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Giuliana Altamura si racconta: «La paura è condizione necessaria della crescita»

Giuliana Altamura

Giuliana Altamura

Corpi di Gloria (Marsilio, pp.176 €16) è il romanzo d’esordio della scrittrice Giuliana Altamura già vincitore del Premio Rapallo Carige Opera Prima 2014. Al centro della narrazione, fluida e molto visiva nelle sue descrizioni, c’è il racconto dell’estate di un gruppo di giovani figli della provincia pugliese. Il disturbo alimentare di Gloria, il difficile confronto con l’immobilismo del sud italiano del fratello Andrea, l’inevitabile ingerenza della droga, il valore del sesso e quello dei soldi entrano in pagina in modo diretto ma non subdolo, con una scrittura chiara e scorrevole mai povera o scontata. In un villaggio di Riva Marina dove tutte le case sono uguali e il tempo scorre lento come se i minuti fossero intrisi di colla, va in scena una rappresentazione della generazione dei ventenni odierni che sfugge a tanti cliché: ecco perché il libro d’esordio di Giuliana Altamura, Corpi di Gloria, dovrebbe essere una lettura d’obbligo nei licei italiani.

Hai dichiarato: “Il mio Sud è una metafora dell’adolescenza, di un tempo sospeso, un limbo dentro un’estate che volge al termine”. Qual è stata la scintilla di Corpi di Gloria?

Tornando in Puglia ogni estate e osservando il cielo del Sud, terso e luminosissimo, mi sono resa conto di quanto la sua bellezza fosse atroce, splendida e allo stesso tempo paralizzante, capace di immobilizzare ogni cosa. Ho collegato questo sentimento di sospensione, terribile e affascinante insieme, al limbo dell’adolescenza – un’estate che sembra eterna, ma che dovrà presto finire, esattamente come quella vissuta dai miei personaggi, destinati come tutti all’ineluttabilità della crescita. Leggi il resto di questa voce

“Voglio raccontare la parte oscura che teniamo dentro”. Teresa Ciabatti si racconta

Un antropologo culturale forse scuoterebbe la testa, magari preferendo un contatto diretto con la società osservata ma per studiare e comprendere il mondo della televisione italiana – e le sue peculiarità – in fondo bastano un divano comodo, molto tempo a disposizione, tanta curiosità e nemmeno un pizzico di snobismo. Così ha fatto la scrittrice e sceneggiatrice Teresa Ciabatti – diverse sceneggiature dal 2000 in poi, fra cui quelle per Tre metri sopra il cielo e Ho voglia di Te al fianco di Federico Moccia – autrice del graffiante Tuttissanti, edito da Il Saggiatore (pp.64 €10). A metà fra un saggio alla Guy Debord sulle storture della società dell’immagine e una favola nera moderna, la Ciabatti porta in pagina Lucio Lualdi, un impresario del mondo dello spettacolo che sente d’avere una missione quasi evangelica; al suo fianco un folto gruppo di ragazzi belli depilati e intercambiabili, su cui spiccherà Christian Russo, ragazzo aitante della periferia, deciso a tutto pur di diventare famoso, celebre e inarrivabile. Bastano poche righe di Tuttissanti per appiccicare un nome e un cognome al personaggio principale, passato dalle stelle alle stalle, da Porto Cervo al carcere, pur restando sempre al centro delle pagine di cronaca…ma ciò che conta davvero è la scrittura netta ed emotiva con cui la Ciabatti affronta il lettore e lo spinge, pagina dopo pagina, sempre più vicino al limite, sino a considerare il corpo come un mezzo, uno strumento professionale per raggiungere lo scopo.

Teresa, come nasce questo libro?

In pratica, per esigenze familiari e lavorative, vivo barricata in casa (si lascia andare ad una risata) e passo molto tempo davanti alla tv, per cui questi personaggi me li trovo continuamente fra i piedi, pur senza volerlo. Questo libro è il frutto di un’osservazione durata anni. Tutti conosciamo fin troppo bene il lato marcio di questo ambiente ma io mi sono soffermata sul lato sentimentale che esiste realmente. Se Fabrizio Corona si rifà ad un immaginario quasi satanico, Lele Mora parla di pace con una voce pacata, è sempre vestito di bianco e si muove accompagnato da un folto gruppo di ragazzi quasi come fossero apostoli. I suoi riferimenti sono fortemente religiosi, sembra davvero Gesù Cristo.

Nel libro non lo nomini mai ma è chiaro che il tuo protagonista è Lele Mora.

Beh, non lo nomino perché avrei dovuto chiedergli il permesso. Ma anche perché volevo insinuare un dubbio nel lettore, lasciarlo libero di leggere senza dover per forza associare un viso noto al nome del protagonista. Leggi il resto di questa voce

«Uno scrittore deve avere qualcosa di diabolico». Parola di Hanif Kureishi

Presentato in Italia in anteprima mondiale, da pochi giorni è in libreria “L’Ultima Parola” (Bompiani, pp. 304 Euro 18), il nuovo libro dello scrittore anglo-pachistano Hanif Kureishi, già autore di best-seller come “Il Budda delle periferie” e “Il corpo”, nonché apprezzato drammaturgo, saggista e sceneggiatore. Protagonisti di questa commedia brillante umana sono Harry, un giovane biografo inglese e Mamoon, un anziano scrittore indiano dalla fama mondiale, ormai inaridito artisticamente. Alla ricerca della consacrazione professionale ma soprattutto per rimpinguare il suo esiguo conto in banca, l’ambizioso Harry riesce a farsi assegnare dallo spregiudicato editor Rob, l’incarico di scrivere la biografia del grande scrittore indiano ma questi si rivelerà molto ostile e il suo passato fin troppo torbido. Mamoon, difatti, è un personaggio scomodo che ha rifiutato le origini indiane abbracciando la way of life britannica e si è ritirato nella campagna inglese e al suo fianco impera la seconda moglie Liana, una passionale donna romana cinquantenne che non potendo gettarsi nello shopping e nei ricevimenti londinesi, placa la sua frustrazione – anche sessuale – elaborando continue e costose modifiche alla magione che hanno prosciugato le finanze dello scrittore. L’idea della biografia è ordita proprio dalla mente di Liana che vorrebbe rilanciare la fama del suo amato, sognando la consacrazione con un film dedicato alla sua vita, al loro stesso incontro. Tanto Liana che Rob sono convinti di poter manovrare l’inesperto Harry per i propri interessi, ma l’ambizione e la fame di soldi riusciranno a far tacere il suo orgoglio?

Si tratta di un libro ricchissimo, scritto con uno stile aggressivo, forgiato d’una arguta ironia, merce rara oggi più che mai. Sulla pagina, afferma l’autore, «si agitano passioni, tradimenti e uomini che parlano di donne» mentre sullo sfondo emerge l’importanza dell’aspetto multiculturale dell’Inghilterra odierna. Ma questo libro è soprattutto un inno alla scrittura e all’arte dello scrivere, declinata tanto come fuoco sacro, che come viatico per raggiungere denari e successo. Lungo le 304 pagine, inscenando il duello verbale fra l’anziano Mamoon e il giovane Harry, corso al suo capezzale per tesserne gli elogi e carpirne le nefandezze degli amori passati, Kureishi gioca a provocare, chiamando in causa grandi nomi della letteratura («nessuna persona per bene ha mai preso la penna in mano») e riflettendo sull’essenza stessa delle relazioni umane. Un romanzo scoppiettante che presto diventerà un film (prodotto dalla Working Title Film), interamente sceneggiato dallo stesso Kureishi che ha confessato di voler il premio Oscar e baronetto britannico, Ben Kingsley nei panni dello scrittore indiano.

Per un gioco delle parti, se domani un giovane giornalista bussasse alla sua porta con l’idea di scrivere la sua biografia, quale sarebbe la sua reazione?

«Sarei molto entusiasta all’idea e mi augurerei che il giornalista in questione possa trovare la mia vita scandalosa, fuori dagli schemi, ributtante, disgustosa».

Con questo libro ritorna nelle ambientazioni della sua infanzia. Perché ha scelto questo scenario?

«Oggi ho un’età che oscilla fra quella dei miei due personaggi. Mi trovo nel mezzo fra l’età di Harry che ha voglia di spaccare il mondo e quella di Manoon che è esaurito, completamente scarico. Ovviamente in questo libro ho potuto riflettere molto sulla professione di scrittore, non solo sulla scrittura come forma d’arte ma intesa come mestiere, come mezzo di sostentamento…».

Ma c’è anche una traccia sociologica nel suo libro…

«Ho voluto analizzare la società inglese e mi piace riscontrarvi una forte componente multiculturale che spicca fortemente e rende più ricco il paese, al passo con i tempi. Però c’è anche spazio per le passioni e i tradimenti e in definitiva, secondo me, questo libro è una commedia».

Scrive che “uno scrittore è amato dagli sconosciuti e odiato dalla sua famiglia”. Vale anche per lei?

«Se sei fortunato ci arrivi ad essere odiato dalla famiglia e amato dagli estranei. È molto importante che uno scrittore riesca a dire cose difficili. Un’artista deve aver qualcosa di diabolico, deve causare qualche guaio. Pensiamo alla storia della letteratura, a scrittori celebri come Baudelaire, Maupassant, Flaubert o Lawrence; è chiaro che gli scrittori sono spesso fuorilegge e non dimentichiamo che ancora oggi, in vari paesi, molti scrittori sono in carcere. Soprattutto in Pakistan, dove preferiscono metterli sotto chiave piuttosto che leggerne i libri».

Fa affermare a Rob che “lo scrittore è un messaggero di verità, un rivale di Dio”. Una bella definizione per il suo mestiere…

«Beh, Dio è un fastidio notevole perché impedisce che accadano le cose più interessanti. Ma la fantasia umana supera di gran lunga quella divina, per questo deve essere sdoganata e restituita agli esseri umani, senza alcun condizionamento divino o religioso. In passato ci sono stati periodi in cui la cultura e la religione andavano a braccetto ma oggi non è così. Almeno i rasta c’hanno dato Bob Marley».

Harry sembra propenso a giustificare qualsiasi cosa a Mamoon poiché lui, come artista, deve spingersi verso l’Oltre. Secondo lei esiste un limite etico da non oltrepassare?

«Mi interessa molto il rapporto che corre fra ciò che fa l’artista e quello che possiamo perdonare all’essere umano. In pratica dovremmo essere capaci di valutare un’opera d’arte a prescindere dal tipo di vita che ha condotto l’artista, tuttavia mi rendo conto che è molto complicato. Pensate a Polanski. Il fatto che abbia abusato di una tredicenne molti anni fa è difficile da accettare moralmente ma questo può influenzare la nostra valutazione del suo lavoro artistico?

Ha dichiarato che per la formazione di un individuo, la fedeltà e l’infedeltà sono importanti allo stesso modo. Perché?

«Il tradimento è il risultato dell’individualità. Ad esempio, il fatto che i miei figli si ribellino contro me o che abbiano gusti diversi, dichiara la loro identità, diversa dalla mia. Qualcuno che ti tradisce nel contempo dichiara la propria fedeltà verso qualcosa che reputa più importante, come un ideale».

Volendo trovare un cattivo, potremmo individuarlo in Rob, l’editor?

«Rob vuole semplicemente che il libro venda molte copie, seguendo i propri interessi. Ma al tempo stesso ama la letteratura e finisce per idealizzare gli scrittori, qualcosa di molto pericoloso…».

Perché?

«Idealizzare un’artista è come creare una divinità. Dobbiamo riportare l’arte alla gente, in mezzo alla gente».

Mr. Kureishi dal libro emerge una domanda su tutte: quanto dovremmo impegnarci in una relazione amorosa?

«Perché lo chiede a me? Non ne ho proprio idea».

 Francesco Musolino®

Fonte: La Gazzetta del Sud, 2 novembre 2013