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Mikael Niemi: possiamo essere eroi o egoisti
Tutti vorrebbero essere degli eroi, capaci persino di mettere a repentaglio la propria vita per aiutare il prossimo ma dinnanzi al pericolo, ciascuno fatalmente mostra la propria vera natura. E spesso il risultato finale non è degno di elogi pubblici. Da questo spunto sulla condizione umana, sulla distanza che separa la nostra indole dalle nostre rosee aspettative, prende avvio La Piena (Iperborea editore, pp. 352, €16.50), il nuovo e avvincente libro di Mikael Niemi. L’autore in questione è una delle voci più importanti del mondo letterario svedese, ha esordito in tenera età passando dalla poesia ai racconti ma il successo è arrivato con il romanzo generazionale “Musica rock da Vittula” che ha sfiorato il milione di copie, rendendolo celebre a livello internazionale. Ne “La Piena”, Niemi – che da sempre abita a Pajala, una cittadina con meno di 2000 anime – ha voluto ambientare il crollo di una serie di dighe, una vera e propria catastrofe ambientale con cui dovranno fare i conti i suoi venti personaggi, le cui vicende si intrecciano pagina dopo pagina, in bilico fra egoismo, altruismo, istinto di sopravvivenza, buoni propositi e rimpianti. E alla fine, una volta chiuso il libro, non puoi non chiederti cosa faresti al posto di quei personaggi mentre una montagna d’acqua ti insegue risucchiando e distruggendo tutto…
L’intervista integrale sul blog Ho un libro in testa
Silvia Bergero: «Vi presento le mie Galline»
Dei ventenni sappiamo già tutto. E anche i trentenni non sono più un’incognita. Quelle generazioni X e Y le abbiamo lette in tutte le salse e viste al cinema in tutte le varianti possibili. Le quarantenni sono al centro dei nuovi serial tv americani ma in una società gerontocratica, che non lascia spazio ai giovani nel mondo del lavoro, le vere protagoniste devono essere le cinquantenni. Ma chi sono? «Sono quelli che hanno fatto in tempo a crearsi una carriera in un ambito di lavoro scelto e non subito; quelli che hanno messo su famiglia senza troppi patemi (e magari l’hanno anche disfatta) e ora hanno figli più che ventenni, la casa al mare e poche preoccupazioni finanziarie. Sono anche quelli che hanno potere d’acquisto e quindi determinano il mercato più dei “trentenni-mille euro”. E vivono un segmento di età di grande cambiamento, il che significa che gli toccherà reinventarsi». Parola di Silvia Bergero, giornalista d’esperienza nonché autrice dell’ironico ma profondo Galline (Rizzoli; pp. 252; €17,90), il primo libro che vuole aprire uno squarcio su donne benestanti e apparentemente a loro agio fra glamour, lusso e amanti vari ma «con molte crepe sotto il vestito». La Bergero si è affidata al suo intuito di reporter e ad una curiosità bulimica per andare a caccia di notizie e particolari – dai vestiti ai luoghi più chic non manca davvero nulla – per costruire le sue protagoniste e senza scadere nel perbenismo, consiglia il lifting ma soprattutto l’amicizia. Perché la lotta contro il tempo è spietata e le Galline lo imparano sulla propria pelle.
Cominciamo con una curiosità: dopo 12 anni durante i quali hai diretto la sezione Cultura e Spettacoli del settimanale “Grazia”, intervistando scrittori e personaggi famosi, che sensazione ti dà stare dall’altra parte del microfono?
«Divertente, inusitato, coinvolgente. Ho preso tutta l’avventura di Galline con lo spirito del “dài mettiamoci alla prova su qualcosa mai fatto prima” e anche le interviste, i diversi interventi fra radio e tv rientrano nel quadro. Ogni tanto ho delle sovrapposizioni. Come durante l’intervista a Jonas Jonassons, autore di “Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve”, due giorni prima dell’uscita del mio libro. Facevo le domande, ma dovevo trattenermi per non dare le risposte io! Una specie di sdoppiamento della personalità. O forse, più banalmente, solo la sindrome Marzullo…»
Tv e libri si sono sempre occupati dei 20/30enni e da qualche anno grazie a fortunati serial tv, è esplosa la curiosità per le 40enni, le cougar. Tu invece hai scelto di parlare delle 50enni. Dunque, chi sono le tue Galline?
«Sono certa di essere la capofila di un nuovo genere letterario – di cui qualcuno dovrebbe aiutarmi a trovare il nome – quello che ha come autori e personaggi gli over fifthy. Perché sono proprio loro i protagonisti dei nostri tempi, quelli che hanno fatto in tempo a crearsi una carriera in un ambito di lavoro scelto e non subito; quelli che hanno messo su famiglia senza troppi patemi (e magari l’hanno anche disfatta) e ora hanno figli più che ventenni, la casa al mare e poche preoccupazioni finanziarie. Sono anche quelli che hanno potere d’acquisto e quindi determinano il mercato più dei “trentenni-mille euro”. E vivono un segmento di età di grande cambiamento, il che significa che gli toccherà reinventarsi. Mi sembra che ce ne sia abbastanza per renderli interessanti. O no?»
L’amicizia, il lusso e uno stile di vita molto glamour sono da subito protagonisti del tuo romanzo. Tuttavia non è un mondo tutto sorrisi e lustrini tanto che uno spiacevole incidente nella Chinatown made in Milano rischia di rovinare tutto, persino la loro amicizia…
«Sotto il vestito c’è di più… ci sono crepe – come per tutti, per di più trattandosi di persone adulte, con un bel pezzo di vita alle spalle. Alcune sono crepe superficiali, che si possono rattoppare facilmente, altre sono “strutturali” come direbbe l’ingegnere del quintetto, Maddalena. E allora c’è molto da lavorare e le mie protagoniste debbono rimboccarsi le maniche».
Quanto c’è di autobiografico in ciò che racconti? C’è un personaggio cui ti senti maggiormente affine?
«Nulla di autobiografico o di biografico. Sono personaggi d’invenzione, nati certamente a partire dalla galleria di persone che ho conosciuto negli anni, o magari anche solo sbirciato in treno, ascoltato dal parrucchiere. Su quei materiali lì sono andata d’immaginazione. E infatti nei ringraziamenti confesso di aver rubato a molti: case, vestiti, animali domestici, tic, modi di dire, professioni. Qualche amica ogni tanto mi telefona: “Ma il vestito di Marras è il mio, vero?”. Un’altra mi ha mandato un messaggio che diceva: “Clarence è orgoglioso e ringrazia” laddove Clarence è il suo cane che io ho attribuito ad Andrea… insomma, è motivo di divertimento».
Il rapporto con il tempo che trascorre inesorabile è un altro tema focale accanto a quello dell’amicizia. Silvia qual è il modo migliore per combattere le rughe e gli anni che volano via?
«Essere consapevoli innanzitutto che comunque lo faranno, a prescindere da noi: le rughe arrivano e il tempo parte. Seconda cosa: non contrastare la propria età intignandosi a vestirsi/comportarsi come a 20 anni. Sono comportamenti ridicoli, anzi grotteschi. Detto ciò, fare tutto quello che possiamo: se vi piace il lifting, va bene, come pure la palestra, le diete e quant’altro. Innamorarsi è un ottimo antidoto. Ma anche le amiche, quelle vere: sono uno strumento formidabile di resistenza alla vita».
Galline ad un primo impatto sembra un libro ad esclusivo uso e consumo delle lettrici. Ma una volta letta l’ultima pagina, si ha la sensazione che sia rivolto anche agli uomini, sbaglio?
«Non sbagli affatto e ti ringrazio di aver letto il mio romanzo con tanta attenzione. Fin dall’inizio mi ero proposta di fare degli uomini dei co-protagonisti, defilati magari, ma non figurine bidimensionali. Qualcuno ha detto che gli uomini ne escono male. Io direi che ne escono per come sono nella realtà – fatte le dovute eccezioni come sempre. Gli uomini hanno un decennio secco di vantaggio su di noi per quanto riguarda l’anagrafe biologica e un ventennio di svantaggio per quanto riguarda quella psicologica. Sono degli eterni ragazzi, per questo ci piacciono».
SILVIA BERGERO vive a Milano. Giornalista, ha lavorato presso diversi quotidiani e mensili ed è stata a lungo la responsabile di spettacoli e cultura per il settimanale “Grazia”. Ha inoltre condotto programmi su Radio3. Questo è il suo primo romanzo.
Fonte: www.tempostretto.it del 22 giugno 2011
Valentino: «Il mio sogno è sempre stato quello di poter vestire qualsiasi tipo di donna»
Taormina. Elegantissimo, in un completo di lino bianco con cravatta beige su camicia celeste e mocassini bianchi, lo stilista per eccellenza,Valentino Garavani, fa il suo ingresso sul palco del PalaCongressi di Taormina. Per cinquant’anni ha rappresentato l’essenza del Made in Italy diventando una vera e propria icona vivente, sino a “forgiare” un colore personale con cui ha firmato il proprio lavoro, quel “rosso valentino”, creato dopo un viaggio in spagna, che è entrato a far parte persino del dizionario comune. Il glamour e la classe degni di un festival che si rispetti, tornano a Taormina e la felicità del direttore artistico Deborah Young, che in America sognava i suoi abiti, è sinceramente condivisa da tutto il pubblico. Compreso chi vi scrive.
Valentino le piace Taormina?
«Sono un grande frequentatore di Taormina, trovo che sia un posto straordinario, una vera e propria perla. Senza dubbio i suoi colori mi hanno spesso ispirato. Passeggiando per il corso sono stato felice di vedere i ragazzi e le ragazze indossare colori e non quel trionfo del nero che domina nelle metropoli oggigiorno».
Il docu-film “Valentino. L’Ultimo Imperatore” racconta il suo ritiro dalle scene della moda, una vera e propria celebrazione che ha raccolto grande successo. Eppure lei non era affatto convinto…
«All’inizio, sinceramente, questo progetto non mi piaceva. Ci sono voluti 2 anni di riprese e spesso mi accorgevo troppo tardi che avevo la telecamera alle spalle. Avrei preferito che diverse scene e sfoghi rimanessero fuori dal film ma poi, a furia di vedere il successo che la pellicola otteneva proiezione dopo proiezione, mi sono reso conto che questo era il modo migliore per raccontare la mia storia, riprendendomi in azione, senza alcuna censura. Dovete credermi se vi dico che le macchine da presa erano dovunque. Avrei voluto che non riprendesse almeno la prova finale degli abiti, un momento che reputo sacro, ma non potevo impedirlo. Da oltre 240 ore di girato, il regista Matt Tyrnauer ha tirato fuori una sintesi che, dicono, essere perfetta».
Oggi il lusso rischia di scomparire con l’invasione del Made in china?
«Logicamente la moda cinese tenta di imitare la foggia e la varietà dei tessuti europei ma non credo che l’alta moda possa più rinascere. Io ho smesso al momento giusto, ne sono convinto. La Cina e altri paesi molto lontani non possono imitare il nostro stile ma imporranno abiti di massa e dal taglio comune. Comodi e poco costosi. Ma certo non lussuosi o eleganti».
C’è un archetipo di bellezza cui lei si rifà, una donna perfetta?
«Ho sempre disegnato, sin dai miei esordi, ispirato da quelle dive del cinema dei tempi passati che, in qualsiasi occasione, erano sempre eleganti ed impeccabili. Chi fa alta moda tiene conto di proporzioni perfette, misure ben precise. Ma ovviamente la mia idea, il mio sogno, è sempre stato quello di poter vestire qualsiasi tipo di donna, non solo un’elité. Sono convinto che qualsiasi donna, con un piccolo sforzo, possa diventare bella e per me è stato un vero onore poterle vestire».
Lei crede in Dio?
«Credo molto, la fede è un lato molto importante della mia vita. La mia vita mi ha dato successo e soddisfazioni ma l’essere credente mi ha sempre dato la forza necessaria per andare avanti».
Davvero non vorrebbe tornare sulla scena della moda?
«Adorerei poter continuare. Ho duemila idee che mi ronzano nella testa ma era il momento di voltare pagina e dedicarsi ad altro. Ho disegnato i costumi per il primo dell’anno all’Opera di Vienna e voglio lavorare a stretto contatto con il teatro. Inoltre sto allestendo nella mia casa di Parigi, un’enorme stanza con tutti i miei disegni, a disposizione degli studenti di moda. Un modo per mettere a disposizione di chi lo vorrà, la mia esperienza, i miei studi e forse persino i miei sogni».