Scrivere un libro mediante il flusso di coscienza joyciano e con un massiccio uso di corsivi al tempo dei social network, può sembrare un azzardo, una follia. Se poi il libro in questione trae spunto dal celebre “Risvegli” di Oliver Sacks per descrivere i pazienti colpiti da encefalite letargica e il dramma della generazione andata al fronte nella prima guerra mondiale, è chiaro che il reporter e scrittore britannico, Will Self, con “Ombrello” (ISBN pp. 368 €26,50 – traduzione di Gaja Cenciarelli, Andreina Lombardi Bom e Daniele Petruccioli) ha scritto un libro coraggioso. Ma soprattutto sorprendente, capace di una completa e straniante immersione in una narrazione sospesa. Protagonista è Audrey Death, prima operaia in una fabbrica di ombrelli, poi impiegata nell’industria bellica e suffragetta, colpita da encefalite letargica dopo la Grande Guerra; ma alla sua esistenza si mescolano quella dei fratelli Albert e Stanley e lo psichiatra Zack Busner che la prenderà in cura. Con queste premesse – il libro è stato finalista al Man Booker Prize 2012 –potremmo legittimamente aspettarci un libro accademico e invece Self riesce a portare in pagina il mondo là fuori, con in controverso amore fraterno, rifiutando di scrivere un libro per chi ha letto troppi libri… Continua a leggere “«Scrivere è il mio modo di guadagnarmi da vivere, di dare un senso al mondo». Will Self si racconta”
Tag: scrittura
«Io sono un poeta». Maria Attanasio presenta il suo nuovo romanzo a Messina
Un editore che presenta un libro edito da un altro editore, sogno o son desto? Qualsiasi lettore potrebbe reagire con legittimo stupore all’iniziativa organizzata dalla casa editrice messinese Mesogea, con cui si è omaggiata la poetessa e scrittrice calatina, Maria Attanasio, in occasione della pubblicazione del romanzo “Il condominio di via della notte” (Sellerio, pp.204 €14). In realtà, come Caterina Pastura e Ugo Magno hanno chiarito, così come il cammino della loro casa editrice è intrecciato con il catalogo della palermitana Sellerio – dalla contesa per pubblicare Danilo Dolci alla meritoria scoperta di Fabio Stassi – anche il percorso creativo della Attanasio ha avuto una significativa tappa targata Mesogea, culminata con la pubblicazione del libro “Della città d’argilla” (2012, pp.96 €6). Proprio partendo da questo testo, considerato “una fondamentale bussola”, la giornalista Anna Mallamo ha illustrato con rigore ed entusiasmo l’opera «della più grande scrittrice siciliana, dove l’essere siciliana è un valore aggiunto». Introducendo il romanzo “Il condominio di via della notte”, la Mallamo non ha mancato di sottolineare ai numerosi presenti presso la piazzetta Sabir (allo stesso tempo luogo di incontro e non-luogo), i tanti punti di contatto con il celebre “1984” di Orwell, «in un romanzo che narra di un presente cieco a se stesso, che non si percepisce, condannato a vivere un tempo in cui tutto è contemporaneo, tipico del tempo televisivo, in cui siamo sommersi da un flusso di notizie che non danno alcuna notizia, da un tempo senza tempo. Si tratta – ha continuato la Mallamo – di un romanzo storico che si svolge nel futuro prossimo, laddove arriveremo se non daremo peso agli avvertimenti ricevuti». La giornalista ha poi sottolineato quanto le somiglianze fra la città creata dalla Attanasio, Nordìa, e la più oscura delle città invisibili di Calvino, Zobeide, siano lampanti e con essi, il forte senso di angoscia che ne permea le pagine: «si tratta di un libro necessario, che solo di questi si dovrebbe parlare. Proprio come in “1984” ci troviamo dinnanzi ad un romanzo distopico, un libro diverso dai precedenti pur inserendosi alla perfezione nella produzione letteraria della Attanasio».
«Io sono un poeta, non una poetessa», così ha esordito la scrittrice, convenendo con la Mallamo sul fatto che la vera scrittura non abbia sesso ma debba aspirare solo alla qualità; d’accordo anche sul fatto che questo libro fosse frutto «di un dovere morale, della necessità d’essere scritto, come fosse un vero e proprio avviso ai naviganti. Con questo libro – ha affermato la Attanasio – vorrei poter dire “stiamo attenti perché il futuro cui andiamo incontro è assai preoccupante”». La scrittrice è poi tornata sulla cifra stilistica: «questo libro, non essendo storico è un’eccezione per me, o meglio, si tratta di un libro di storia presente, in divenire». E infine, rispondendo al pubblico circa la scrittura e scelta dei nomi dei protagonisti ovvero Mauro Testa e Rita Massa, ha così concluso: «le parole sono venute per caso ma per caso, si sa, che non viene nulla. La mia è una scrittura che pensa e anche le immagini, le metafore scelte per la mia poesia, riflettono il nostro tempo e ciò che vi accade dentro».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, 10 novembre 2013
Vedi anche http://www.gazzettadelsud.it/news//68094/Benvenuti-a-Nordia–citta-infelice.html
«Uno scrittore deve avere qualcosa di diabolico». Parola di Hanif Kureishi
Presentato in Italia in anteprima mondiale, da pochi giorni è in libreria “L’Ultima Parola” (Bompiani, pp. 304 Euro 18), il nuovo libro dello scrittore anglo-pachistano Hanif Kureishi, già autore di best-seller come “Il Budda delle periferie” e “Il corpo”, nonché apprezzato drammaturgo, saggista e sceneggiatore. Protagonisti di questa commedia brillante umana sono Harry, un giovane biografo inglese e Mamoon, un anziano scrittore indiano dalla fama mondiale, ormai inaridito artisticamente. Alla ricerca della consacrazione professionale ma soprattutto per rimpinguare il suo esiguo conto in banca, l’ambizioso Harry riesce a farsi assegnare dallo spregiudicato editor Rob, l’incarico di scrivere la biografia del grande scrittore indiano ma questi si rivelerà molto ostile e il suo passato fin troppo torbido. Mamoon, difatti, è un personaggio scomodo che ha rifiutato le origini indiane abbracciando la way of life britannica e si è ritirato nella campagna inglese e al suo fianco impera la seconda moglie Liana, una passionale donna romana cinquantenne che non potendo gettarsi nello shopping e nei ricevimenti londinesi, placa la sua frustrazione – anche sessuale – elaborando continue e costose modifiche alla magione che hanno prosciugato le finanze dello scrittore. L’idea della biografia è ordita proprio dalla mente di Liana che vorrebbe rilanciare la fama del suo amato, sognando la consacrazione con un film dedicato alla sua vita, al loro stesso incontro. Tanto Liana che Rob sono convinti di poter manovrare l’inesperto Harry per i propri interessi, ma l’ambizione e la fame di soldi riusciranno a far tacere il suo orgoglio?
Si tratta di un libro ricchissimo, scritto con uno stile aggressivo, forgiato d’una arguta ironia, merce rara oggi più che mai. Sulla pagina, afferma l’autore, «si agitano passioni, tradimenti e uomini che parlano di donne» mentre sullo sfondo emerge l’importanza dell’aspetto multiculturale dell’Inghilterra odierna. Ma questo libro è soprattutto un inno alla scrittura e all’arte dello scrivere, declinata tanto come fuoco sacro, che come viatico per raggiungere denari e successo. Lungo le 304 pagine, inscenando il duello verbale fra l’anziano Mamoon e il giovane Harry, corso al suo capezzale per tesserne gli elogi e carpirne le nefandezze degli amori passati, Kureishi gioca a provocare, chiamando in causa grandi nomi della letteratura («nessuna persona per bene ha mai preso la penna in mano») e riflettendo sull’essenza stessa delle relazioni umane. Un romanzo scoppiettante che presto diventerà un film (prodotto dalla Working Title Film), interamente sceneggiato dallo stesso Kureishi che ha confessato di voler il premio Oscar e baronetto britannico, Ben Kingsley nei panni dello scrittore indiano.
Per un gioco delle parti, se domani un giovane giornalista bussasse alla sua porta con l’idea di scrivere la sua biografia, quale sarebbe la sua reazione?
«Sarei molto entusiasta all’idea e mi augurerei che il giornalista in questione possa trovare la mia vita scandalosa, fuori dagli schemi, ributtante, disgustosa».
Con questo libro ritorna nelle ambientazioni della sua infanzia. Perché ha scelto questo scenario?
«Oggi ho un’età che oscilla fra quella dei miei due personaggi. Mi trovo nel mezzo fra l’età di Harry che ha voglia di spaccare il mondo e quella di Manoon che è esaurito, completamente scarico. Ovviamente in questo libro ho potuto riflettere molto sulla professione di scrittore, non solo sulla scrittura come forma d’arte ma intesa come mestiere, come mezzo di sostentamento…».
Ma c’è anche una traccia sociologica nel suo libro…
«Ho voluto analizzare la società inglese e mi piace riscontrarvi una forte componente multiculturale che spicca fortemente e rende più ricco il paese, al passo con i tempi. Però c’è anche spazio per le passioni e i tradimenti e in definitiva, secondo me, questo libro è una commedia».
Scrive che “uno scrittore è amato dagli sconosciuti e odiato dalla sua famiglia”. Vale anche per lei?
«Se sei fortunato ci arrivi ad essere odiato dalla famiglia e amato dagli estranei. È molto importante che uno scrittore riesca a dire cose difficili. Un’artista deve aver qualcosa di diabolico, deve causare qualche guaio. Pensiamo alla storia della letteratura, a scrittori celebri come Baudelaire, Maupassant, Flaubert o Lawrence; è chiaro che gli scrittori sono spesso fuorilegge e non dimentichiamo che ancora oggi, in vari paesi, molti scrittori sono in carcere. Soprattutto in Pakistan, dove preferiscono metterli sotto chiave piuttosto che leggerne i libri».
Fa affermare a Rob che “lo scrittore è un messaggero di verità, un rivale di Dio”. Una bella definizione per il suo mestiere…
«Beh, Dio è un fastidio notevole perché impedisce che accadano le cose più interessanti. Ma la fantasia umana supera di gran lunga quella divina, per questo deve essere sdoganata e restituita agli esseri umani, senza alcun condizionamento divino o religioso. In passato ci sono stati periodi in cui la cultura e la religione andavano a braccetto ma oggi non è così. Almeno i rasta c’hanno dato Bob Marley».
Harry sembra propenso a giustificare qualsiasi cosa a Mamoon poiché lui, come artista, deve spingersi verso l’Oltre. Secondo lei esiste un limite etico da non oltrepassare?
«Mi interessa molto il rapporto che corre fra ciò che fa l’artista e quello che possiamo perdonare all’essere umano. In pratica dovremmo essere capaci di valutare un’opera d’arte a prescindere dal tipo di vita che ha condotto l’artista, tuttavia mi rendo conto che è molto complicato. Pensate a Polanski. Il fatto che abbia abusato di una tredicenne molti anni fa è difficile da accettare moralmente ma questo può influenzare la nostra valutazione del suo lavoro artistico?
Ha dichiarato che per la formazione di un individuo, la fedeltà e l’infedeltà sono importanti allo stesso modo. Perché?
«Il tradimento è il risultato dell’individualità. Ad esempio, il fatto che i miei figli si ribellino contro me o che abbiano gusti diversi, dichiara la loro identità, diversa dalla mia. Qualcuno che ti tradisce nel contempo dichiara la propria fedeltà verso qualcosa che reputa più importante, come un ideale».
Volendo trovare un cattivo, potremmo individuarlo in Rob, l’editor?
«Rob vuole semplicemente che il libro venda molte copie, seguendo i propri interessi. Ma al tempo stesso ama la letteratura e finisce per idealizzare gli scrittori, qualcosa di molto pericoloso…».
Perché?
«Idealizzare un’artista è come creare una divinità. Dobbiamo riportare l’arte alla gente, in mezzo alla gente».
Mr. Kureishi dal libro emerge una domanda su tutte: quanto dovremmo impegnarci in una relazione amorosa?
«Perché lo chiede a me? Non ne ho proprio idea».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud, 2 novembre 2013
Melania Mazzucco: «Il limbo? L’essenza stessa della natura umana».
La soldatessa Manuela Paris è la protagonista di “Limbo” (Einaudi, pp. 476 euro 20) il nuovo romanzo della scrittrice Melania Mazzucco, diverse volte finalista e infine, vincitrice del prestigioso premio Strega nel 2003 con “Vita”. Manuela, maresciallo sottoufficiale degli alpini, è una donna inquieta come tutte le protagoniste che la scrittrice romana pone al centro dei suoi romanzi tanto che sarà il rientro dal fronte afghano, il suo ritorno alla normalità, a rivelarsi davvero arduo, snervante persino. La Mazzucco – in libreria anche con la tenera fiaba “Il bassotto e la regina” (Einaudi, pp. 101 euro 10) – anche questa volta ha scelto di immedesimarsi nel migliore dei modi con la sua protagonista e per farlo ha imparato ad usare il fucile d’ordinanza e ha marciato con tredici chili di zavorra nello zaino. Ma soprattutto dimostra sulla pagina un grande controllo della narrazione, riuscendo a far piombare anche il lettore nel limbo esistenziale che, in fin dei conti, «è l’essenza stessa della natura umana».
Aveva già scritto dell’Afghanistan in Lei così amata. Cosa la affascina di questo paese tanto da volerci tornare con l’immaginazione?
«Il suo isolamento e la sua alterità. Per motivi geografici e storici, l’Afghanistan è rimasto chiuso al contatto col mondo occidentale. In Europa per secoli dell’Afghanistan si conoscevano solo i cammelli e i lapislazzuli. Viceversa, dopo che gli ultimi discendenti di Alessandro Magno si erano dispersi tra le pianure e le montagne afghane, nessun europeo, salvo qualche mercante di gioie, aveva viaggiato in quelle contrade. Così in Afghanistan il tempo si è interrotto, cristallizzato in quello che era ormai il passato del mondo. Niente modernità, niente strade, niente notizie, niente scambi. E l’incontro con la cosiddetta civiltà europea non poteva essere indolore. Oggi anche noi italiani facciamo parte del ‘grande gioco’: mai conquistato e mai sottomesso, l’Afghanistan ci interroga e ci costringe a chiederci da che parte stiamo».
Manuela non è una donna soldato ma una donna militare, una condizione nuova, un tempo inimmaginabile. Perché ha scelto lei come protagonista?
«Perché Manuela è appunto una donna del XXI secolo, una donna proiettata verso il futuro, e il suo personaggio mi offriva la possibilità di raccontare qualcosa che la letteratura ancora non ha mai raccontato. Perché gli occhi di una donna portano al racconto di guerra una prospettiva inaudita – e modificano la guerra stessa. Perché da bambina, Annemarie Schwarzenbach, la protagonista realmente vissuta del mio romanzo Lei così amata, da grande non voleva fare la scrittrice – come poi fece – ma il generale. All’inizio del Novecento, la società rise del suo sogno. Le ragazze come Manuela potranno realizzarlo».
La condizione di sospensione, di inerte attesa del limbo è quella in cui piomba Manuela al suo ritorno a Ladispoli?
«Elsa Morante, una scrittrice che amo molto, scelse come dedica per il suo romanzo L’isola di Arturo una poesia il cui ultimo verso recita: “fuori del limbo / non v’è eliso”. Ma il Limbo, come tutti gli italiani ricordano grazie a Dante, è un luogo, in cui scontano l’eternità coloro a cui, pur senza colpa, sarà negato il Paradiso. È dunque anche una condizione esistenziale, diciamo di felicità precaria, limitata, terrena. È la condizione umana per eccellenza».
Come si è documentata per descrivere le pagine della missione e dell’addestramento?
«Come faccio sempre quando scrivo un romanzo. Investigo, leggo, ascolto, incontro persone, faccio domande, provo a immedesimarmi nella vita dei miei protagonisti. Mi alleno, come se dovessi superare le prove cui si sottopone Manuela per entrare in Accademia. Studio il manuale di istruzioni del fucile AR 70/90. Indosso tredici chili di zavorra, e cerco di capire cosa vuol dire per una donna militare uscire di notte di pattuglia, che so, con un peso simile addosso. Insomma, cerco la verità, quella che una volta ho chiamato “la sconosciuta filologia della vita quotidiana”. Ho bisogno da un lato di immaginare liberamente, dall’altro di documentarmi».
Per rendere la storia d’amore del libro ha creato un parallelo con la figura del ragno cammello. Perché?
«Una leggenda orientale dice che se ti punge il ragno-cammello, un enorme ragno che vive nei deserti afghani, ti ruba l’ombra, cioè l’anima. Il personaggio di Mattia ha subito la stessa sorte: non ha più ombra, non ha più storia. Manuela si chiede come si possa amare un uomo senz’ombra, e se si possa esserne amati».
La guerra in Afghanistan viene definita spesso invisibile mediaticamente. Combatterla può essere ancor di più un’esperienza alienante?
«Suppongo che l’esperienza alienante sia rappresentare un paese che non ha fiducia in te. E che non crede in ciò che fai, nelle ragioni per cui lo fai, e ti rispetta solo quando hai pagato il prezzo più alto. Molti italiani che rappresentano le istituzioni, e non solo i soldati, si trovano in questa situazione. Gli italiani fin dall’Unità hanno un rapporto conflittuale con lo Stato – e con chi lo rappresenta».
Un giorno crede che riuscirà finalmente ad andare in Afghanistan?
«Andrò in Afghanistan quando non ci saranno più bombe né insorti né carri armati né guerra né nemici. Quando sarà un paese libero. La libertà può significare molte cose. Ma io intendo la libertà di pensare, esprimere opinioni senza essere uccisi per questo, libertà di scrivere, di non rinnegare la propria identità, di lavorare, di guidare un’automobile, di parlare con chiunque e andare ovunque senza sembrare una provocazione vivente, una minaccia o una spia. Senza queste libertà essenziali e non negoziabili, per me non ci sono le condizioni per affrontare un viaggio, qualunque ne sia la meta».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud
«Ho sempre preferito la finzione letteraria alla realtà». Peter Cameron si racconta
Nel momento stesso in cui consentiamo a uno scrittore di entrare nel nostro personalissimo Olimpo, aspettando con crescente frenesia la pubblicazione (e la traduzione) del suo ultimo libro per poi divorarlo nello spazio di pochi giorni, qualcuno di buon cuore dovrebbe rammentarci che anche il più magnetico dei romanzieri – capace di affascinarci con la sua prosa e l’inventiva delle sue trame – rimane sempre un essere umano, con i pregi ma anche con i suoi difetti e umane debolezze. Ci risparmieremmo cocenti delusioni dinanzi alle bizze e ai capricci cui spesso sono abituati gli addetti ai lavori del mondo editoriale. Rammentando questa verità ho incontrato per Linkiesta il romanziere statunitense, Peter Cameron, autore di punta per la casa editrice Adelphi, tornato in libreria con Il Weekend, dopo i grandi successi raccolti con Quella sera dorata (115 mila copie, 17 edizioni) e Un giorno questo dolore ti sarà utile (157 mila copie, 20 ed.) cui sono seguiti Paura della matematica e il più recente Coral Glynn. L’autore era in Sicilia per la sua prima volta inaugurando un tour promozionale che si concluderà con due attesi incontri al Festivaletteratura di Mantova. Fortunatamente, è bastato uno sguardo a quest’uomo di 53 anni, dal fisico asciutto e lo sguardo tenero, per tirare un sospiro di sollievo: Peter Cameron è esattamente come te lo immagini. La sua voce calma e profonda sembra venire fuori direttamente dalle pagine dei suoi libri densi di pathos, costantemente tesi a indagare l’animo umano alla ricerca del significato delle nostre passioni, con uno stile satinato e una prosa sempre elegante, persino nel cogliere con precisione le idiosincrasie che mandano in pezzi gli amori apparentemente più solidi e borghesi. Continua a leggere “«Ho sempre preferito la finzione letteraria alla realtà». Peter Cameron si racconta”


