«Nella letteratura ciò che conta non è il cosa, ma il come». Francesco Piccolo si racconta

Francesco Piccolo
Francesco Piccolo

Chiameteli come vi pare, autofiction o avanguardia, i libri di Francesco Piccolo funzionano. Il segreto del successo non esiste ma in questo caso potrebbe essere la sua voce narrante, costruita con semplicità – almeno ad una prima lettura – capace di fare ridere o immalinconire; ma Piccolo riesce in pagina anche ad aprire squarci, stimolando dibattiti socio-politici intergenerazionali, come nel caso di “Il desiderio di essere come tutti” (Einaudi, 2014) che gli è valso il premio Strega lo scorso anno. Casertano, classe ’64 ma ormai romano d’adozione, Piccolo si muove con successo nel mondo della scrittura spaziando «su due mari ugualmente amati» ovvero la narrativa e la sceneggiatura. Ha co-firmato numerose sceneggiature di successo del cinema italiano – fra cui le pluripremiate “La prima cosa bella”, “Habemus Papam” e “Il capitale umano” – è attualmente in sala con “Mia madre” – di cui firma la sceneggiatura con Nanni Moretti e Valia Santella – ma è già al lavoro per portare la tetralogia di Elena Ferrante in tv. Con il suo ultimo libro di racconti, “Momenti di trascurabile infelicità” (Einaudi, pp.143 €13) ha bissato il successo del precedente (Momenti di trascurabile felicità, Einaudi, 2012), tanto che da settimane è in vetta alle classifiche di vendita. Continua a leggere “«Nella letteratura ciò che conta non è il cosa, ma il come». Francesco Piccolo si racconta”

«Non dobbiamo mollare». Intervista in esclusiva al premio Nobel Dario Fo.

Dario Fo
Il premio Nobel Dario Fo

TAORMINA. «Le recite e il potere sono sempre connesse a doppio filo. Guardate Renzi e Berlusconi, fanno il gioco delle parti ma hanno già scelto il prossimo presidente della Repubblica, mentre i loro tirapiedi gli fanno la guerra. Ma è solo una recita». Complice l’occasione di trovare giovamento nel sole e nell’aria di mare, Dario Fopremio Nobel per la letteratura nel 1997 e autore di centinaia di commedie teatrali con la moglie, Franca Rame – ha trovato ristoro a Taormina per una settimana e in tale occasione La Gazzetta del Sud lo ha incontrato in esclusiva. Una lunga chiacchierata in un noto hotel sul Corso Umberto, dialogando su temi di grande attualità – dalle imminenti elezioni per il Quirinale sino a quelle appena concluse in Grecia – a tu per tu con un uomo dalla spiccata genialità, senza alcuna forma di riverenza verso il potere costituito. Sostenitore del Movimento 5 Stelle dalla prima ora, l’88enne Dario Fo vaglia i candidati papabili dalla stampa, nutrendo segrete speranze per un nome lontano dalla politica, su tutti la giornalista Milena Gabanelli di Report. Dinanzi alla bruttezza dei nostri tempi, afferma Fo, dobbiamo continuare a lottare, ciascuno con le proprie qualità e difatti, dopo il successo de “La Figlia del Papa”, oggi giunge nelle librerie il suo nuovo romanzo storico, “C’è un re pazzo in Danimarca” (Chiarelettere, pp.160 €13,90) in cui Dario Fo ricostruire ad arte un intrigo di potere e una grande storia d’amore partendo dai diari dell’epoca e diversi documenti inediti, riuscendo a ricostruire una vicenda misconosciuta, volutamente dimenticata in patria. La storia del re pazzo, Cristiano VII di Danimarca che regnò dal 1766 al 1808 al cui fianco troviamo la sua sposa, Carolina Matilde di Gran Bretagna – che divenne regina a soli quindici anni – e il suo amante, nonché medico di corte, Johann Friedrich Struensee. Il regno di Cristiano VII, scosso dalle crisi schizofreniche del sovrano, fu teatro di un triangolo amoroso ma soprattutto di riforme liberali, proseguite da Federico VI – figlio primogenito di Cristiano VII – come l’abolizione della pena di morte e della tortura e la promozione della cultura e della libertà di stampa – generando un clima di cambiamento epocale che anticipò di pochi anni le grandi conquiste della Rivoluzione Francese. Solitamente siamo portati a deprecare la pazzia e i suoi frutti, ma Dario Fo, con una penna lucida, ilare e pungente al momento giusto, è riuscito a riportare alla luce la verità dimenticata, ridando lustro ad un re pazzo eppure illuminato. Continua a leggere “«Non dobbiamo mollare». Intervista in esclusiva al premio Nobel Dario Fo.”

«Con “House of Cards” racconto il lato oscuro della politica. E il suo fascino irresistibile». Lord Michael Dobbs si racconta

Lord Michael Dobbs
Lord Michael Dobbs

È il 1987 quando Lord Michael Dobbs litiga con la lady di ferro, Margareth Thatcher e fuoribondo ma anche addolorato, parte in vacanza con la propria moglie. Dobbs per anni braccio destro della Thatcher – capo del suo staff negli anni al n.10 di Downing Street da primo ministro, dal 1979 al 1990 – aveva intuito che il regno della Thatcher stava per tramontare e pur non avendo mai scritto fiction, un po’ per svago e un po’ per frustrazione, creò il personaggio di un perfido e cinico politico, Francis Urquhart, il cui destino era quello di spodestare il primo ministro e conquistare il potere, mediante una sordida e acuta rete di ricatti e inganni. Scritto ventisette anni or sono, House of Cards, è il romanzo d’esordio bestseller di Lord Michael Dobbs da cui nel 1990 è stata ricavata una miniserie di grande successo della BBC; inoltre, pochi anni or sono è nata una seconda trasposizione targata Netflix, ambientata negli Stati Uniti con attori del calibro di Kevin Spacey e Robin Wright nel ruolo della coppia di protagonisti. Una serie di enorme successo – il presidente Barack Hussein Obama ha twittato “Domani c’è House of Cards, non ditemi nulla” -pronta a sbarcare in Italia, mercoledì 9 aprile, al lancio del canale satellitare Sky Atlantic. Proprio in tale occasione la casa editrice Fazi ha pubblicato il romanzo “House of Cards” (pp.446 €14,90) in cui si narra la scalata al potere del chief whip, Francis Urquhart, partendo da un semplice presupposto: cosa accade se l’uomo che detiene i segreti dell’entourage governativo è così scontento da decidere di far cadere il castello di carte e menzogne? Un libro davvero entusiasmante, ambientato nell’epoca post-thatcheriana, fra intercettazioni, ricatti fotografici e manipolazioni della stampa tanto da risultare di sconvolgente attualità e ciò spiega come sia stato possibile ambientare la serie tv americana ai giorni nostri, traslandola senza traumi alla scalata al successo del protagonista – Frank Underwood piuttosto che Francis Urquhart – verso la carica di presidente degli Stati Uniti, gettando luce sul lato oscuro del mondo politico, sovente con azzeccati echi shakespeariani. “C’è sempre un interesse superiore in politica – racconta Dobbs alla Gazzetta del Sud nella sua tournée italiana – peccato che a volte sia marcio”. Continua a leggere “«Con “House of Cards” racconto il lato oscuro della politica. E il suo fascino irresistibile». Lord Michael Dobbs si racconta”

Andrea Bajani: «Il lutto è il tentativo di abitare il vuoto di qualcuno che si è perso».

Tre diversi omaggi celebrano l’anniversario della scomparsa di Antonio Tabucchi, lo scrittore d’origini toscane che morì il 25 marzo dell’anno passato nella sua amata Lisbona. Feltrinelli – che pubblicò quasi tutte le sue opere – lo celebra con “Di tutto resta un poco. Letteratura e cinema” (pp. 304, euro 20), una bella raccolta di scritti tematici cui lavorò sino agli ultimi giorni; Sellerio, pubblica “Racconti e romanzi” (pp.288, euro 16) una preziosa raccolta di scritti – “Donna di Porto Pim-Notturno indiano-I volatili del Beato Angelico-Sogni di sogni” – ed infine Emons:Audiolibri ha dato la voce dell’attore e regista Sergio Rubini al suo capolavoro, “Sostiene Pereira” (4h23’, euro 16,90). Ma l’omaggio più bello, in questa triste ricorrenza, prende vita da un aneddoto, difatti, a poche ore dalla sua scomparsa, Antonio Tabucchi non poté ne volle sottrarsi all’atto della scrittura. Quel racconto tutt’ora inedito, fu la scintilla che condusse il suo giovane e caro amico, l’affermato scrittore romano Andrea Bajani, a voler consegnare i suoi ricordi alle pagine di “Mi Riconosci” (Feltrinelli, pp.144, euro 12), un testo  dolce e profondo, capace di non scivolare mai nel declivio della morbosità. Qui l’amico scomparso, diviene personaggio letterario, realizzando la finzione letteraria per eccellenza. Bajani, raggiunto telefonicamente in un hotel parigino, risponde alle domande della Gazzetta del Sud, discutendo di Rilke, dell’amicizia e del potere della scrittura.

Perché questo libro? Il tono usato, oscilla fra riso e lacrime, dando l’idea di una dolorosa necessità.

«Nasce da un evento straordinario ovvero dal fatto che due giorni prima di morire, Antonio Tabucchi scrisse un racconto, dettandolo al figlio in un camera d’ospedale di Lisbona. Non fu una morte improvvisa. Progressivamente si stava spegnendo, eppure questo accadimento privato nascondeva una cosa più grande, la vera origine delle storie. Queste nascono soprattutto per affrontare l’ignoto e mi ha colpito che lui abbia sentito il bisogno di scrivere anche mentre si avvicinava la morte, riuscendo a far ricorso all’ironia, proseguendo questa sorta di danza scaramantica contro ciò che non conosciamo. Quando ho letto quel racconto ho subito pensato che dovevo narrarla, dovevo narrare la scomparsa di uno scrittore e la storia di un’amicizia».

Uno dei due amici che, scomparendo, diventa un personaggio d’un libro. Un’idea molto tabucchiana…

«Esatto. La letteratura ha fatto sempre i conti con i fantasmi e del resto lo scrittore ha a che fare, per giornate intere, con persone che esistono solo nella sua testa. Antonio Tabucchi ha sempre avuto un buon rapporto con i fantasmi perché intese la sua letteratura all’insegna del gioco del rovescio; come personaggio di finzione, fra le pagine d’un libro, ha potuto portarlo all’estremo, rovesciando la morte e la vita, immerso in una storia.

Vi siete conosciuti a Parigi, a casa di un amico comune, tanti anni fa. Tabucchi le aveva scritto una lettera pronta per essere spedita…

«Nel libro tutto è reale e tutto è finto ma la lettera c’era davvero e lui l’aveva già affrancata. Me la consegnò ma per anni non la trovai più. Ma appena terminai di scrivere questo libro, venni preso dal desiderio di sistemare i libri in casa mia e di colpo, riapparve, nascosta fra le pagine di un volume. Era la lettera di un grande scrittore che mi trasferiva l’emozione resagli dall’aver letto il mio libro, “Se consideri le colpe”. Quando uscì questo libro più persone mi chiesero di poter pubblicare questa lettera, però adesso sembra sia scomparsa daccapo. Ecco, queste sono le “tabuccate”».

Apre il libro con una significativa citazione di Rilke. Come mai?

«Non conosco scrittore che sia sceso con tanta grazia dall’altra parte, nel confronto con chi non c’è più, come Rilke ne “I sonetti a Orfeo” e soprattutto ne “Le elegie duinesi”.

Mi riconosci, il titolo scelto, significa stare ad ascoltare il fantasma, provare ad ascoltare chi non c’era più. Questo libro racconta come nascono e si raccontano le storie ma soprattutto come si possa essere amici, indipendentemente dalle età e da cosa ci riserva la vita».

Alla fine scrive, “il lutto è il tentativo di abitare il vuoto di qualcuno che si è perso”.

«Le persone abitano degli spazi dentro noi ma poi sono costretti ad andare via. O meglio, scompare la materialità, la concretezza della carne ma non tutto il resto. Il lutto è riuscire a far sì che ciò che resta di quella persona scomparsa, trovi il suo posto dentro noi».

Nel corso delle telefonate notturne emerge un rapporto tormentato con l’Italia.

«Con il nostro paese aveva un rapporto davvero difficile, d’amore e odio. Prima di tutto l’Italia era la lingua, che ha amato intensamente, ma questo paese lo faceva soffrire e citava Pasolini per sottolineare quanto fosse malandata. Il berlusconismo, per lui è stato davvero pesante, ha ricevuto diverse querele e ha cercato di difendersi come poteva, con le parole. L’Italia, per lui, era una ferita aperta».

Infine, a proposito di scrittura, cosa le ha insegnato Tabucchi?
«La lezione più importante è stata la sua volontà di stare con i piedi molto per terra e la testa molto nel cielo, la capacità raccontare le pieghe oniriche del mondo senza rinunciare a stare concretamente nella realtà socio-politico in cui viveva».

 

Francesco Musolino

Fonte: La Gazzetta del Sud, 25 marzo 2013

vedi anche http://www.marcovigevani.com/tag/antonio-tabucchi/

Le “Stelle Bastarde” (e pungenti) di Claudio Sabelli Fioretti

Perché gli oroscopi sono sempre meravigliosi se la vita, quella vera, fa schifo? Se lo chiede, con la sua consueta e pungente ironia, il giornalista Claudio Sabelli Fioretti, autore di Stelle Bastarde (Chiarelettere). Un libro che ha riscosso un giusto successo nel pubblico perché in esso, finalmente, si rifuggono le idiomatiche frasi ruffiane e accomodanti che contraddistinguono gli astri e del resto, vista la crisi mondiale e l’aria di recessione che tira, oggigiorno anche gli oroscopi devono sapere essere più crudi e realistici, magari un pizzico cattivi. Sabelli Fioretti affronta lo zodiaco segno per segno, dedicandosi all’uomo e alla donna (Il Leone e la Leona, ad esempio) con una penna sempre sferzante che si scatena davvero nel ritratto dei vip.

Ma piuttosto che scegliere George Clooney, Sabelli Fioretti gli preferisce Sandro Bondi, Renato Brunetta piuttosto che Paul McCartney, Angelino Alfano invece di Bill Gates e Clemente Mastella invece di Nicolas Sarkozy. Con esiti davvero esilaranti e scoperte che lasciano il segno: «Silvio Berlusconi è un’evidente falla nel sistema astrologico.
È nato lo stesso giorno di Bersani, dovrebbe avere lo stesso carattere. Per questo ha chiesto a Niccolò Ghedini di metter mano
a una riforma dello zodiaco».  Ma si farebbe un torto a Sabelli Fioretti se non si prendesse davvero sul serio il suo anti-oroscopo, del resto, aboliti i buonismi, il suo ritratto al vetriolo è spesso assai calzante. Letto poche pagine per volta o tutto d’un fiato, Stelle Bastarde riserva risate e riflessioni, con definizioni lapidarie da sottolineare con il lapis e riproporre a tavola al posto delle consuete frasi trite e ritrite: l’Ariete è un capoccione, il Toro è ossessivo, il Gemelli è un cacadubbi, il Cancro è pazzo, il Leone è prepotente, il Vergine è un pignolino, il Bilancia è un codardo, lo Scorpione è un musone, il Sagittario è un mitomane, il Capricorno è un insensibile, l’Acquario è un visionario e il Pesci è un bislacco.

Ovviamente Stelle Bastarde non è affatto un libro adatto ai permalosi e a riprova di ciò basta tener conto del trattamento riservato ai Gemelli e al suo testimonial: «Renato Brunetta una volta era socialista. E come quasi tutti i socialisti, oggi sta con Berlusconi. È tipico dei Gemelli che, curiosi come sono, adorano sperimentare tutto».

Stelle Bastarde, Chiarelettere, Pp. 210; Euro 12

 

Fonte: Settimanale Il Futurista – 12 gennaio 2011