
«La mia vera ed unica ossessione è amare ed essere amata». La giornalista Annarita Briganti si racconta in una lunga intervista in occasione della pubblicazione del suo primo romanzo – della «sua creatura» – Non chiedermi come sei nata (Cairo editore) e trattandosi di una nota intervistatrice è molta la curiosità di trovarla, innanzitutto, dall’altra parte della barricata mediatica, a dover rispondere, piuttosto che a domandare.
Gioia Lieve è la protagonista/alter ego di Non chiedermi come sei nata ma si farebbe un gran torto se definissimo “leggero” il suo primo romanzo difatti, dopo un incipit bruciante (“Ho abortito dieci giorni fa”) la Briganti ci conduce per mano ma di corsa, nel turbinio esistenziale della sua protagonista cui la vita non offre alcun appiglio, né professionale né sentimentale.
Gioia Lieve viene dipinta come una delle principali protagoniste del precariato culturale italiano eppure è costretta a part-time di sussistenza pur di poter sopravvivere alla sua passione lavorativa e contestualmente, il suo partner, Uto, sembra fin troppo concentrato sul proprio Ego per poterle offrire un vero supporto emotivo in barba alle apparenze.
Una scrittura pungente e talvolta crudelmente ironica come si conviene ad un romanzo fucsia che ha il suo nucleo concettuale in una ricerca della maternità, ostacolata dal Caso ma soprattutto dalla burocrazia e dal retroterra cattolico del nostro paese, fotografato nella sua perbenista e moralista. Gioia si lancia in una cascata di esami, terapie ormonali e visite specialistiche che la Briganti espone in pagina anziché nascondere nelle retrovie del non detto, lanciando un messaggio forte, chiaro e immediato: oggi, una donna, deve davvero essere costretta a rischiare la vita – o a dilapidare un patrimonio – per scoprire la gioia della maternità?
L’intervista integrale sul blog Ho un libro in testa
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