#HoLettoCose – In Altre Parole (Jhumpa Lahiri – Guanda, 2015)
#HoLettoCose – In Altre Parole, Jhumpa Lahiri – Guanda, 2015
Togliamoci subito il dente. La mia compagna l’ha presa bene. Davanti allo schermo del mio iMac, ha letto le prime righe di #HoLettoCose
Ed ha sorriso.
“Bell’idea lanciare una nuova rubrica libri online” mi ha detto.
E poi, appena ho abbassato le difese, mi ha gelato:
“Ma quanto durerà?”.
Ma io faccio finta di nulla e mentre il progetto lettura noprofit @Stoleggendo sfiora quota diecimila followers, parto con la seconda puntata di #HoLettoCose: questa nuova rubrica libri scanzonata, non richiesta ed emotiva.
Diciamoci la verità, chi non vorrebbe avere Jhumpa Lahiri come insegnante di italiano?
Lo scorso anno la scrittrice nata a Londra e cresciuta fra l’India e gli States, ha raccontato a puntate su Internazionale, il suo viaggio di avvicinamento alla lingua
italiana avvenuto anche fra i ponti di Venezia e la magnificenza di Roma che è raccontato (con l’aggiunta del bel racconto finale “Penombra”) nel libro “In Altre Parole” (Guanda editore, pp.156 €14). Sì avete letto bene, Jhumpa Lahiri pur potendo scrivere in inglese – o in bengalese – ha deciso di scrivere in italiano. Non è la prima scrittrice a farlo ma onestamente c’è di che essere orgogliosi se la vincitrice del Premio Pulitzer alla narrativa nel 2000 ha fatto questa scelta, no?
(Eppure recentemente ho letto sul Corriere che sin dalle elementari i ragazzi studieranno materie didattiche direttamente in lingua straniera. Il metodo del Clil. Sicuramente funzionerà ma onestamente quando leggo queste cose sono felice di aver finito le scuole da un pezzo).
Ad ogni modo affascinato dalla musicalità della prosa della Lahiri mi sono tuffato su questo libro. E così come Benigni elogia la ricchezza di Dante in tv, Jhumpa celebra la difficoltà di
apprendere quell’immenso bagaglio che è il nostro lessico («rimango incerta sulla differenza fra limite e limitazione, funzione e funzionamento), soffermandosi proprio sulle minuzie, sulla complessità degli aggettivi, sulle sfumature («certe parole che si somigliano mi tormentano»), leggendo i nostri classici per poi fatalmente dimenticare tutto o quasi, come sempre accade quando si impara una nuova lingua e si resta a bocca aperta a farfugliare parole. Eppure non è il risultato ma l’imperfezione, non la certezza ma il dubbio, ciò che cercava Jhumpa Lahiri spingendosi verso le spigolose coste della nostra lingua.
E la svolta arriva a pag.90. Complice un catalogo per il festival di Capri, si trova a scrivere in italiano per poi doversi tradurre, da sola, in inglese:
«rispetto all’italiano, l’inglese mi sembra prepotente, soggiogante, pieno di sé».
Leggere un libro in italiano sull’italiano in cui una scrittrice madrelingua inglese racconta come e perché ha imparato la nostra lingua può sembrare strano.
Prendetelo come un dono.
Ancora oggi Jhumpa Lahiri gira con un taccuino in cui annota le parole che vorrebbe padroneggiare, far proprie.
E il vostro lessico com’è?
Ricco, vasto, curioso, noioso, incasinato, colto, banale?
In fin dei conti questo libro dice una cosa molto intelligente: bisogna essere curiosi. Non per forza folli, ma curiosi sì.
«I libri sono i mezzi migliori – privati, discreti, affidabili – per scavalcare la realtà».
«Scrivo per sentirmi sola. Fin da ragazzina è stato un modo di ritirarmi, di ritrovarmi».
«Più mi sento imperfetta, più mi sento viva».
p.s. Leggetelo. E se ne avete voglia, scrivetemi qui: holettocose@outlook.it
Francesco Musolino
Pubblicato il 2015/02/09, in Uncategorized con tag #holettocose, bengalese, clic, dono, emotiva, guanda, in altre parole, inglese, internazionale, italiano, jhumpa lahiri, moglie, non richiesta, penombra, pulitzer, rubrica libri, venezia. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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