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«Ai giovani siciliani consiglio di lasciare la propria terra». Pietrangelo Buttafuoco e la sua “Buttanissima Sicilia”

Pietrangelo Buttafuoco

Pietrangelo Buttafuoco

«In Sicilia chiudono le aziende che fanno i succhi di arancia. E’ una follia, come se in Francia chiudessero le aziende che producono champagne». Il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco da oltre un mese sta attraversando la sua amata Sicilia per promuovere il suo polemico libro-pamphlet “Buttanissima Sicilia. Dall’Autonomia a Crocetta, tutta una rovina” (Bompiani, pp. 256 €12) in cui racconta senza mezzi termini, il degrado politico della sua terra. Dagli “enti mangiasoldi” alla falsa battaglia NoMuos, dalla “giostra della formazione” al generale clima di indifferenza in cui è piombata la Sicilia, Buttafuoco non risparmia nessuno, nemmeno gli stessi siciliani, senza mai lesinare l’appellativo colto ma sfottente al politico, da Raffaele Lombardo (“mastro don Gesualdo”) a Rosario Crocetta (“il grande bluff”). Il fine ultimo? Causare uno shock, provocare un risveglio nei suoi conterranei, con la richiesta esplicita di un commissariamento regionale e l’abolizione dello Statuto d’Autonomia Regionale, unico frutto reale della trattativa Stato-Mafia. Leggi il resto di questa voce

Manlio Sgalambro: «La scrittura è la mia psicanalisi»

sgalambro3In un’elegante e sobrio appartamento nel centro di Catania, incontro il noto filosofo, scrittore e poeta Manlio Sgalambro. Camicia bianca abbottonata sino al colletto e un gilet nero pendant con i pantaloni, ci accoglie dinnanzi ad un lungo tavolo ingombro di fogli d’appunti, moltissimi libri e plichi postali, su cui si trovano anche due computer portatili: “prima scrivevo solo a penna ma ora lavoro anche al pc ma – aggiunge – quello che utilizzo non è connesso ad internet”. In attesa dell’autunno, quando uscirà “Apriti Sesamo” – il nuovo album di Franco Battiato con cui collabora sin dal 1993 – Sgalambro ritorna in libreria con “Della Misantropia” (Adelphi, pp. 120 euro 10) dove ha indagato lo stretto legame che essa intrattiene con la filosofia stessa, cui l’autore ammette d’aver dedicato l’intera vita, senza rimpianto alcuno. A dispetto della vis dei suoi scritti, Sgalambro (nato a Lentini, nel 1924) sfoggia una calma serafica, merito, a suo dire, dello sfogo concessogli dalla scrittura…

Lei scrive che la misantropia è intimamente connessa alla filosofia. Perché, sino ad oggi, non era stato trattato questo legame?

«Le idee, nell’accezione platonica, nascono da un forte distacco dalla realtà, un momento di forte contrapposizione che possiamo definire misantropico. La difficoltà sta nel fatto che un pensatore accademico e pacato, non può cogliere questo momento d’odio per la realtà che coglie la fecalità dell’uomo».

Afferma che la psicologia la ripugna come guardare dal buco della serratura.

«L’ho scritto e lo confermo. Detesto chi si conosce, anzi, io non mi conosco affatto. Se dovessi bestemmiare, direi che la scrittura è la mia psicanalisi».

A proposito, colpisce la contrapposizione fra la forza dei suoi scritti e la sua figura sobria e serena. Merito proprio della scrittura?

«Certamente la scrittura è capace di dare fuoco alle polveri. Come ammoniva l’ars poetica di Aristotele è possibile anche liberarsi dalle passioni e così io mi libero dall’odio scrivendone. In tal modo il mio lato misantropo mi ha lasciato più quieto».

Non si iscrisse alla facoltà di filosofia, piuttosto la studiò da autodidatta. Perché?

«Mi iscrissi a giurisprudenza ma prima diedi un’occhiata alla facoltà di filosofia e lì vidi un uomo malinconico, estraneo a tutto e dissi all’amico con cui ero, “ecco un filosofo”. Ma lui replicò, “no, ha saputo che sua moglie l’ha tradito”.

Praticamente tutti i suoi libri sono editi da Adelphi. Perché scelse questa casa editrice?

«Mi indirizzai a loro con decisione perché i loro libri erano i più puri, i più avulsi da altri interessi. Inviai il manoscritto, avevo 55 anni e dopo due anni di silenzio mi chiamò Roberto Calasso e mi disse che le mie idee sulla pagina “non erano solo mature ma marcie”. Poco dopo uscì “La morte del sole”, il mio primo libro con Adelphi cui seguirono tutti gli altri».

Lei si è sempre schierato contro l’antimafia intellettuale propria di Sciascia e Fava. Conferma tutto?

«Senza dubbio, poiché costoro operavano solo con un tratto di penna, facendo il bene astratto e il male concreto. Ovviamente la lotta sul terreno contro la parte necessaria della mafia, quella condotta da Falcone e Borsellino, era cosa ben diversa. Viceversa questi intellettuali antimafiosi avevano perso di vista la realtà di fatto e non tenendo conto dei limiti del territorio, hanno contribuito ad un regresso, credo non momentaneo, della Sicilia. Del resto quando si tornano periodicamente ad esaltare le pagine di Leonardo Sciascia o Claudio Fava relativi a tali temi, si fa sfoggio della retorica tutta siciliana, in cui trionfano gli ideali del “non volere”, affini alla sua natura intimamente vegetativa e nirvanica».

Il libro si conclude con una presa di coscienza, “io mi possiedo”. Ovvero?

«Io posseggo delle idee, per cui non mi riferisco a me stesso soltanto dicendo “sono” ma anche e soprattutto “ho”. Le idee sono il mio patrimonio e almeno questo non lo possono tassare».

Le mancano alcune figure siciliane del passato come D’Arrigo e Bufalino?

«Certamente. D’Arrigo era davvero un genio straordinario ma venne lasciato colpevolmente isolato. Oggi invece si preferisce adorare Camilleri che, linguisticamente, è molto più povero e banale. Bufalino era un’altra grande intelligenza. Ricordo che un giorno era accanto a Sciascia e lo ascoltava parlare di mafia. Sulle sue labbra credetti di notare un leggerissimo sorriso, come chi compatisce benevolmente».

La collaborazione con Franco Battiato si rinnoverà?

«Sì, nel prossimo autunno uscirà un nuovo album che dovrebbe chiamarsi “Apriti Sesamo”. Lui non scriveva musica da quattro-cinque anni e sono stato io a convincerlo a farlo, cominciando a spedirgli testi di canzoni dallo scorso maggio. Credo proprio di aver fatto bene».

Vorrei chiederle un’ultima cosa…

«Quando morirò?».

Per carità. Piuttosto lei che idea ha dell’aldilà?

«Cosa vuole che ci sia amico mio? Noi siamo qui e dobbiamo cercare di fare qualcosa. Io ho fatto canzoni, ho scritto libri e mi sono messo un gruzzoletto da parte. Mi piacerebbe seguire le sorti di Kierkegaard il quale stabilì che la sua morte dovesse avvenire nel momento in cui liquidava l’ultima moneta del suo patrimonio. E fu proprio quello che avvenne».

Francesco Musolino®

Fonte: La Gazzetta del Sud

Il giornalista Gianni Bonina: «Il segreto di Camilleri? Spiazza il lettore, innova e si ricongiunge alla tradizione letteraria siciliana per eccellenza»

Il giornalista siciliano Gianni Bonina, torna in libreria con “Tutto Camilleri”, un prezioso volume edito da Sellerio (pp. 836; €26). Bonina ha saputo riporre in questo esaustivo volume enciclopedico le trame, le ascendenze letterarie e persino l’interpretazione critica di tutti i libri già pubblicati di Andrea Camilleri, del quale, a ragion veduta, è considerato il più importante biografo. Un libro imperdibile per tutti gli amanti di Camilleri ma anche per chi, vuol capire le ragioni del suo successo letterario, che lo ha reso celebre in tutto il mondo.

Com’è nata l’idea di questo libro?

«Probabilmente dal fatto che mancasse qualcosa del genere: una guida al lettore dell’enorme opera di Camilleri che desse conto non solo di ogni trama o sinossi di ciascun libro ma che riferisse, titolo per titolo, l’opinione dell’autore e del critico».

Cosa ha scoperto studiando l’universo di Camilleri? Ci sono delle costanti, qual è, a suo avviso, il segreto del suo successo?

«Per rispondere a tali domande ho scritto un libro di 850 pagine. Difficile rispondere in breve. In linea del tutto generale possiamo fissare alcuni punti certi. Nel panorama letterario di questi anni (dopo la grande triade siciliana Sciascia-Bufalino-Consolo), Camilleri rappresenta l’autentico fatto nuovo oltre a costituire l’erede legittimo di una tradizione che rimanda innanzitutto a Verga e poi a Pirandello. E non solo per la sua vena fortemente sperimentalista, quanto per alcuni temi che sembravano appartenere a mondi diversi e che lui ha saputo sintetizzare e riconfigurare. Un esempio su tutti: la frantumazione dell’io interiore, propria di Pirandello, e la nobilitazione dei faits divers che viene da Sciascia trova in Camilleri una sistemazione riuscita e inattesa. Un altro motivo di novità è dovuto allo stile: diversamente da come abbiamo sempre letto, è lui che si esprime in dialetto mentre talvolta i personaggi parlano in lingua. Questo rovesciamento dei ruoli determina astrazione nel lettore, che se fosse uno spettatore si troverebbe davanti a una scena dove il regista sta con gli attori e parla loro in una pronuncia che suscita ilarità e sorpresa. Il segreto del suo successo è forse nella forza che ha messo nel rompere la macchina narrativa e di ricomporla con gli stessi pezzi. Una superficiale critica letteraria da tempo lo ha relegato nel novero degli autori di intrattenimento, destinati a vivere il tempo della loro vita, ma arriverà il momento in cui la sua opera formerà oggetto di una ricerca più attenta e intelligente».

C’è un libro che, per antonomasia, lei consiglierebbe per approcciarsi da neofita alla lettura di Camilleri?

«A me piacciono le sue favole realistiche, quelle della “trilogia della metamorfosi”: Maruzza MusumeciIl casellante Il sonaglio. Ma la scelta è vastissima, al punto che dell’opera camilleriana si può parlare di generi. Figurano i romanzi borghesi, in pretto italiano, gli apocrifi, gli apologhi, la memorialistica, la saggistica, l’interventistica. E poi c’è Montalbano. Concordo comunque con quanti ritengono Il birraio di Preston e La concessione del telefono i suoi lavori migliori. Ma, ad una spanna, possono situarsi Il tailleur grigioLe pecore e il pastore,L’intermittenzaIl nipote del Negus. Potremmo continuare».

Tempo fa, l’assessore alla formazione della regione Sicilia, Mario Centorrino, invitò a lasciar perdere Camilleri e Lampedusa per preferirgli una letteratura più “lieve”. Scatenò forti polemiche ma lei cosa ne pensa?

«Centorrino fa parte di un governo il cui presidente avrebbe voluto invece che Camilleri presiedesse il suo nuovo partito, mai nato. Se vuole, il segno di quanto questo governo sia sconclusionato e schizofrenico. Non credo che né Centorrino né Lombardo possano occuparsi di letteratura e tantomeno di Camilleri».

É corretto dire che Camilleri ha lanciato un movimento di rivalutazione del dialetto, siciliano ma non solo?

«Nessuno credeva possibile quanto è avvenuto. Eppure era già successo ad Odessa dove Angelo Musco recitò in catanese facendo ridere tutto il teatro. Sciascia sconsigliava a Camilleri di scrivere in dialetto e Brancati aggiungeva sempre a ogni parola la versione in italiano. Camilleri ha scommesso sulla capacità del dialetto di nobilitarsi e fa comprendere anche in Veneto termini come “gana” e “tambasiare” semplicemente suggerendone il significato semantico. Le antiche tragedie greche venivano recitate in dialetto, dorico o ionico, e la gente non risulta che facesse mostra di non gradire o non comprendere. Probabilmente Camilleri ha fatto la più ardita delle operazioni: ha schiacciato come Colombo l’uovo per farlo stare in piedi. Mi pare ci sia riuscito».

L’ha fatta sorridere la lettera che il commissario UE spedì a Camilleri per convincerlo a non far più mangiare “la novellata” a Montalbano? Forse è il segnale che il commissario è diventato tanto celebre da uscire fuori dal libro?

«Mi fanno più sorridere – e riflettere – le lettere che Camilleri riceve da lettrici che pretendono di dettargli le mosse: non solo di Montalbano ma anche di Livia, di Augello e persino di Catarella. E’ il segno che il personaggio è diventato reale: come avvenne ad Anna Karenina per esempio. Oscar Wilde disse che non si era più ripreso dal dolore per la sua morte.

(di Francesco Musolino)

Gianni Bonina, giornalista, vive a Catania dove dirige il magazine letterario «Stilos». Ha pubblicato l’inchiesta Il triangolo della morte (Meridie, 1992), il romanzo Busillis di natura eversiva (Lombardi, 1997), la raccolta di racconti L’occhio sociale del basilisco (Lombardi, 2001), il reportage L’isola che trema (Avagliano, 2006), il saggio Maschere siciliane (Aragno, 2007). Per il teatro ha scritto Ragione sociale (Premio Pirandello 2000) e ha curato l’inedito di Serafino Amabile Guastella Due mesi in Polisella (Lombardi, 2000). Con questa casa editrice ha pubblicato il saggio I cancelli di avorio e di corno(2007) e Tutto Camilleri (2012).

Fonte: Tempostretto.it del 17 aprile 2012