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Jared Diamond: «voi europei siete troppo pessimisti sull’idea di futuro».
Jared Diamond parla tredici lingue. L’italiano, ad esempio, l’ha imparato per pura curiosità. Già vincitore del Premio Pulitzer con il monumentale saggio del 1997, “Armi, acciaio e malattie” (Einaudi, pp.414 €16), Diamond è uno studioso d’altri tempi, capace di spaziare dal campo della geografia a quello dell’ornitologia, dallo studio della genetica a quello della fisiologia, riuscendo infine a concentrare alla perfezione le sue conoscenze sulla società antropomorfizzata e le sue sorti evolutive. Nato a Boston nel 1937, oggi Diamond ha una cattedra di geografia e salute ambientale in California e una di geografia politica a Roma ma continua a studiare sul campo la flora, la fauna e la popolazione della Nuova Guinea, tanto da esserne considerato il massimo esperto mondiale. Divulgatore scientifico di eccellenza – ricordiamo anche “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere” (Einaudi, pp.578 €24) – nel suo più recente libro del 2014, “Da te solo a tutto il mondo. Un ornitologo osserva le società umane” (Einaudi, pp.126 €13.40) si oppone fermamente alle spiegazioni scientifiche che giustifichino eventuali divari di ricchezza o di sviluppo sociale tra popolazioni umane dovute a presunte differenze cognitive o di attitudine. La ragione del successo di una nazione? «Un mix di fortuna, ingegno umano e risorse immediatamente disponibili sul territorio». È stato l’ospite più atteso della prestigiosa kermesse “Internazionale a Ferrara” e in tale occasione la Gazzetta del Sud lo ha intervistato, con un occhio già rivolto alle prossime elezioni presidenziali negli States. Leggi il resto di questa voce
3DomandeCon Vanni Santoni (Muro di Casse – Laterza)
Vanni Santoni è uno scrittore coraggioso, capace di osare. Appena ci si tuffa fra le pagine del suo nuovo romanzo, “Muro di Casse” – edito da Laterza, inaugurando la già promettente collana di narrativa del disordine, Solaris – si viene avvolti da un’atmosfera roboante. Le parole. Sono le parole scelte da Santoni a provocare nel lettore una sorta di incantesimo, un lungo flusso narrativo con periodi lunghi intere pagine. Il coraggio cui accennavo emerge nella sua scelta di scrivere un libro cui il lettore deve affidarsi, lasciandosi condurre innanzi. Altro che i libri e le letture semplici cui sin troppo spesso si fa ricorso con l’unico scopo di far cassa in tempi di magra. Leggi il resto di questa voce
Vinicio Capossela: «Parlare della Grecia significa parlare dell’umanità intera»
L’innamoramento con la Grecia è frutto degli anni. Come in una danza rituale, in un corteggiamento dall’esito già scritto, il cantautore d’origini irpine Vinicio Capossela si è fatalmente avvicinato al mondo ellenico. Prima abbracciando le sue sonorità con l’album “Rebetiko Gymnastas” del 2012 e adesso, in seconda battuta ha affrontato la gente, la disillusione e la voglia di lanciare lo yogurt delle loro capre in faccia ai politici che ormai disprezzano. In occasione del 3° Festival del Giornalismo di Inchiesta appena conclusosi a Marsala, Capossela ha mandato in visibilio il pubblico presente alla tappa speciale del suo tour “Mar Sala” ma con un fuori programma straordinario ha anche presentato “Tefteri – Il libro dei conti in sospeso”, il suo nuovo libro in uscita il 16 maggio per Il Saggiatore. Bastano le primissime pagine, in cui affronta l’etimologia della parola crisi (derivante da krìno: separare, dividere), per avere la certezza che non si tratta del classico libro che il personaggio mediatico scrive per battere cassa; Tefteri è un vero e proprio romanzo civile, capace di guardare in faccia la crisi dei valori odierna da un punto di vista umano. Le pagine di Capossela tratteggiano il suo peregrinare fra taverne e vicoli, a contatto con diversi personaggi di cui diventa biografo occulto ma consapevole, rivelando un destino comune che parte dal mondo ellenico ma si rivolge a noi tutti. Perché siamo tutti figli della Grecia anche se talvolta preferiamo dimenticarlo. Sono tante le domande che Capossela ascolta, mentre, pensieroso si passa la mano destra sulla barba scura, folta e ricciuta. E poi comincia a parlare con quel tono di voce tutto suo, melodioso e roco insieme.
«Il Tefteri non è un semplice taccuino. Piuttosto è il libro dei conti in sospeso e quando non hai più soldi in tasca il barista comincia a segnare…».
Il suo legame con la musica dell’Est è forte più che mai oggi…
«Sono sonorità che mi hanno sempre affascinato ma il Rebetiko lo conobbi a Salonicco nel ’98, in una taverna dove suonavano questo blues greco. E’ una musica che si suona per farsi coraggio, musica della pena, musica dell’assenza. Il Rebetiko lo si ascolta insieme ma il mangas (colui che doveva elaborare un lutto o un dolore, ndr) lo ballava da solo, infilando solo una manica della giacca. Così se qualcuno lo disturbava, se si intrometteva nella sua elaborazione del dolore, faceva prima a tirar fuori il coltello. Il Rebetiko è profondamente legato al dolore, del resto è nato dopo il massacro di Smirne nel ’22 durante la guerra greco-turca, quando improvvisamente i greci divennero stranieri in patria e furono preda di quella bile nera, la dalkàs, che rende nera anche la tua anima».
Ma a cosa servono queste canzoni?
«A non essere soli. Anzi (riprende dopo una pausa, come se avesse riletto mentalmente le sue parole carezzandosi la barba) ad esserlo ma con il conforto dell’abbraccio di chi ti è simile».
Italiani e Greci: una faccia, una razza?
«Sì, ma io aggiungo anche “una disgrazia”. Parlare della Grecia è come parlare dell’umanità stessa, di noi tutti. La Grecia è da sempre l’inizio di tutto e la situazione in quel paese può facilmente contagiare l’Europa. Proprio come un virus. Tutti noi restiamo a guardare per capire cosa succederà».
In questo suo viaggio lei parla di tante cose e descrive l’impatto della crisi nel modo di vivere d’un popolo, ora cedendo spazio alla rassegnazione ora alla rabbia. Ha capito come ne usciremo dalla crisi?
«Chi siamo quando perdiamo tutto? Questa, credo, sia la vera domanda. Il sistema economico ha cambiato, stravolto, il nostro modo di vivere. Sì mi piacerebbe che questa crisi segnasse anche un nuovo modo di vivere ma in realtà credo che finirà per peggiorare le cose. Del resto il sistema capitalistico, pur essendo imperfetto, ha dimostrato d’avere anticorpi necessari per rinnovarsi e superare gli ostacoli. Crisi significa dover scegliere. Scegliere quali bisogni, quali necessità soddisfare e quali sacrificare. La già ampia forbice fra chi ha tanto e chi ha nulla, aumenterà ancora e in Grecia ma anche altrove, ci saranno sempre più guerre fra poveri e contro i più deboli. E intanto i movimenti estremisti e neofascisti, come Alba Dorata in Grecia, guadagnano consensi…».
La crisi economica è dunque crisi di valori a tutto tondo?
«I nostri nonni hanno avuto certamente una vita più dura ma avevano anche dei valori che fungevano da bussola, da radicamento. Erano il linguaggio, il gergo persino il modo di portare il cappello. Oggi tutto è delegato alla tv ma se non si hanno nemmeno i soldi per pagare la bolletta elettrica, cosa succederà?»
Crede nell’Unione Europea?
«Quando nacque mi sembrava una splendida idea ma adesso mi domando come una moneta possa unire sensibilità tanto diverse come quella greca e quella tedesca… Del resto persino l’Unità d’Italia è stata realizzata a discapito di molti, per cui forse avremmo fatto bene ad imparare questa lezione prima di accostarci all’Europa».
E se alla fine l’Europa facesse a meno della Grecia?
«Europa è una parola greca. Sarebbe un bel controsenso».
Francesco Musolino®
Fonte: La Gazzetta del Sud