Luca Telese presenta il suo romanzo a Messina e parla della crisi economica italiana: «noi la festa non ce la siamo affatto goduta»

Luca Telese – il conduttore di In Onda su La7 e firma de Il Fatto Quotidiano – ha presentato il suo ultimo libro, “La Marchesa, la Villa e il Cavaliere” (Aliberti editore) alla libreria Circolo Pickwick nell’ambito del cartellone di presentazioni letterarie ideato e curato dal giornalista messinese, Francesco Musolino che ha dialogato con l’autore e la giornalista televisiva, Carmen Di Per.

Telese è stato protagonista con charme e ironia, dialogando a viso aperto con i tanti lettori e curiosi che hanno affollato la libreria messinese. Sono stati davvero numerosi gli argomenti trattati, visto che lo scandalo dei Casati-Stampa, vera e propria cesura morale nell’Italia borghese degli anni ’70, ha portato alla ribalta tanti personaggi di primo piano, da Cesare Previti sino a Silvio Berlusconi che, con un’abile manovra, si impossessò della Villa San Martino ovvero la Villa di Arcore.

Riguardo alla politica, alla crisi e ai drastici sacrifici in vista, Telese afferma: «Vogliono farci credere che siamo tutti sulla stessa barca ma quando abbiamo proposto di tassare quelli che hanno approfittato dello scudo fiscale, c’è stata un’incredibile levata di scudi. Vogliono farci credere che faremo tutti gli stessi sacrifici ma noi la festa non ce la siamo affatto goduta ed è bene dirlo chiaramente per non essere presi in giro».

E riguardo alla strettissima attualità, alle folli violenze dei “neri” di domenica 16 ottobre, Luca Telese non è affatto comprensivo, anzi: «Ci piace raccontarci che quei teppisti erano poveri e frustrati così possiamo, come è capitato, prenderne le distanze senza condannarli. Ma dietro quella violenza ingiustificata non c’è la povertà, c’è solo la stupidità! Pensate ad un personaggio come “Er Pelliccia” che vorrebbe essere un leader indignato ma, si scopre che è andato all’università privata e il suo avvocato ha persino cercato di sostenere l’incredibile tesi secondo la quale “Er Pelliccia” avrebbe scagliato l’estintore non per fare male ma…per spegnere l’incendio. Incredibile!”». E infine Telese prosegue affermando: «Sono molto preoccupato per queste violenze perché c’è dietro la negazione dell’altro, un concetto davvero molto pericoloso».


«Montanelli aveva già capito che il berlusconismo pesca nella parte più oscura dell’animo italico, del resto la politica non inventa nulla, semmai riproduce e amplifica il sentire e le tendenze in atto nella società». E riguardo ad una ipotetica fine del berlusconismo, Telese afferma: «Berlusconi sembra un personaggio degno di Shakespeare. Come Otello sta rinchiuso nel suo castello, fra vizi passioni e gelosie. Eppure ha sempre un asso nella manica ed è un maestro del bluff, per cui non mi sento di escludere che all’ultimo momento non passi la mano a Maroni e Alfano…mettendo le basi per un’altra vittoria».

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Simonetta Agnello Hornby affascina il pubblico messinese e lo invita a scrivere le ricette familiari

Oltre duecento persone hanno accolto la scrittrice siciliana Simonetta Agnello Hornby in occasione della sua presentazione presso la libreria Circolo Pickwick di Messina, svoltasi mercoledì 28 settembre.

Circa due ore serratissime, durante le quali la scrittrice – autrice di libri best-seller come “La Mennulara” e “La Monaca” – ha intrattenuto e affascinato il pubblico con ironia e la sua proverbiale­ ars oratoria. L’occasione di poter parlare del suo ultimo libro, “Un filo d’olio”(Sellerio) ha permesso alla Hornby – che ha dialogato conFrancesco Musolino e Bianca Favaloro – di ripercorrere ­gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, fra aneddoti curiosi e divertenti aneddoti. La cucina siciliana, non priva di influenze ed esperimenti, è stata la grande protagonista dell’incontro e la scrittrice ha salutato il pubblico con un invito accolto con grandi applausi: «Scrivete le vostre ricette e quelle della vostra infanzia. Non abbiate paura di provare e di mettervi in gioco».

L’evento fa parte del cartellone di presentazioni organizzato e curato dal giornalista Francesco Musolino che proseguirà, giovedì 6 ottobre (h 18,30), con la presenza della scrittrice Elvira Seminara, autrice di “Scusate la polvere” (Nottetempo edizioni).

«La libreria Circolo Pickwick – ha affermato Stefano Trifirò – si appresta a tagliare il traguardo dei due anni di vita. L’incontro fra Simonetta Agnello Hornby e i lettori messinesi è certamente uno fra i momenti più belli che ricordo. Un segnale chiaro che la città ha tanta voglia di cultura di qualità».

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Una chiacchierata con… Francesco Musolino (di Massimo Maugeri) – Settembre 2011

10636027_10204170285433916_8749674041356626951_nTra i nomi dei giovani giornalisti culturali siciliani, spicca quello del trentenne Francesco Musolino (nella foto), il quale può vantare al suo attivo svariate e fruttuose collaborazioni con giornali e magazine, tra cui StilosLeggere:Tutti, Satisfiction e il Corriere Nazionale. Inoltre collabora con Vogue.it. Per il quotidiano di Messina, Tempostretto.it e il settimanale siciliano Centonove cura le pagine di cultura e spettacolo e cura le rubriche dedicate ai libri.

Francesco Musolino, vive a Messina dove ha conseguito la laurea in Scienze Politiche con tesi sul pensiero di Ernst Jünger circa il progressivo dominio della tecnica sull’uomo dalla grecità ad oggi.

Il suo sito web èfrancescomusolino.com

Francesco, quando hai cominciato a interessarti di libri e letteratura?

«Il primo vero ricordo legato ai libri risale alla primavera del ’92 quando mia madre mi regalò “La Compagnia dei Celestini” di Stefano Benni, acquistato in una libreria romana. Nonostante i miei familiari fossero lettori voraci, sino a quel momento non avevo un buon rapporto con i libri ma quel romanzo, così fantasioso e originale, fece scattare la scintilla e da quel momento in poi i libri non solo fanno parte della mia vita, ma la rendono più ricca e profonda. Ben presto cominciai ad appuntare ai margini delle pagine, curiosità e domande rivolte allo scrittore che leggevo, fin quando passai una notte intera a chiedermi quale sarebbe stata la mia strada. Il mattino dopo mi misi in cerca di una testata online che reclutasse giovani collaboratori e solo qualche giorno dopo cominciai a scrivere per il giornale romano Gufetto.it. Era il 2006 e fu così che tutto cominciò».

Quali sono le maggiori difficoltà con cui, oggi, deve confrontarsi un giovane giornalista culturale siciliano per svolgere il suo lavoro?

«Partiamo in ordine alfabetico? Scherzo ma purtroppo gli ostacoli sono numerosi. In primo luogo bisogna fare i conti con gli stessi colleghi che troppo spesso giudicano con superficialità chi si occupa di quella che un tempo veniva chiamata “Terza Pagina” ovvero la pagina cultura per eccellenza. Nutro sincera stima per gli analisti economici o per gli editorialisti di politica ma sono convinto che saper porre le giuste domande ad un attore o cogliere l’essenza di un romanzo non sia affatto banale, anzi. Soprattutto bisogna fare i conti con buona parte degli editori che troppo spesso, pur avendone i mezzi, credono si possa non pagare – o sottopagare – chi si occupa di libri, cinema e spettacolo».

Hai mai pensato di emigrare per cercare “fortuna” lontano dalla Sicilia?

«Certamente. Da una parte è necessario sapere che bisogna sapersi spostare con facilità verso Roma, Milano e Torino, i maggiori centri culturali italiani, per respirarne le atmosfere e conoscerne gli attori principali. Ma vista una certa ritrosia del territorio, spesso penso quanto potrebbe essere diversa la mia vita e la mia professione se vivessi lì, a stretto contatto con l’ambiente di cui scrivo. Tuttavia mi piace pensare che sia possibile parlare e scrivere di cultura a Messina – e in generale nel Sud – facendo una vita serena e non precaria. Per questo continuo a seminare e ad impegnarmi al massimo nel mio lavoro, fra libri, mail, recensioni ed interviste. E se un giorno dovessi stancarmi…la valigia è sempre pronta».

Che consigli ti sentiresti di dare a un ragazzo che sogna di fare il giornalista culturale?

«Credo che l’importante sia impegnarsi giorno per giorno, lavorare sul proprio stile ispirandosi alle firme famose senza mai copiarle. Bisogna leggere moltissimo e non aver paura di muovere critiche anche a chi viene ritenuto, a torto o a ragione, intoccabile. E infine consiglierei di essere modesti ma al tempo stesso ambiziosi. In fin dei conti chi vorrà davvero fare il giornalista si renderà conto ben presto delle difficoltà del mestiere ma non potrà fare altrimenti che seguire la sua vocazione. Nella vita poche cose sono davvero importanti quanto un sogno che si realizza, soprattutto se si lotta per averlo».

Qual è stata la tua più grande soddisfazione nell’ambito dell’attività giornalistica che hai svolto finora?

«Ogni volta che mi viene inviato un libro, ogni volta che vengo contattato per propormi un’intervista o una recensione, ogni volta che vengo invitato ad un festival…mi sento sinceramente onorato. Sono attestati di stima che che raccolgo con grande piacere. Ho una vera passione per le interviste e mi ispiro tanto a quelle di Sabelli Fioretti che a quelle storiche della Paris Review. Grazie al mio mestiere ho avuto il piacere di realizzarne parecchie e fra queste spiccano certamente quelle ad Emir Kusturica, Carlo Lucarelli, Alessandro Bergonzoni, Oliver Stone, Dan Fante, David Foenkinos e Nanni Moretti. Ma ad essere sinceri credo che potenzialmente qualunque intervista possa serbare grandi sorprese».

Progetti per il futuro?

«Per fortuna sono tanti. In primo luogo ho ripreso il lavoro per le diverse testate con le quali collaboro e spero di seguire diversi festival letterari e cinematografici quest’anno. Inoltre per la “libreria Circolo Pickwick” di Messina, sto curando un palinsesto di presentazioni letterarie che partirà a fine settembre e si concluderà a dicembre per poi riprendere a gennaio. Parleremo di Mediterraneo e di libri legati al nostro mare e avremo il piacere di ospitare sia nomi celebri dell’editoria italiana che giovani talenti emergenti. Ma non saranno le classiche presentazioni letterarie poiché punteremo sul connubio che la letteratura sa tessere con la musica, le arti visive e persino il gusto.

Chissà forse il 2011 sarà l’anno giusto per rimettersi a scrivere. Ho composto due silloge di poesia ma non ho davvero cercato un editore perché il mercato italiano è troppo timoroso nei confronti della poesia e trovo che l’editoria a pagamento sia un detestabile ossimoro. Accanto alla mia passione per la poesia, ho in mente tre racconti e due romanzi che non aspettano altro che d’essere scritti. Vedremo».

Fonte: Letteratitudine del 4 settembre 2011 (e Terza Pagina)

Matteo Chiavarone ritorna con la seconda raccolta di poesia, Blanchard Close

La seconda raccolta poetica di Matteo Chiavarone, romano classe ’82, giunge in libreria: Blanchard Close (Giulio Perrone editore; pp. 80; €10). L’occasione era propizia e con Chiavarone, ho voluto affrontare la situazione della poesia nella nostra editoria, cercando di venire a capo della moltitudine di ostacoli e luoghi comuni che gravitano attorno ad essa, oggi più che mai.
Difatti, vista la forte ritrosia degli editori italiani (e a loro volta dei lettori), è lecito persino domandarsi se i nostri poeti noti e celebrati – pensiamo a Montale, Carducci, Penna – oggi incontrerebbero delle difficoltà per emergere.


Matteo, come nasce questa nuova raccolta? C’è un tema dominante?
«Come nasce questa raccolta… Domanda difficile a cui rispondere perché spesso la poesia nasce da sola e poi viene rielaborata secondo quello che si vuole esprimere in un determinato momento (e troppo spesso anche secondo lo stato d’animo). Nel libro ci sono quattro sezioni, ognuna serve a tracciare un’ideale “spazio silenzioso” e, in lontananza, una tematica che il più delle volte diventa soltanto uno sfondo, un qualcosa da cercare con gli occhi. Nella prima sezione (Il pranzo delle ceneri) cerco di rielaborare il mio vissuto, gli ingranaggi che permettono alla nostalgia (del vissuto e del non vissuto) di trovare terreno fertile; nella seconda che è quella che dà il titolo all’opera (Blanchard Close) c’è la mia idea di globalizzazione e di Europa o forse soltanto la mia incapacità nel comprendere alcune fasi (o alcuni momenti storici) della nostra società contemporanea; in Litalia lo sguardo si sposta sul nostro paese e su dinamiche e personaggi e luoghi che, nel bene e nel male, purtroppo più nel male, lo caratterizzano; nell’ultima (Sarcinen) come dice il sottotitolo sono “poesie sparse”, ovvero testi nati in determinati momenti o volutamente conclusi in se stessi».

Ad un poeta non si può non domandare da cosa tragga ispirazione. Nei tuoi versi anche gli oggetti più comuni sembrano trasfigurati…
«Io amo la tradizione poetica europea e soprattutto italiana, amo quel “respiro” personale che poi nel suo intimismo trova l’universalità. Mi rifaccio a Pascoli, a Pater: “vedere e udire altro non deve il poeta”. Chi ha seguito alcune mie presentazioni mi avrà sentito dire molte volte questa frase, la ripeto fino all’ossessione ne sono consapevole. Nel mio primo libro Gli occhi di Saturno (Perrone, 2006) la misi persino nell’epigrafe iniziale. La poesia è uno spazio che contiene le parole; le parole sono luoghi, persone, incontri, dettagli macro o microscopici. Tutto quello che viene dopo è piacere della scrittura».

A tuo avviso, perché c’è tanta diffidenza editoriale verso i poeti e la poesia?
«Bella domanda. Non sono gli editori ad avere diffidenza verso la poesia, ma viceversa. Sono i poeti ad avere diffidenza della poesia. Che la poesia non abbia mercato, intendo un grande mercato, è nella natura delle cose ma se tutti i poeti o presunti tali che ci sono in Italia leggessero almeno un paio di libri di poesie all’anno ci si accorgerebbe subito della crescita vertiginosa di vendite.
Ma il problema ripeto non sono le vendite… Dobbiamo iniziare ad avere diffidenza delle case editrici a pagamento, iniziare a boicottarle, dire no a questo mercato assurdo. Esistono editori seri che investono nella poesia (Perrone, Donzelli, Fazi, Edizioni della Sera e molte altre) e la pubblicano, magari con piccole tirature ma la pubblicano. Supportiamole. Iniziamo a chiedere i loro libri nelle librerie (anche i grandi circuiti) e vedrai che queste torneranno ad acquistarla.
L’altra sera ad una presentazione di uno libro-intervista a Paolo Di Paolo ci siamo soffermati a parlare di una frase di Berardinelli: “io non credo nella poesia. Credo soltanto in quelle poesie che mi fanno credere in loro”. Non ero d’accordo con lui. Ma se non ci crediamo noi nella poesia chi ci deve credere?»

Per quanto riguarda i lettori la battaglia più ardua, a mio avviso, è quella di far comprendere che la poesia deve colpire alle viscere e non è necessario essere degli intenditori per apprezzarla. Perché tanti pregiudizi secondo te?
«Non siamo educati a leggere poesie, vogliamo comprendere tutto quando invece, ed è il bello della poesia, una frase ci può tornare in mente mesi dopo averla letta. Entra dall’orecchio, di nascosto e ci dice: “Ecco”. Non esistono intenditori della poesia esistono persone che sanno aspettarla.
Sì c’ è bisogno di prendere una sbornia, e non una sbornia qualsiasi, per capire alcuni versi di Ginsberg. In uno dei più bei pometti de Le ceneri di Gramsci (La terra di lavoro) Pasolini ci regala un verso bellissimo: Tu ti perdi nel paradiso interiore, e anche la tua pietà gli è nemica.
Durante la prima lettura mi era sfuggito, mi tornò in mente come un macigno durante un viaggio… Provavo quella pietà e, per colpa sua, mi sono sentito colpevole del mio status.
Fidati non ci sono pregiudizi ma pigrizia… È come quando ti dicono “non vedo film impegnati perché il cinema è intrattenimento”. Non lo sopporto! La letteratura non è intrattenimento e non deve esserlo ma, se buona, non è neanche noiosa, anzi. Bisogna saper attendere…»

Infine ti chiedo: si sceglie di essere poeti o si viene scelti?
«Prima di tutto si scrive poi quello che si è poco importa. Poeta, scrittore, blogger, scribacchino…Cos’è un poeta oggi? La Pivano definì Ligabue uno dei maggiori poeti italiani contemporanei. Non sono molto d’accordo sulla figura (anche se ne apprezzo la comunicatività) ma come possiamo non definire poeti i vari Guccini, De André, Vecchioni, Bertoli? Sono cantanti, o meglio cantautori, ma in fondo la poesia non nasce con una lira in mano?
Mi piace rifarmi al poeta greco, al’aedo: un qualcuno che non vede quello che gli altri vedono (e vede quello che gli altri non vedono) ma porta la divinità dentro di sé.
Comunque se devo decidere ti dico che si sceglie di essere poeti. Nella società di oggi piena di “bruttezza” è una scelta di campo provare ad esserlo…»

 

 

Matteo Chiavarone (Roma, 1982). Si laurea prima in Lettere con una tesi di Filologia della Letteratura Italiana nella quale pubblica alcune lettere inedite
del poeta Giosuè Carducci appartenenti al Fondo Patetta della Biblioteca Apostolica Vaticana, poi in Italianistica con un lavoro su Curzio Malaparte che prova a ripercorrere la vicenda umana, politica e letteraria del controverso autore pratese.
Dal 2006 al 2008 ha lavorato presso la Giulio Perrone Editore ricoprendo vari ruoli; dal 2008 è caporedattore de IlRecensore.com. Molti dei suoi articoli di argomento letterario e politico sono stati pubblicati su diverse riviste e siti internet: IlRecensore, Flanerí, Ghigliottina, Core, L’Eco del Sud, Periodico Italiano, L’Isola, Portuense News.
Dal 2010 dirige la collana poetica “Lab city lights” per la casa editrice romana Giulio Perrone Editore. Sempre nel 2010 ha fondato, insieme a Dario De Cristofaro, Flanerì (www.flaneri.com). Ha pubblicato: Gli occhi di Saturno (Perrone, 2006) e Blanchard Close (Perrone, 2011).

 

Fonte: www.tempostretto.it del 1 giugno 2011