Reinhold Messner, l’Ulisse delle vette
Ben 3500 vette scalate fra cui 31 spedizioni sopra gli ottomila metri fanno di Reinhold Messner l’emblema vivente dell’alpinismo, declinato come ricerca di se stessi a contatto con la natura e il suo lato indomabile. Ma Messner è un uomo dai molteplici interessi e da anni è impegnato con la Messner Mountain Foundation con la quale aiuta attivamente la gente della montagna, tanto che attualmente sta interamente ricostruendo un paesino sul versante pakistano dell’Himalya, distrutto da un’alluvione. Nel suo recente passato annovera anche cinque anni (1999-2004) al parlamento europeo – sfruttando la frattura del tallone – culminati con la pubblicazione e la consegna all’ONU dei dieci comandamenti per salvare le montagne. La casa editrice Corbaccio ha voluto celebrare le sue imprese e il suo pensiero con Tutte le mie cime (pp. 344; €29), un prestigioso diario di viaggio ricco di annotazioni tratte dai diari delle salite e corredato di sessant’anni di fotografie – ben 600 fra b/n e colore – che celebrano Messner a tutto tondo, raccontando i traguardi, le riflessioni e i viaggi (dalla cima del Nanga Parbat al deserto del Gobi) di un moderno Ulisse.
Quando nacque la sua passione per l’alpinismo?
Ho iniziato a scalare a cinque anni con i miei genitori e da allora in poi ho cercato sempre di scalare le vette più difficili e suggestive. Ho cambiato vita più volte, scalando sia gli ottomila metri che le montagne sacre e attraversando i deserti. Sono sempre stato spinto dalla voglia di vedere cosa ci fosse, oltre l’orizzonte.
Sottolinea più volte come sia cambiato, nel tempo, l’alpinismo…
Cambia velocemente e diventa sempre più sport. Presto avremo il cronometro e prima o poi si faranno le analisi antidoping agli scalatori, del resto si sa che molti di loro ricorrono a sostanze proibite per cercare di infrangere i record. L’alpinismo sportivo non mi interessa, io non scalo per conquistare la cima ma per conoscere me stesso, le mie paure, la mia felicità. Solo nelle situazioni estreme l’uomo non può più nascondersi.
Ma cosa si prova lassù in cima?
Sulla cima non c’è alcun momento celebrativo, come spesso si crede, è un momento di cambio fra salita e discesa. L’aria è talmente rarefatta che si procede molto lentamente e visto che in cima non c’è alcuna sicurezza, si ha solo voglia di tornare al campo base, al sicuro.
Riusciremo a ritrovare il giusto rispetto verso la montagna e la natura in generale?
Con l’alpinismo sportivo le montagne non saranno più battute come un tempo. Oggi il 90% dei giovani si arrampica indoor, solo per fare ginnastica senza alcun rischio: nessuno ha più voglia di camminare, di trovare la via giusta per la salita. Credo che il turismo nelle Alpi sia necessario per la crescita ma non c’è nessun bisogno di portare la funivia in cima al Cervino, no?
Fonte: Settimanale Il Futurista – n°28 del 15 dicembre 2011
Pubblicato il 2011/12/15, in Interviste con tag alpinismo, cervino, cime, corbaccio, everest, il futurista, messner, onu, ulisse. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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