergero si è affidata al suo intuito di reporter e ad una curiosità bulimica per andare a caccia di notizie e particolari – dai vestiti ai luoghi più chic non manca davvero nulla – per costruire le sue protagoniste e senza scadere nel perbenismo, consiglia il lifting ma soprattutto l’amicizia. Perché la lotta contro il tempo è spietata e le Galline lo imparano sulla propria pelle.

 

Cominciamo con una curiosità: dopo 12 anni durante i quali hai diretto la sezione Cultura e Spettacoli del settimanale “Grazia”, intervistando scrittori e personaggi famosi, che sensazione ti dà stare dall’altra parte del microfono?

«Divertente, inusitato, coinvolgente. Ho preso tutta l’avventura di Galline con lo spirito del “dài mettiamoci alla prova su qualcosa mai fatto prima” e anche le interviste, i diversi interventi fra radio e tv rientrano nel quadro. Ogni tanto ho delle sovrapposizioni. Come durante l’intervista a Jonas Jonassons, autore di “Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve”, due giorni prima dell’uscita del mio libro. Facevo le domande, ma dovevo trattenermi per non dare le risposte io! Una specie di sdoppiamento della personalità. O forse, più banalmente, solo la sindrome Marzullo…»

Tv e libri si sono sempre occupati dei 20/30enni e da qualche anno grazie a fortunati serial tv, è esplosa la curiosità per le 40enni, le cougar. Tu invece hai scelto di parlare delle 50enni. Dunque, chi sono le tue Galline?

«Sono certa di essere la capofila di un nuovo genere letterario – di cui qualcuno dovrebbe aiutarmi a trovare il nome – quello che ha come autori e personaggi gli over fifthy. Perché sono proprio loro i protagonisti dei nostri tempi, quelli che hanno fatto in tempo a crearsi una carriera in un ambito di lavoro scelto e non subito; quelli che hanno messo su famiglia senza troppi patemi (e magari l’hanno anche disfatta) e ora hanno figli più che ventenni, la casa al mare e poche preoccupazioni finanziarie. Sono anche quelli che hanno potere d’acquisto e quindi determinano il mercato più dei “trentenni-mille euro”. E vivono un segmento di età di grande cambiamento, il che significa che gli toccherà reinventarsi.  Mi sembra che ce ne sia abbastanza per renderli interessanti. O no?»

L’amicizia, il lusso e uno stile di vita molto glamour sono da subito protagonisti del tuo romanzo. Tuttavia non è un mondo tutto sorrisi e lustrini tanto che uno spiacevole incidente nella Chinatown made in Milano rischia di rovinare tutto, persino la loro amicizia…

«Sotto il vestito c’è di più… ci sono crepe – come per tutti, per di più trattandosi di persone adulte, con un bel pezzo di vita alle spalle. Alcune sono crepe superficiali, che si possono rattoppare facilmente, altre sono “strutturali” come direbbe l’ingegnere del quintetto, Maddalena. E allora c’è molto da lavorare e le mie protagoniste debbono rimboccarsi le maniche».

Quanto c’è di autobiografico in ciò che racconti? C’è un personaggio cui ti senti maggiormente affine?

«Nulla di autobiografico o di biografico. Sono personaggi d’invenzione, nati certamente a partire dalla galleria di persone che ho conosciuto negli anni, o magari anche solo sbirciato in treno, ascoltato dal parrucchiere. Su quei materiali lì sono andata d’immaginazione. E infatti nei ringraziamenti confesso di aver rubato a  molti: case, vestiti, animali domestici, tic, modi di dire, professioni. Qualche amica ogni tanto mi telefona: “Ma il vestito di Marras è il mio, vero?”. Un’altra mi ha mandato un messaggio che diceva: “Clarence è orgoglioso e ringrazia” laddove Clarence è il suo cane che io ho attribuito ad Andrea… insomma, è motivo di divertimento».

Il rapporto con il tempo che trascorre inesorabile è un altro tema focale accanto a quello dell’amicizia. Silvia qual è il modo migliore per combattere le rughe e gli anni che volano via?

«Essere consapevoli innanzitutto che comunque lo faranno, a prescindere da noi: le rughe arrivano e il tempo parte. Seconda cosa: non contrastare la propria età intignandosi a vestirsi/comportarsi come a 20 anni. Sono comportamenti ridicoli, anzi grotteschi. Detto ciò, fare tutto quello che possiamo: se vi piace il lifting, va bene, come pure la palestra, le diete e quant’altro. Innamorarsi è un ottimo antidoto. Ma anche le amiche, quelle vere: sono uno strumento formidabile di resistenza alla vita».

Galline ad un primo impatto sembra un libro ad esclusivo uso e consumo delle lettrici. Ma una volta letta l’ultima pagina, si ha la sensazione che sia rivolto anche agli uomini, sbaglio?

«Non sbagli affatto e ti ringrazio di aver letto il mio romanzo con tanta attenzione. Fin dall’inizio mi ero proposta di fare degli uomini dei co-protagonisti, defilati magari, ma  non figurine bidimensionali. Qualcuno ha detto che gli uomini ne escono male. Io direi che ne escono per come sono nella realtà – fatte le dovute eccezioni come sempre. Gli uomini hanno un decennio secco di vantaggio su di noi per quanto riguarda l’anagrafe biologica e un ventennio di svantaggio per quanto riguarda quella psicologica. Sono degli eterni ragazzi, per questo ci piacciono».

 

 

SILVIA BERGERO vive a Milano. Giornalista, ha lavorato presso diversi quotidiani e mensili ed è stata a lungo la responsabile di spettacoli e cultura per il settimanale “Grazia”. Ha inoltre condotto programmi su Radio3. Questo è il suo primo romanzo.

 

Fonte: www.tempostretto.it del 22 giugno 2011